Umanità Nova, n 30 del 1 ottobre 2006, anno 86

La creazione del nemico
Mamma, li turchi!

Non c'è che dire, purtroppo la ragazzina bolognese la lezione l'ha imparata. E anche troppo presto. E troppo bene.
Sorpresa ad amoreggiare con un coetaneo, ha pensato di poter evitare una più che probabile punizione in famiglia, dichiarando ai carabinieri di avere subito violenza. E fin qui, niente di nuovo: non è la prima volta che la paura per aver trasgredito le "regole" spinge a comportamenti del genere. Quello che però è particolarmente significativo in questa faccenda, e che ne dà la misura, è che per rendere credibile e inequivocabile il racconto, la giovane non ha esitato a indicare, come responsabile della presunta violenza, l'immancabile branco di giovani magrebini assetati di sangue cristiano. E questo la dice lunga su quale sia, ormai, l'immaginario collettivo delle giovani, ma non solo delle giovani, generazioni: il nemico alle porte di casa sul quale scaricare le contraddizioni di una società sostanzialmente incapace di ritrovare una dimensione collettiva e solidale.
Alla faccia di quel "filosofo" nippo-americano che sentenziò, dopo la caduta del muro di Berlino e la morte del comunismo di stato, la fine della storia, la storia, in mancanza di cesure rivoluzionarie, non ha affatto smesso di procedere ma ha continuato a produrre, con i suoi noti e perversi meccanismi, nuovi strumenti di controllo e condizionamento atti alla conservazione e alla riproduzione del potere. E se un nemico ha finito ingloriosamente il suo ciclo epocale, riducendosi ad adornare, come tanti souvenir, i caminetti dei bravi berlinesi, un nuovo nemico, altrettanto temibile e subdolo, doveva presto affacciarsi sul palcoscenico della storia; un nemico, fittizio o reale che sia (ma è preferibile la prima scelta!), per spingere i sudditi del più vasto impero, a riconoscersi nella propria della storia, altrimenti riluttanti e agitati da spinte centrifughe, a stringersi attorno alle istituzioni secolare identità, a compattarsi come un solo corpo sociale, introiettando volontariamente valori e convinzioni altrimenti a rischio di indebolimento ed usura.
Ecco allora, con un'operazione mediatica perfetta, l'invenzione del nuovo (nuovo?) nemico, quell'Islam, saracino e mamelucco, che già a suo tempo, non troppi secoli addietro, turbò i sonni dei potenti europei. Arrieccolo, dunque! Cosa di meglio, infatti, che identificare le turbe di diseredati e affamati che "premono alle frontiere" - islamici o meno, la cosa non ha nemmeno importanza - con un nemico, materiale e spirituale, desideroso, dapprima, di mettere in discussione le nostre regole comportamentali, poi di attentare alla stessa possibilità di sopravvivenza delle opulente e cristiane società occidentali? Cosa di meglio che presentare il nuovo proletariato, sfruttato e abbruttito dalla mancanza di diritti ma indispensabile allo "sviluppo economico", come il "turco" armato di scimitarra che all'agghiacciante grido di Allah Akbar invade il Belpaese seppellendo quelle "radici cristiane" che dovevano essere il fondamento ultimo della nostra identità e della nostra supremazia.
Operazione perfetta, dicevamo. Da un lato depotenzia il sacrosanto diritto dei nuovi sfruttati alla protesta e alla rivendicazione, dall'altro, tramite una squallida ma efficace operazione autoassolutoria – scaricare il "male" sull'altro permette di accreditarsi una patente di verginità - crea il nuovo untore su cui far ricadere le responsabilità di quell'imbarbarimento nei rapporti che sì, ci impensierisce, ma di cui, da bravi cristiani, ci riteniamo incolpevoli.
Stiamo assistendo ormai da tempo a questa campagna intossicante contro gli "stranieri". E ogni episodio di cronaca che con tragica frequenza sembrerebbe darle credito - come il caso di quel pazzo pakistano che ha ucciso la figlia trasgressiva - viene talmente e incondizionatamente strumentalizzato, da fare strame di uno dei più significativi principi della cultura occidentale: quello della responsabilità individuale. Tralasciando, per carità di patria, qualsiasi riflessione sulle funzioni multiuso di questi, peraltro preziosissimi, principi, non possiamo non notare, infatti, come l'inciviltà e la crudeltà del singolo sono immediatamente trasformati nel "normale" modo di vita di intere comunità, additate alla esecrazione, come centrali di fanatismo e criminalità.
Ultimamente poi anche la Chiesa ha deciso di mettere, sempre più pesantemente, i piedi nel piatto. Dopo avere cercato, infatti, di cavalcare opportunisticamente il fenomeno migratorio, strumentalizzando la sincera generosità di molti suoi adepti, sta ora tirando i remi in barca, non solo unendosi al concerto, ma facendosi promotrice di nuovi momenti di chiusura ed esclusione. Richiamandosi alla mai sopita vocazione alla guerra di religione, riscalda la vecchia minestra della supremazia teologica per bocca papale, che con le ultime uscite sul dio irrazionale e trascendente dell'Islam, e quindi portato alla violenza, e su quello razionale e "logico" del Cristianesimo, ha riproposto clamorosamente vecchi steccati e nuove ostilità.
Ora, a parte che sarebbe interessante capire cosa ci sia di razionale nel miracolo di San Gennaro o nelle piangenti madonne di mezza Europa, non direi che la storia del cristianesimo, di questa religione-istituzione ispirata, secondo Ratzinger, da un dio tutto logos e ragione, non abbia avuto dei bei momenti di violenza, sia individuale che collettiva. Viene quindi da chiedersi cosa si proponga questa nuova strategia vaticana. E dato che non è ipotizzabile, almeno al momento, che voglia colpire l'Islam in quanto tale (cane non mangia cane), non si può non pensare che l'obiettivo vero siano le masse, spesso incolte e sempre disperate, che in gran parte si richiamano e si abbeverano all'Islam, vedendovi, purtroppo, l'unico strumento di liberazione ed emancipazione. In perfetta sintonia con l'istituzione civile, dunque, quella religiosa si appresta a offrire il suo prezioso puntello spirituale e dottrinale al programma sociale dell'immediato futuro: loro, testa bassa, muti e lavorare, altrimenti sono botte, e non solo metaforiche! Noi, testa bassa, muti e lavorare, e tutti insieme, se non vogliamo che le nostre famose radici cristiane siano annientate dal "nemico"!
Da parte nostra, naturalmente, non possiamo che continuare ad opporci a questo processo di omologazione e sottomissione. Siamo atei convinti e motivati per tanti motivi, e non ultimo perché vediamo nella religione, in tutte le religioni, uno strumento di divisione utile soltanto alla legittimazione dell'autorità. Siamo contro lo sfruttamento e la proprietà privata dei mezzi di produzione per altrettanti motivi, e non ultimo perché vediamo nello sfruttamento il primo ostacolo al conseguimento della libertà individuale, e quindi collettiva.
Pertanto…!

Massimo Ortalli

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