Sarà un destino che agli uomini di potere il matrimonio porti
male, ma il declino di Ricucci è cominciato subito dopo il
matrimonio con Anna Falchi e i casini di Rovati con la Telecom sono
cominciati la settimana dopo il suo matrimonio.
Le cronache rosa ci raccontano infatti che Angelo Rovati si è
sposato con Chiara Boni, la stilista, il 6 settembre scorso (la sera
della notte bianca a Roma) in Campidoglio. Cerimonia da gran spolvero,
officiata da Veltroni. La sposa in rosso, testimoni di nozze dello
sposo il premier Romano Prodi e Claudio Costamagna, entrambi amici di
vecchia data, oltre che con lo sposo, anche tra loro, visto che avevano
addirittura lavorato insieme per tre anni in una merchant bank
statunitense, la Goldman Sachs, dove Prodi faceva l'advisor, e
Costamagna il vicepresidente.
Presente, come nei matrimoni che contano, il bel mondo: il governo, l'imprenditoria, i banchieri.
Tra i banchieri va segnalata la presenza di Giovanni Bazoli, anche lui
amico di Prodi, grazie al quale è riuscito a proporsi come nuovo
punto di riferimento della finanza cattolica, orfana di Fazio, ed
è divenuto il primo banchiere in Italia dopo la fusione tra la
sua Banca Intesa ed il San Paolo di Torino. Qualche grattacapo Bazoli
lo ha: in seguito alla fusione l'esposizione del nuovo gruppo bancario
nei confronti di Telecom ha superato i massimali di rischio per una
banca nei confronti di un singolo cliente e dovrà trovare
qualcun altro che si accolli parte dei debiti. E non è cosa
facile. Bazoli però è andato lì per divertirsi
anche se di queste occasioni si approfitta sempre per fare quattro
chiacchiere in tranquillità, scambiarsi informazioni, darsi
informalmente rassicurazioni. Per questo motivo si è dovuta
necessariamente limitare la presenza dei giornalisti a solo due
invitati, cari amici dello sposo: Ferruccio De Bortoli, direttore del
Sole 24 Ore, e Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera.
Tanti bei nomi sono dovuti, oltre ad una rete di relazioni intessuta
negli anni, anche al ruolo ricoperto da Rovati nello staff di Prodi. In
aggiunta al ruolo ufficiale di tesoriere e cassiere della campagna
elettorale il buon Angelo è infatti "l'uomo delle nomine":
quello che conduce per conto di Prodi le trattative per nominare e
rimuovere i dirigenti dalle aziende controllate dallo stato. Aveva
infatti appena condotto in porto la scelta di Riotta alla direzione del
TG1 in quello scontro sulle nomine RAI che Prodi aveva definito
"peggiore del Libano" e che lui aveva affrontato con successo.
Una fiducia ben riposta tanto che l'amico Angelo, invece di andarsi a
fare una vacanza con la moglie appena impalmata, segue Prodi in
partenza per la Cina pochi giorni dopo.
In effetti non se lo poteva perdere questo viaggio in Cina.
A parte quello di Marco Polo, che però non era Presidente del
Consiglio, l'unico precedente di un viaggio ufficiale in Cina era stato
quello di Craxi che ci andò portandosi dietro una delegazione
comprendente amici, amanti, figli e partner dei figli. La numerosa
delegazione, di 65 persone, suscitò ironia perché
coincideva con la capienza massima dell'aereo presidenziale.
Prodi ha fatto di meglio. Si è portato dietro un migliaio di
persone, rappresentanti del governo, di Confindustria, di regioni e
comuni, dell'Istituto del Commercio Estero, delle banche e delle
singole imprese. A questi vanno aggiunti 350 interpreti, qualche
centinaio di giornalisti, un altro centinaio di addetti alla sicurezza.
Insomma, altro che i 65 poveracci di Craxi!
Che gli amici di Prodi e Rovati siano degli appassionati di viaggi si
vede anche da cosa ha fatto l'altro testimone di nozze dello sposo. Il
giorno dopo la cerimonia è partito e se n'è andato al
largo di Zante, sullo yatch di Murdoch, il proprietario di Sky, a
fargli da consulente nella difficile trattativa che questi stava
tenendo con Marco Tronchetti Provera per l'entrata nel gruppo Telecom
del tycoon inglese.
Il 7 settembre era la seconda volta che Murdoch e Tronchetti si
vedevano, e Tronchetti ormai sapeva che Costamagna era consulente di
Murdoch. Quando però l'aveva scoperto, nel primo incontro
ufficiale che aveva avuto ad agosto, si è quasi morso la lingua
pensando che aveva raccontato tutta la strategia di Telecom nei
confronti di News Corp (la società di Murdoch) a quel
chiacchierone di Prodi in un incontro a Palazzo Chigi il 19 luglio
precedente.
Il progetto era che Murdoch mettesse Sky Italia (la società che
vende i canali satellitari a pagamento) nel gruppo Telecom ed in cambio
ne diventasse azionista.
Questo accordo avrebbe consentito nell'immediato di potenziare La7 e,
in prospettiva, di poter lanciare la televisione attraverso la rete
telefonica a banda larga sviluppando quella che si chiama "convergenza"
tra computer, internet, satellite, telefono, DVD e televisione.
Il 7 settembre però Tronchetti era più tranquillo, si era
visto con Prodi 5 giorni prima a Cernobbio, alla presenza anche del
buon Rovati e di Daniele Di Giovanni (il capo della segreteria di
Prodi), e gli aveva raccontato che, oltre che con Murdoch, aveva preso
contatti anche con Time Warner e General Electric, società
americane con un magazzino film e contenuti maggiore della NewsCorp, e
che queste erano interessate all'affare. Gli aveva anche detto che,
nonostante il rialzo dei tassi d'interesse non aveva problemi di debiti
perché a breve avrebbe venduto Telecom Brasile a 7/9 miliardi di
Euro e che, quindi, non aveva nessuna fretta di concludere la
trattativa.
Probabilmente Prodi e Rovati (e a seguire Costamagna e Murdoch) hanno
creduto a quello che oggi sembra essere stato un bluff di Tronchetti.
Per cercare di rimediare ad un affare che si stava mettendo male e che
rischiava di tagliare fuori Murdoch dalla televisione a banda larga in
Italia, Rovati, proprio il giorno prima del suo matrimonio, ha mandato
a Tronchetti un piano di ristrutturazione di Telecom di 28 pagine che
gli proponeva di cedere la rete telefonica allo stato (e più
precisamente alla Cassa Depositi e Prestiti). Visto che il documento
era accompagnato da un biglietto scritto su carta intestata dalla
segreteria della Presidenza del Consiglio sembrava proprio un'offerta
di acquisto, accompagnata, tra l'altro, da velate minacce sulle
possibili pressioni che l'Authority avrebbe potuto esercitare su
Telecom nel caso in cui fosse rimasta titolare della rete.
Tronchetti però ringrazia e dice di non essere interessato. Va
tenuto infatti presente che Tronchetti è un avido. Ha preso una
fregatura sulla Telecom che ha comprato pagandola 4,2 Euro a azione 5
anni fa e da allora le azioni Telecom valgono poco più di 2
euro. Nulla di strano che volessi rifarsi, magari facendo strapagare a
Murdoch il fatto di essere l'unico in Italia con cui fare un accordo
del genere.
Ma Murdoch non è un fesso e dall'incontro con Tronchetti viene
fuori molto poco. Gli dà la possibilità di trasmettere i
film del suo magazzino su "Alice home TV". Se si pensa ai numeri minimi
di Fastweb, che oltre ai film fornisce anche canali televisivi, si
capisce la pochezza della cosa. Oltretutto Sky non entra in Telecom che
così si trova con 41 miliardi di debito, con l'aumento dei tassi
d'interesse e con il rischio che Intesa-San Paolo gli chieda di
rientrare di qualche miliardo.
Tornato in Italia, Tronchetti decide in un consiglio d'amministrazione
l'11 settembre di dividere TIM e Telecom, con il chiaro proposito di
vendere la prima al miglior offerente, di fare così i soldi
necessari a ripianare i debiti e di mandare definitivamente in soffitta
il possibile accordo con Murdoch.
Prodi, che intanto è partito per la Cina con tutto il suo
seguito, apprende la cosa e, invece di non dire nulla in pubblico,
chiamare Tronchetti e incazzarsi in privato (magari facendolo convocare
dall'Autorità delle Telecomunicazioni per rompergli le scatole),
va su tutte le furie e dichiara in conferenza stampa di non saperne
nulla e di essere contrario.
Il giorno dopo insieme a queste dichiarazioni esce, sul Corriere della
Sera e sul Sole 24 Ore, il piano per la ristrutturazione della Telecom
inviato da Rovati a Tronchetti Provera.
A detta di Rovati il piano è stato inviato da Tronchetti ai giornali. Ma sembra troppo strano.
Se Tronchetti avesse voluto far pubblicare il piano lo avrebbe inviato
a tutti i giornali, in particolare a quelli d'opposizione. Sarebbe
stato uno stupido a mandarlo soltanto agli unici due giornali i cui
direttori erano la settimana prima al matrimonio di Rovati.
Probabilmente il piano di ristrutturazione è stato inviato ai
giornali da Rovati stesso, per far sapere, pubblicamente a Murdoch, che
lui e Prodi, che si era incazzato in conferenza stampa per lo stesso
motivo, si erano mossi per scongiurare il fallimento delle sue
trattative con Telecom.
C'era anche un secondo obiettivo, che è stato raggiunto, ed era quello di mettere paura ai Benetton.
Pochi sanno, infatti, che l'azionista di maggioranza in Telecom non
è Tronchetti Provera, che ne era il presidente e che ha il 2,3%
del totale del capitale (tolti i debiti è meno dell'1%), ma la
famiglia Benetton con il 4,46%.
La famiglia Benetton ha già un contenzioso aperto con il governo
per la cessione della società Autostrade agli spagnoli della
Albertis e non vuole altre rogne.
Detto fatto, Tronchetti si dimette il giorno dopo dalla presidenza
Telecom ed al suo posto arriva Guido Rossi, ex parlamentare eletto come
"indipendente" nelle file del PCI, boiardo di stato, vicino a Prodi.
A volte la storia è ironica. Guido Rossi cercò di opporsi
alla scalata a Telecom di Colaninno e Gnutti. D'Alema, all'epoca
Presidente del Consiglio, appoggiò invece i "capitani
coraggiosi" e lo sconfitto Guido Rossi sentenziò: "A Palazzo
Chigi c'è una merchant bank che non parla inglese". D'Alema gli
tolse il saluto per sei anni. Pare che abbiano ricominciato a parlarsi
ad inizio anno.
A questo punto Prodi e Rovati pensavano di aver chiuso la partita con
Rovati che si addossava la colpa di aver inviato il piano di
ristrutturazione all'insaputa di Prodi.
Il fatto è che, quando si raccontano le bugie, bisogna sforzarsi
di renderle per lo meno verosimili. La bugia raccontata da Rovati per
giustificare l'ignavia di Prodi era sublime per l'idiozia dimostrata:
"Io e un mio amico abbiamo scritto un piano artigianale di
ristrutturazione della Telecom, a cui sono interessato come utente, e
l'abbiamo inviato a Tronchetti Provera su carta intestata della
segreteria della presidenza del consiglio perché io non ho la
mia carta intestata!"
Oltretutto nella conferenza stampa convocata per rimarcare la propria
estraneità al piano di ristrutturazione di Telecom e nella furia
di impedire a Tronchetti di portare avanti il suo progetto, Prodi
faceva la figura del cialtrone rendendo pubbliche le notizie riservate
che Tronchetti gli aveva dato, dal prezzo di vendita di Telecom
Brasile, alle trattative con Murdoch, ai contatti con le altre
società statunitensi.
Tutto questo avveniva nel rumoroso silenzio degli alleati di governo
che si sentono esclusi dalla strategia portata avanti da Prodi.
Prodi, infatti, non avendo un partito, ha un unico modo per consolidare
la propria posizione: deve diventare il perno di un centro di potere.
Con la fusione Intesa-San Paolo è riuscito a crearsi un polo
finanziario, gestito da Bazoli, suo amico dai tempi di Andreatta, e ben
visto dal Vaticano, dove è in corso lo smantellamento della rete
finanziaria creata dall'Opus Dei, e dove si cerca un alleato fidato
nella finanza bianca italiana.
Per Prodi il progetto Telecom fa parte del tentativo complementare di creare un polo industriale controllato da lui.
Il progetto di far acquisire la rete fissa Telecom dalla Cassa Depositi
e Prestiti non è stato lanciato per primo da Rovati, ma da
Massimo Tononi, assistente di Prodi all'IRI, poi a Goldman Sachs ed ora
sottosegretario all'Economia. A luglio scorso, poco dopo il primo
incontro tra Tronchetti e Prodi, lanciò la proposta a diversi
operatori finanziari. La cosa, complice l'estate, non ebbe seguito,
fino alla sua resurrezione ad opera di Rovati. Tra l'altro questa
presenza di ex di Goldman Sachs in tutta l'operazione fa ritenere ai
più che il progetto stesso sia stato elaborato dalla merchant
bank statunitense.
Per tornare agli alleati, la loro mancata solidarietà era fin
troppo prevedibile. I rutelliani della Margherita si trovavano
sostituiti nel rapporto privilegiato con il Vaticano, scavalcati al
centro ed esclusi dalle decisioni che contano. I DS erano ancora
più incazzati, non erano riusciti a portare in porto l'affare
Unipol - BNL ("Abbiamo una banca"), e invece Prodi, tomo tomo, cacchio
cacchio, si era fatto la sua banca, senza che nessuno dicesse nulla. Ma
si sentivano anche presi in giro: Prodi stesso li aveva criticati
quando rivendicavano la scelta dell'Unipol per tutelare
"l'italianità" di BNL e adesso Prodi si oppone alla vendita di
TIM proprio per difenderne "l'italianità"?
Per sovrappiù, tra la decina di membri del governo presenti in
Cina mancava l'unico che avrebbe dovuto esserci ufficialmente: Prodi si
era dimenticato a Roma il ministro degli Esteri! Va bene che non sta
scritto da nessuna parte che il ministro degli Esteri debba andare
all'estero, così come non sta scritto da nessuna parte che il
ministro alle Politiche Giovanili debba essere giovane (ed infatti la
Melandri ha 45 anni), ma insomma, almeno avesse lasciato al povero
D'Alema la passerella all'assemblea generale delle Nazioni Unite e
invece Prodi, alla fine del viaggio in Cina si reca a New York a levare
spazio al povero D'Alema anche in quell'occasione, è chiaro che
baffino si sia risentito.
In più gli si sono messi contro anche Marini e Bertinotti, nella
loro veste di presidenti dei due rami del parlamento, e Napolitano che
voleva vederci chiaro.
Prodi, che voleva chiudere lì la faccenda è stato allora
costretto a far dimettere Rovati ed al triplice passo indietro sulla
sua presenza in Parlamento. Dal "Ma che siamo matti!?" a chi gli
chiedeva se sarebbe intervenuto alle camere della vicenda, a "Vado solo
in una camera!", alla sua audizione in Camera e Senato.
Dal punto di vista politico, questa vicenda Telecom si
intreccerà inevitabilmente con il dibattito sulla Finanziaria:
dal punto di vista industriale, tranne che per la cessione di Telecom
Brasile, le vere scelte devono ancora essere fatte.
Staremo a vedere come si ridistribuiranno gli equilibri di potere in
Italia. Temiamo che, alla fine, a farne le spese siano i lavoratori
Telecom, al cui destino nessuno sembra interessato.
FRK