Umanità Nova, n 30 del 1 ottobre 2006, anno 86

Cittadinanza agli immigrati
La fabbrica dei cittadini

Il disegno di legge riguardante le nuove disposizioni per l'acquisizione della cittadinanza italiana presentato dal Consiglio dei ministri nei primissimi giorni di agosto [1], e che va a modificare la legge n. 91 del 5 febbraio 1992 [2], è stato uno dei tanti detonatori che periodicamente fanno esplodere le polemiche politiche sulle questioni dell'immigrazione e dei migranti. L'estate è dunque trascorsa tra allarmismi d'ogni sorta, deliri, esaltazioni acritiche, isterismi, dichiarazioni apologetiche, batti e ribatti, dichiarazioni di guerra... e discussioni degne di questo nome ridotte ai minimissimi termini. Si tenga poi conto del fatto che, come spesso accade, la furia polemica si è nutrita anche di fatti di cronaca (basti pensare al caso della ragazza sgozzata e sepolta nel giardino di casa dai familiari a Brescia), per non parlare del mancato "11 settembre" londinese. Tutte questioni interpretate (se così si può dire) ideologicamente e sfruttate strumentalmente dalla propaganda politico-mediatica - più o meno becera, più o meno (ma spesso completamente) fuorviante e più o meno pericolosa. È sufficiente dare un'occhiata anche solo agli archivi dei quotidiani nazionali per farsi un'idea sulla questione.
Per quanto riguarda il contenuto del ddl governativo, le sostanziali innovazioni che vi si trovano rispetto alla legge del '92 sono quelle esposte qui di seguito. Ha diritto alla cittadinanza «chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno sia residente legalmente in Italia senza interruzioni da almeno cinque anni, al momento della nascita ed in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo»; «chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno, legalmente residente, sia nato in Italia ed in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo» (Art. 1: nascita); «il minore figlio di genitori stranieri, di cui almeno uno residente legalmente in Italia senza interruzioni da almeno cinque anni ed in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, che, anch'esso legalmente residente in Italia senza interruzioni per un periodo non inferiore a cinque anni, vi abbia frequentato un ciclo scolastico o un corso di formazione professionale o vi abbia svolto regolare attività lavorativa per almeno un anno diviene cittadino italiano su istanza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale secondo l'ordinamento del paese di origine» (Art. 2: minori); infine, la cittadinanza può essere concessa «allo straniero che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica», «con decreto del Ministro dell'interno» (non più del Presidente della Repubblica) e sempre a condizione che si sia in possesso del requisito reddituale citato (Art. 4: concessione della cittadinanza) [3].
Dunque, il periodo di residenza legale necessario viene dimezzato: si passa dai precedenti dieci anni ai cinque. Da specificare che il requisito reddituale richiesto non deve essere inferiore all'importo dell'assegno sociale. Tale importo, che viene stabilito annualmente, ammonta nell'anno corrente a 381,72 euro [4]. Insomma, anche la concessione della cittadinanza è legata ad un requisito di reddito: ciò significa che stiamo parlando di cittadinanza su base censitaria.
Proseguiamo. Si è ripetutamente detto che il ddl in questione introdurrebbe in Italia lo ius soli. Ora, lo ius soli di per sé implica che una persona nata sul territorio di un determinato stato acquisisce automaticamente la cittadinanza di quello stato medesimo, indipendentemente dall'origine straniera dei genitori. Diritto di suolo dunque, che si contrappone (teoricamente, perché in realtà ci convive) a quello che è invece lo ius sanguinis, cioè al diritto fondato su legami di sangue con chi già gode della cittadinanza. A ben guardare, nel testo del ddl del centro-sinistra si può dire, al limite, che è presente più suolo che sangue, ma non certo che in Italia avremo lo ius soli. Infatti, i bimbi nati in Italia da genitori stranieri saranno cittadini italiani solo a condizione che almeno uno dei genitori sia «residente legalmente in Italia senza interruzioni da almeno cinque anni», oppure quando almeno un genitore «legalmente residente, sia nato in Italia» e comunque, in entrambi i casi, a patto che suddetto genitore sia anche «in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo». In sintesi, si è cittadini italiani solo se un genitore possiede già i requisiti per ottenere a sua volta la cittadinanza, quindi periodo di residenza e censo permettendo. In definitiva, lo ius soli ne esce abbastanza malconcio.
Maggiore severità si riscontra nella concessione della cittadinanza per effetto dei matrimoni: il periodo di residenza legale necessario viene esteso da sei mesi a due anni [5]. Questo per contrastare i «matrimoni di comodo» [6].
Nel caso una persona disponga di tutti gli appositi requisiti, affinché il decreto di conferimento della cittadinanza abbia effetto «la persona a cui lo stesso si riferisce deve prestare giuramento secondo le modalità ed i contenuti che saranno stabiliti nel regolamento di cui al comma 2 dell'articolo 9-bis» (Art. 6: giuramento). E qui si rimanda ad una novità di fondamentale importanza. L'Art. 9-bis recita: «L'acquisizione della cittadinanza italiana […] è comunque sottoposta alla verifica della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero nel territorio dello Stato». Quindi, non si tratta più semplicemente di prestare «giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato» [7]. Il ddl, quindi, esprime esplicitamente la necessità di verificare il livello di integrazione del potenziale "nuovo italiano". Si fa riferimento prima all'elemento linguistico e poi a quello sociale. Pensare all'integrazione sociale fa venire in mente il lavoro e la casa, tuttavia i "paletti" del reddito e del periodo di residenza legale sono già stati stabiliti e ribaditi continuamente all'interno del ddl. Non sembra proprio di essere di fronte ad una ennesima banale ripetizione di contenuti già precedentemente esposti.
In effetti, da subito, i dibattiti e le polemiche politico-mediatiche si sono concentrate proprio sulla verifica del livello di integrazione, che dev'essere «reale», mettendo in campo criteri come la condivisione della "cultura" e dei "valori" che caratterizzerebbero l'italianità, inserita immancabilmente nella tanto celebrata "civiltà occidentale", permeata di cristianesimo, di libertà e democrazia, nonché di gloriose tradizioni. Da destra sono arrivate le dichiarazioni più intransigenti; e mentre si parla di veri e propri test di lingua e cultura (dei quali i leghisti, sul piede di guerra, rivendicano la paternità) per misurare l'italianità, c'è stato anche chi ha esplicitamente messo in allerta sul «suicidio della nazione» dovuto «all'impossibilità di essere tutti fratelli, tenuti insieme dallo stesso sangue ideale» [8]. Del resto, lo stesso capo ultrà Berlusconi ha affermato che «L'Italia deve essere cattolica. E l'Italia deve essere degli italiani» (guadagnandosi gli elogi e le aperture di Alessandra Mussolini) non tralasciando che «cinque anni sono pochi», e che «l'immigrato deve conoscere la nostra lingua, la nostra storia, la nostra geografia, i fondamenti dello stato, la nostra Costituzione» [9], dimenticando però le favole popolari e le barzellette sui carabinieri. Si ricordi poi la proposta, arrivata subito da A.N., di portare il periodo di residenza da cinque a sette/otto anni, riavvicinandolo così ai dieci. Nel frattempo, i centristi dell'Udc si sono detti ben disposti al dialogo, sottolineando l'importanza della condivisione della cultura e dei valori perché, come afferma Giovanardi, «[p]er avere la cittadinanza un immigrato deve sentirsi italiano e poterlo dimostrare, riconoscendosi nella lingua, nella cultura, nella democrazia [sottinteso, come sempre, di stampo parlamentare], nei principi della Costituzione» [10]. Dal canto suo, dalle pagine dell'"autorevolissimo" Corriere della Sera, l'immancabile Magdi Allam evidenziava - già in giugno - la fondamentale importanza di elementi quali «la conoscenza della cultura e dell'educazione civica, la condivisione dei valori condivisi dalla società, e - dulcis in fundo - l'adesione all'identità nazionale» [11], anche perché «se è vero che "ogni popolo ha il governo che si merita" [12], è altrettanto vero che "ogni popolo ha gli immigrati che si merita"». Quanta invidiabile saggezza... Non si può inoltre scordare che, sull'onda del sensazionalismo e delle strumentalizzazioni connesse a fatti di cronaca estiva, in molti hanno proposto, come dice Wanda Montanelli dell'Italia dei Valori, di «legare la cittadinanza al rispetto delle donne» [13]. È superfluo invitare a riflettere su cosa succederebbe se tutti questi "paletti" per la cittadinanza venissero imposti anche agli italiani indigeni. Ma, al di là delle polemiche, ciò che risulta di estremo interesse sono tutti i meccanismi, gli apparati, i servizi, le strutture e i processi mediante i quali si dovrà costruire la «reale integrazione».
Il bersagliato ministro Ferrero del Prc sostiene che il «riconoscimento non può essere legato ad un esame - per esempio l'esame per ottenere la cittadinanza - ma deve coinvolgere gli interi aspetti della vita dell'individuo. La rete dei servizi da mettere a disposizione dell'immigrato ha un ruolo determinante» [14]. Dunque, pur screditando gli esami, lo stesso "estremista" Ferrero annuncia la necessità di creare tutta una serie di strutture e servizi che coinvolgano «gli interi aspetti della vita dell'individuo». Per poter analizzare adeguatamente queste particolari proposte, ad oggi abbastanza vaghe, bisognerà attendere di conoscere le modifiche che il ddl subirà in parlamento - compresi eventualmente dei veri e propri test di cittadinanza, i quali, tra l'altro, avrebbero un effetto particolarmente discriminatorio su tutte quelle donne che, per diversi motivi, non hanno la possibilità di partecipare tanto quanto gli uomini alla vita pubblica. Tuttavia, è bene richiamare fin da subito l'attenzione sulla rete che, attraverso meccanismi e strutture di disciplinamento, andrà a coinvolgere i potenziali "nuovi italiani" (e non solo), agendo su queste persone in forza della loro specifica condizione di "immigrati", organizzando il sapere specializzato e mobilitando i detentori di tale sapere, allo scopo di fornire ai "soggetti da integrare" dei modi in cui dovrebbero pensare se stessi in quanto aspiranti italiani. Senza dimenticare, infine, di prestare attenzione a quali saranno, da chi e come verranno definiti i valori e i cosiddetti fondamenti culturali ai quali faranno riferimento i processi di integrazione e la concessione della cittadinanza, la quale diviene un valore in sé, una sorta di premio per i più meritevoli.

Stefano Lazzaro

Note

[1] "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza", http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/cittadinanza/disegno_di_legge.pdf#search=%22testo%20%22disegno%20
di%20legge%22%20cittadinanza%22

[2] Legge 5 febbraio 1992, n. 91, Nuove norme sulla cittadinanza,
http://www.interno.it/legislazione/pages/articolo.php?idlegislazione=30

[3] "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza", cit.

[4] Si veda http://www.inps.it/home/default.asp?ItemDir=4773

[5] Si veda l'Art. 3 (matrimonio) del ddl "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza", cit.

[6] Si veda notizia pubblicata sul sito del ministero dell'interno il 4 agosto 2006:
http://www.interno.it/news/articolo.php?idArticolo=22778

[7] Art. 10 della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, cit.

[8] Renato Farina, "Italia addio, via all'invasione", Libero, 5 agosto 2006

[9] Si veda Antonio Massari, «Italia agli italiani», il manifesto, 26 agosto 2006

[10] Si veda MSc, "Forza Italia e Lega sulle barricate, Udc favorevole", Il Giornale, 5 agosto 2006

[11] Magdi Allam, "Immigrazione, meglio la politica dei piccoli passi", Corriere della Sera, 20 giugno 2006

[12] Id., "Se l'Italia spalanca le porte", Corriere della Sera, 26 giugno 2006

[13] Si veda Luca Liverani, "Cittadinanza, dubbi e polemiche", Avvenire, 18 agosto 2006.

[14] Si veda Tiziana Barrocci, "Ferrero: ‘Cambiare la Bossi-Fini per uscire dall'emergenza'", Liberazione, 26 agosto 2006

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