Il disegno di legge riguardante le nuove disposizioni per
l'acquisizione della cittadinanza italiana presentato dal Consiglio dei
ministri nei primissimi giorni di agosto [1], e che va a modificare la
legge n. 91 del 5 febbraio 1992 [2], è stato uno dei tanti
detonatori che periodicamente fanno esplodere le polemiche politiche
sulle questioni dell'immigrazione e dei migranti. L'estate è
dunque trascorsa tra allarmismi d'ogni sorta, deliri, esaltazioni
acritiche, isterismi, dichiarazioni apologetiche, batti e ribatti,
dichiarazioni di guerra... e discussioni degne di questo nome
ridotte ai minimissimi termini. Si tenga poi conto del fatto che, come
spesso accade, la furia polemica si è nutrita anche di fatti di
cronaca (basti pensare al caso della ragazza sgozzata e sepolta nel
giardino di casa dai familiari a Brescia), per non parlare del mancato
"11 settembre" londinese. Tutte questioni interpretate (se così
si può dire) ideologicamente e sfruttate strumentalmente dalla
propaganda politico-mediatica - più o meno becera, più o
meno (ma spesso completamente) fuorviante e più o meno
pericolosa. È sufficiente dare un'occhiata anche solo agli
archivi dei quotidiani nazionali per farsi un'idea sulla questione.
Per quanto riguarda il contenuto del ddl governativo, le sostanziali
innovazioni che vi si trovano rispetto alla legge del '92 sono quelle
esposte qui di seguito. Ha diritto alla cittadinanza «chi
è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di
cui almeno uno sia residente legalmente in Italia senza interruzioni da
almeno cinque anni, al momento della nascita ed in possesso del
requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per
soggiornanti di lungo periodo»; «chi è nato nel
territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno,
legalmente residente, sia nato in Italia ed in possesso del requisito
reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per
soggiornanti di lungo periodo» (Art. 1: nascita); «il
minore figlio di genitori stranieri, di cui almeno uno residente
legalmente in Italia senza interruzioni da almeno cinque anni ed in
possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, che, anch'esso
legalmente residente in Italia senza interruzioni per un periodo non
inferiore a cinque anni, vi abbia frequentato un ciclo scolastico o un
corso di formazione professionale o vi abbia svolto regolare
attività lavorativa per almeno un anno diviene cittadino
italiano su istanza dei genitori o del genitore esercente la
potestà genitoriale secondo l'ordinamento del paese di
origine» (Art. 2: minori); infine, la cittadinanza può
essere concessa «allo straniero che risiede legalmente da almeno
cinque anni nel territorio della Repubblica», «con decreto
del Ministro dell'interno» (non più del Presidente della
Repubblica) e sempre a condizione che si sia in possesso del requisito
reddituale citato (Art. 4: concessione della cittadinanza) [3].
Dunque, il periodo di residenza legale necessario viene dimezzato: si
passa dai precedenti dieci anni ai cinque. Da specificare che il
requisito reddituale richiesto non deve essere inferiore all'importo
dell'assegno sociale. Tale importo, che viene stabilito annualmente,
ammonta nell'anno corrente a 381,72 euro [4]. Insomma, anche la concessione
della cittadinanza è legata ad un requisito di reddito:
ciò significa che stiamo parlando di cittadinanza su base
censitaria.
Proseguiamo. Si è ripetutamente detto che il ddl in questione
introdurrebbe in Italia lo ius soli. Ora, lo ius soli di per sé
implica che una persona nata sul territorio di un determinato stato
acquisisce automaticamente la cittadinanza di quello stato medesimo,
indipendentemente dall'origine straniera dei genitori. Diritto di suolo
dunque, che si contrappone (teoricamente, perché in
realtà ci convive) a quello che è invece lo ius
sanguinis, cioè al diritto fondato su legami di sangue con chi
già gode della cittadinanza. A ben guardare, nel testo del ddl
del centro-sinistra si può dire, al limite, che è
presente più suolo che sangue, ma non certo che in Italia avremo
lo ius soli. Infatti, i bimbi nati in Italia da genitori stranieri
saranno cittadini italiani solo a condizione che almeno uno dei
genitori sia «residente legalmente in Italia senza interruzioni
da almeno cinque anni», oppure quando almeno un genitore
«legalmente residente, sia nato in Italia» e comunque, in
entrambi i casi, a patto che suddetto genitore sia anche «in
possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo». In sintesi, si
è cittadini italiani solo se un genitore possiede già i
requisiti per ottenere a sua volta la cittadinanza, quindi periodo di
residenza e censo permettendo. In definitiva, lo ius soli ne esce
abbastanza malconcio.
Maggiore severità si riscontra nella concessione della
cittadinanza per effetto dei matrimoni: il periodo di residenza legale
necessario viene esteso da sei mesi a due anni [5]. Questo per contrastare
i «matrimoni di comodo» [6].
Nel caso una persona disponga di tutti gli appositi requisiti,
affinché il decreto di conferimento della cittadinanza abbia
effetto «la persona a cui lo stesso si riferisce deve prestare
giuramento secondo le modalità ed i contenuti che saranno
stabiliti nel regolamento di cui al comma 2 dell'articolo 9-bis»
(Art. 6: giuramento). E qui si rimanda ad una novità di
fondamentale importanza. L'Art. 9-bis recita: «L'acquisizione
della cittadinanza italiana […] è comunque sottoposta
alla verifica della reale integrazione linguistica e sociale dello
straniero nel territorio dello Stato». Quindi, non si tratta
più semplicemente di prestare «giuramento di essere fedele
alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello
Stato» [7]. Il ddl, quindi, esprime esplicitamente la
necessità di verificare il livello di integrazione del
potenziale "nuovo italiano". Si fa riferimento prima all'elemento
linguistico e poi a quello sociale. Pensare all'integrazione sociale fa
venire in mente il lavoro e la casa, tuttavia i "paletti" del reddito e
del periodo di residenza legale sono già stati stabiliti e
ribaditi continuamente all'interno del ddl. Non sembra proprio di
essere di fronte ad una ennesima banale ripetizione di contenuti
già precedentemente esposti.
In effetti, da subito, i dibattiti e le polemiche politico-mediatiche
si sono concentrate proprio sulla verifica del livello di integrazione,
che dev'essere «reale», mettendo in campo criteri come la
condivisione della "cultura" e dei "valori" che caratterizzerebbero
l'italianità, inserita immancabilmente nella tanto celebrata
"civiltà occidentale", permeata di cristianesimo, di
libertà e democrazia, nonché di gloriose tradizioni. Da
destra sono arrivate le dichiarazioni più intransigenti; e
mentre si parla di veri e propri test di lingua e cultura (dei quali i
leghisti, sul piede di guerra, rivendicano la paternità) per
misurare l'italianità, c'è stato anche chi ha
esplicitamente messo in allerta sul «suicidio della
nazione» dovuto «all'impossibilità di essere tutti
fratelli, tenuti insieme dallo stesso sangue ideale» [8]. Del resto,
lo stesso capo ultrà Berlusconi ha affermato che «L'Italia
deve essere cattolica. E l'Italia deve essere degli italiani»
(guadagnandosi gli elogi e le aperture di Alessandra Mussolini) non
tralasciando che «cinque anni sono pochi», e che
«l'immigrato deve conoscere la nostra lingua, la nostra storia,
la nostra geografia, i fondamenti dello stato, la nostra
Costituzione» [9], dimenticando però le favole popolari e le
barzellette sui carabinieri. Si ricordi poi la proposta, arrivata
subito da A.N., di portare il periodo di residenza da cinque a
sette/otto anni, riavvicinandolo così ai dieci. Nel frattempo, i
centristi dell'Udc si sono detti ben disposti al dialogo, sottolineando
l'importanza della condivisione della cultura e dei valori
perché, come afferma Giovanardi, «[p]er avere la
cittadinanza un immigrato deve sentirsi italiano e poterlo dimostrare,
riconoscendosi nella lingua, nella cultura, nella democrazia
[sottinteso, come sempre, di stampo parlamentare], nei principi della
Costituzione» [10]. Dal canto suo, dalle pagine dell'"autorevolissimo"
Corriere della Sera, l'immancabile Magdi Allam evidenziava - già
in giugno - la fondamentale importanza di elementi quali «la
conoscenza della cultura e dell'educazione civica, la condivisione dei
valori condivisi dalla società, e - dulcis in fundo - l'adesione
all'identità nazionale» [11], anche perché «se
è vero che "ogni popolo ha il governo che si merita" [12], è
altrettanto vero che "ogni popolo ha gli immigrati che si
merita"». Quanta invidiabile saggezza... Non si può
inoltre scordare che, sull'onda del sensazionalismo e delle
strumentalizzazioni connesse a fatti di cronaca estiva, in molti hanno
proposto, come dice Wanda Montanelli dell'Italia dei Valori, di
«legare la cittadinanza al rispetto delle donne» [13]. È
superfluo invitare a riflettere su cosa succederebbe se tutti questi
"paletti" per la cittadinanza venissero imposti anche agli italiani
indigeni. Ma, al di là delle polemiche, ciò che risulta
di estremo interesse sono tutti i meccanismi, gli apparati, i servizi,
le strutture e i processi mediante i quali si dovrà costruire la
«reale integrazione».
Il bersagliato ministro Ferrero del Prc sostiene che il
«riconoscimento non può essere legato ad un esame - per
esempio l'esame per ottenere la cittadinanza - ma deve coinvolgere gli
interi aspetti della vita dell'individuo. La rete dei servizi da
mettere a disposizione dell'immigrato ha un ruolo determinante» [14].
Dunque, pur screditando gli esami, lo stesso "estremista" Ferrero
annuncia la necessità di creare tutta una serie di strutture e
servizi che coinvolgano «gli interi aspetti della vita
dell'individuo». Per poter analizzare adeguatamente queste
particolari proposte, ad oggi abbastanza vaghe, bisognerà
attendere di conoscere le modifiche che il ddl subirà in
parlamento - compresi eventualmente dei veri e propri test di
cittadinanza, i quali, tra l'altro, avrebbero un effetto
particolarmente discriminatorio su tutte quelle donne che, per diversi
motivi, non hanno la possibilità di partecipare tanto quanto gli
uomini alla vita pubblica. Tuttavia, è bene richiamare fin da
subito l'attenzione sulla rete che, attraverso meccanismi e strutture
di disciplinamento, andrà a coinvolgere i potenziali "nuovi
italiani" (e non solo), agendo su queste persone in forza della loro
specifica condizione di "immigrati", organizzando il sapere
specializzato e mobilitando i detentori di tale sapere, allo scopo di
fornire ai "soggetti da integrare" dei modi in cui dovrebbero pensare
se stessi in quanto aspiranti italiani. Senza dimenticare, infine, di
prestare attenzione a quali saranno, da chi e come verranno definiti i
valori e i cosiddetti fondamenti culturali ai quali faranno riferimento
i processi di integrazione e la concessione della cittadinanza, la
quale diviene un valore in sé, una sorta di premio per i
più meritevoli.
Stefano Lazzaro
[1] "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove
norme sulla cittadinanza",
http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/cittadinanza/disegno_di_legge.pdf#search=%22testo%20%22disegno%20
di%20legge%22%20cittadinanza%22
[2] Legge 5 febbraio 1992, n. 91, Nuove norme sulla cittadinanza,
http://www.interno.it/legislazione/pages/articolo.php?idlegislazione=30
[3] "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza", cit.
[4] Si veda http://www.inps.it/home/default.asp?ItemDir=4773
[5] Si veda l'Art. 3 (matrimonio) del ddl "Modifiche alla legge 5
febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza", cit.
[6] Si veda notizia pubblicata sul sito del ministero dell'interno il 4 agosto 2006:
http://www.interno.it/news/articolo.php?idArticolo=22778
[7] Art. 10 della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, cit.
[8] Renato Farina, "Italia addio, via all'invasione", Libero, 5 agosto 2006
[9] Si veda Antonio Massari, «Italia agli italiani», il manifesto, 26 agosto 2006
[10] Si veda MSc, "Forza Italia e Lega sulle barricate, Udc favorevole", Il Giornale, 5 agosto 2006
[11] Magdi Allam, "Immigrazione, meglio la politica dei piccoli passi", Corriere della Sera, 20 giugno 2006
[12] Id., "Se l'Italia spalanca le porte", Corriere della Sera, 26 giugno 2006
[13] Si veda Luca Liverani, "Cittadinanza, dubbi e polemiche", Avvenire, 18 agosto 2006.
[14] Si veda Tiziana Barrocci, "Ferrero: ‘Cambiare la Bossi-Fini per uscire dall'emergenza'", Liberazione, 26 agosto 2006