Non c'è che dire, purtroppo la ragazzina bolognese la lezione l'ha imparata. E anche troppo presto. E troppo bene.
Sorpresa ad amoreggiare con un coetaneo, ha pensato di poter evitare
una più che probabile punizione in famiglia, dichiarando ai
carabinieri di avere subito violenza. E fin qui, niente di nuovo: non
è la prima volta che la paura per aver trasgredito le "regole"
spinge a comportamenti del genere. Quello che però è
particolarmente significativo in questa faccenda, e che ne dà la
misura, è che per rendere credibile e inequivocabile il
racconto, la giovane non ha esitato a indicare, come responsabile della
presunta violenza, l'immancabile branco di giovani magrebini assetati
di sangue cristiano. E questo la dice lunga su quale sia, ormai,
l'immaginario collettivo delle giovani, ma non solo delle giovani,
generazioni: il nemico alle porte di casa sul quale scaricare le
contraddizioni di una società sostanzialmente incapace di
ritrovare una dimensione collettiva e solidale.
Alla faccia di quel "filosofo" nippo-americano che sentenziò,
dopo la caduta del muro di Berlino e la morte del comunismo di stato,
la fine della storia, la storia, in mancanza di cesure rivoluzionarie,
non ha affatto smesso di procedere ma ha continuato a produrre, con i
suoi noti e perversi meccanismi, nuovi strumenti di controllo e
condizionamento atti alla conservazione e alla riproduzione del potere.
E se un nemico ha finito ingloriosamente il suo ciclo epocale,
riducendosi ad adornare, come tanti souvenir, i caminetti dei bravi
berlinesi, un nuovo nemico, altrettanto temibile e subdolo, doveva
presto affacciarsi sul palcoscenico della storia; un nemico, fittizio o
reale che sia (ma è preferibile la prima scelta!), per spingere
i sudditi del più vasto impero, a riconoscersi nella propria
della storia, altrimenti riluttanti e agitati da spinte centrifughe, a
stringersi attorno alle istituzioni secolare identità, a
compattarsi come un solo corpo sociale, introiettando volontariamente
valori e convinzioni altrimenti a rischio di indebolimento ed usura.
Ecco allora, con un'operazione mediatica perfetta, l'invenzione del
nuovo (nuovo?) nemico, quell'Islam, saracino e mamelucco, che
già a suo tempo, non troppi secoli addietro, turbò i
sonni dei potenti europei. Arrieccolo, dunque! Cosa di meglio, infatti,
che identificare le turbe di diseredati e affamati che "premono alle
frontiere" - islamici o meno, la cosa non ha nemmeno importanza - con
un nemico, materiale e spirituale, desideroso, dapprima, di mettere in
discussione le nostre regole comportamentali, poi di attentare alla
stessa possibilità di sopravvivenza delle opulente e cristiane
società occidentali? Cosa di meglio che presentare il nuovo
proletariato, sfruttato e abbruttito dalla mancanza di diritti ma
indispensabile allo "sviluppo economico", come il "turco" armato di
scimitarra che all'agghiacciante grido di Allah Akbar invade il
Belpaese seppellendo quelle "radici cristiane" che dovevano essere il
fondamento ultimo della nostra identità e della nostra
supremazia.
Operazione perfetta, dicevamo. Da un lato depotenzia il sacrosanto
diritto dei nuovi sfruttati alla protesta e alla rivendicazione,
dall'altro, tramite una squallida ma efficace operazione
autoassolutoria – scaricare il "male" sull'altro permette di
accreditarsi una patente di verginità - crea il nuovo untore su
cui far ricadere le responsabilità di quell'imbarbarimento nei
rapporti che sì, ci impensierisce, ma di cui, da bravi
cristiani, ci riteniamo incolpevoli.
Stiamo assistendo ormai da tempo a questa campagna intossicante contro
gli "stranieri". E ogni episodio di cronaca che con tragica frequenza
sembrerebbe darle credito - come il caso di quel pazzo pakistano che ha
ucciso la figlia trasgressiva - viene talmente e incondizionatamente
strumentalizzato, da fare strame di uno dei più significativi
principi della cultura occidentale: quello della responsabilità
individuale. Tralasciando, per carità di patria, qualsiasi
riflessione sulle funzioni multiuso di questi, peraltro preziosissimi,
principi, non possiamo non notare, infatti, come l'inciviltà e
la crudeltà del singolo sono immediatamente trasformati nel
"normale" modo di vita di intere comunità, additate alla
esecrazione, come centrali di fanatismo e criminalità.
Ultimamente poi anche la Chiesa ha deciso di mettere, sempre più
pesantemente, i piedi nel piatto. Dopo avere cercato, infatti, di
cavalcare opportunisticamente il fenomeno migratorio, strumentalizzando
la sincera generosità di molti suoi adepti, sta ora tirando i
remi in barca, non solo unendosi al concerto, ma facendosi promotrice
di nuovi momenti di chiusura ed esclusione. Richiamandosi alla mai
sopita vocazione alla guerra di religione, riscalda la vecchia minestra
della supremazia teologica per bocca papale, che con le ultime uscite
sul dio irrazionale e trascendente dell'Islam, e quindi portato alla
violenza, e su quello razionale e "logico" del Cristianesimo, ha
riproposto clamorosamente vecchi steccati e nuove ostilità.
Ora, a parte che sarebbe interessante capire cosa ci sia di razionale
nel miracolo di San Gennaro o nelle piangenti madonne di mezza Europa,
non direi che la storia del cristianesimo, di questa
religione-istituzione ispirata, secondo Ratzinger, da un dio tutto
logos e ragione, non abbia avuto dei bei momenti di violenza, sia
individuale che collettiva. Viene quindi da chiedersi cosa si proponga
questa nuova strategia vaticana. E dato che non è ipotizzabile,
almeno al momento, che voglia colpire l'Islam in quanto tale (cane non
mangia cane), non si può non pensare che l'obiettivo vero siano
le masse, spesso incolte e sempre disperate, che in gran parte si
richiamano e si abbeverano all'Islam, vedendovi, purtroppo, l'unico
strumento di liberazione ed emancipazione. In perfetta sintonia con
l'istituzione civile, dunque, quella religiosa si appresta a offrire il
suo prezioso puntello spirituale e dottrinale al programma sociale
dell'immediato futuro: loro, testa bassa, muti e lavorare, altrimenti
sono botte, e non solo metaforiche! Noi, testa bassa, muti e lavorare,
e tutti insieme, se non vogliamo che le nostre famose radici cristiane
siano annientate dal "nemico"!
Da parte nostra, naturalmente, non possiamo che continuare ad opporci a
questo processo di omologazione e sottomissione. Siamo atei convinti e
motivati per tanti motivi, e non ultimo perché vediamo nella
religione, in tutte le religioni, uno strumento di divisione utile
soltanto alla legittimazione dell'autorità. Siamo contro lo
sfruttamento e la proprietà privata dei mezzi di produzione per
altrettanti motivi, e non ultimo perché vediamo nello
sfruttamento il primo ostacolo al conseguimento della libertà
individuale, e quindi collettiva.
Pertanto…!
Massimo Ortalli