Dopo lunga malattia, lo scorso 30 luglio è deceduto nella sua
residenza di Burlington, nel Vermont sulla costa atlantica, Murray
Bookchin. Lo si ricorda come un intellettuale polemico e lineare allo
stesso tempo, ma è bene precisare come Bookchin abbia svolto
diversi lavori, tra i quali amava ricordare il periodo metalmeccanico,
operaio prima e poi sindacalista della UAW sulle orme del padre che,
esule rivoluzionario dalla Russia zarista, era emigrato negli Usa
aderendo agli IWW.
Bookchin aveva 85 e mezzo, essendo nato a New York il 14 gennaio 1921,
ed era stato tra i pionieri sia della controcultura americana, sia del
pensiero ecologista, sin dal fine degli anni '50 dello scorso secolo.
Da posizioni vicine al trotzkismo si era man mano costruito una solida
concezione rivoluzionaria anarchica e libertaria, segnata nei suoi
ultimi lavori sulla storia delle rivoluzioni del XX secolo. Scrittore
prolifico e instancabile, noi lo conosciamo per una lunga stagione di
confronti italiani, tanto in occasione delle traduzioni dei suoi testi
– ricordiamo i più noti: I limiti della città
(Feltrinelli 1975), L'ecologia della libertà (Antistato e poi
Eleuthera 1984), Per una società ecologica (Eleuthera 1989),
Democrazia diretta (Eleuthera 1994) – tanto in occasione di
convegni e seminari lungo la penisola, tra cui Milano, Venezia,
Trieste, Palermo, ecc.
La cifra teorica con cui è possibile riassumere il pensiero di
Bookchin è indubbiamente quella dell'ecologia sociale. Ma
attenzione, non si tratta dell'estensione dell'approccio ecologico alla
dimensione sociale, bensì della ricapitolazione sotto la luce
della libertà di ogni rapporto sociale in cui si instauri una
relazione tra umanità e natura. Per Bookchin, infatti, è
la scelta artificiosa della libertà come pratica collettiva a
delinearsi come felice connubio con la natura, in quanto la catena
gerarchica che lega gli individui reciprocamente, sinonimo di
statualità anche prima che si formasse la forma politica dello
stato, è responsabile direttamente dello sfruttamento che
tipicizza lo scambio aristotelico e marxiano tra uomo e natura, nella
fattispecie sotto la forma generale del dominio.
La profondità di questo modulo teorico investe ogni campo del
sociale, e quindi anche la sfera ecologica specificamente intesa, ma
è illusorio ritenere di poter affrontare i guasti dell'intreccio
tecnico tra uomo e natura limando le asprezze ora del primo, ora del
secondo elemento, senza incidere invece altrettanto in
profondità sul nesso di dominazione che rende disponibili
all'uso tanto gli individui, quanto le cose.
Che la libertà come liberazione da ogni linearità
gerarchica sia un fatto concreto, e non teorico da accademici
soddisfatti, in Bookchin è rinvenibile nella sua particolare
accezione di democrazia diretta e di municipalismo libertario, a
testimoniare un'attenzione militante al presente sempre in agguato
dietro ogni enunciato teorico. Certamente la dimensione municipale di
cui si nutre la proposta di Bookchin è figlia stretta del
contesto nordamericano e East Coast, in cui il controllo dello stato
centrale sulle comunità sparse nell'immenso territorio
statunitense è molto più ridotto rispetto alla pratica
capillare di istituzioni centrali e periferiche che caratterizza il
continente europeo (e in Italia, in special modo, con l'istituzione
filo-francese delle prefetture come longa manus del governo centrale).
Tuttavia la proposta va colta in quanto tale, spogliata della sua
applicabilità realistica nella dimensione istituzionale, va
colta come sprone al rientro in grande stile dell'anarchismo
organizzato nella pratica della politica quotidiana, delle piccole cose
concrete da fare insieme in relazioni visuali e dirette, che prevedono
percorsi collettivi e delimitati secondo una istanza federalista
bottom-up, dal basso verso l'alto, e non viceversa come nei federalismi
statuali.
Secondo Bookchin, gli anarchici possono ritornare a incarnare l'utopia
solamente in un presente contraddittorio in cui impegnarsi a dimostrare
la praticabilità dell'utopia come valenza conflittuale capace di
dimostrare le potenzialità di autogoverno dell'esistenza e di
autogestione dei sistemi di produzione e di riproduzione in una visione
gradualista che prepari il rivoluzionamento delle società. Ma
senza un tale impegno quotidiano a coinvolgere nella pratica libertaria
dell'autogoverno quante più collettività possibili in un
percorso comune, condiviso, orizzontale e scevro da gerarchie di
dominazione, l'anarchia si condannerà a restare al di fuori
degli scenari mondani per divenire tema letterario carino e
folkloristico.
Bookchin ha recuperato l'esperienza della democrazia diretta come
allegoria di una proiezione potente della pratica libertaria nella
società di oggi: sta a noi, eredi di un movimento rivoluzionario
di massa, innestarci sul solco di una tradizione profondamente da
innovare per rinvigorirla e renderla al passo coi tempi. Bookchin ne
è stato uno dei protagonisti, unitamente alla sua compagna Janet
Biehl che l'affiancava negli scritti e nell'organizzazione di quella
"università" anarchica che si chiama Institute for Social
Ecology, che periodicamente raccoglie menti e pratiche di
libertà rappresentando il lascito esperienziale e non solamente
teorico di Murray Bookchin.
Salvo Vaccaro