Si è aperto il 2 ottobre a Torino il processo per
devastazione e saccheggio (art. 419 c.p.) a carico di dieci
antifascisti arrestati in seguito alla manifestazione del 18 giugno
2005, quando la manifestazione indetta per denunciare l'aggressione
fascista di due occupanti del Barocchio squat fu caricata in pieno
centro cittadino. Tra gli arrestati anarchici (tra cui un compagno
della FAI) e antagonisti, uniti dall'antifascismo militante. Ora
rischiano dagli otto a quindici anni di reclusione (questa la pena
prevista per il reato, benché a nessuno sia contestato uno
specifico danneggiamento o furto, e comunque i danni lamentati dai
negozianti della centrale via Po, dove avvenne la carica, sono del
tutto irrisori (un vetro rotto, spariti alcuni gelati e un contenitore
per le mance da un bar, danneggiate una quarantina di sedie in plastica
e tavolini).
Per denunciare la smaccata manovra repressiva e dare solidarietà
agli imputati la mattina dell'udienza si è tenuto un nutrito
presidio davanti al tribunale, mentre nei giorni precedenti nel resto
del paese ci sono stati volantinaggi e presidi di controinformazione.
Il processo è stato aggiornato al 6 novembre per iniziare
l'audizione dei testimoni indicati dall'accusa e dovrebbe durare almeno
fino alla prossima estate, se non un anno.
La vicenda torinese del giugno 2005 è stata la prima
manifestazione di piazza in cui la procura della repubblica ha
utilizzato l'imputazione di devastazione e saccheggio: normalmente
venivano contestati il danneggiamento, la resistenza, le lesioni
personali… L'utilizzo di un'imputazione del genere costituisce
un gravissimo salto del paradigma repressivo. Infatti, da subito fu
denunciato che un reato dai contorni così sfumati (quanti
danneggiamenti ci vogliono per fare una devastazione?) poteva essere
attribuito ad un numero indefinito di persone, purché avessero
partecipato alla manifestazione incriminata. Agli imputati torinesi,
manco a dirlo, non sono infatti contestati specifici atti di
danneggiamento, ma la partecipazione alla manifestazione in cui le
dette condotte si pretende siano avvenute.
Purtroppo un reato così devastante (ci si scuserà il
gioco di parole) ha già trovato un prima terribile applicazione.
A Milano, infatti, in relazione ai fatti dell'11 marzo 2006, quando un
presidio antifascista cercò di impedire la manifestazione della
Fiamma tricolore, il 19 luglio è stato condannato a quattro anni
di reclusione un primo gruppo di manifestanti che, detenuto da ormai
quattro mesi, aveva deciso di essere giudicato con il rito abbreviato
che prevede uno sconto di pena di un terzo. Le motivazioni di questa
sentenza sono state pubblicate il 15 settembre e la loro lettura
è importante per capire la linea lungo la quale intende muoversi
la repressione nei prossimi mesi.
Il nocciolo del ragionamento del giudice parte dalla qualificazione
come devastazione e saccheggio di una serie di condotte di incendio e
danneggiamento, ritenute integrare il più grave reato dell'art.
419 c.p.: qui la discrezionalità è piena, perché
non c'è alcun metro di giudizio controllabile per dire quanti e
quali fatti di danneggiamento fanno scattare l'imputazione più
grave per cui si rischiano, lo si ripete, dagli otto ai quindici anni
di reclusione.
A questo punto, basta essere stati partecipi della manifestazione per
vedersi contestare il reato per concorso se non materiale, quantomeno,
morale, perché, si legge nella sentenza, partecipando al corteo
gli imputati hanno accettato l'eventualità di azioni incendiarie
o devastatrici e la loro presenza sul luogo dei fatti avrebbe
rafforzato la volontà di chi tali azioni commetteva. La
circostanza che alla gran parte degli imputati non fossero contestati
specifici fatti di devastazione o incendio diventa irrilevante.
Ciò che conta è una sorta di concorso per presenza sul
luogo della manifestazione.
In attesa dell'appello contro la sentenza di cui abbiamo parlato,
dell'inizio del processo con rito ordinario ad altri imputati dell'11
marzo 2006 a Milano, della prosecuzione del processo per i fatti di
Torino del 18 giugno 2006, occorre prendere atto, se non le si è
ancora fatto, della gravità dell'attacco liberticida a tutti i
movimenti che in piazza e a viso aperto intendono contrastare il
prepotente ritorno dei fascisti, il razzismo, il clericalismo, lo
sfruttamento dell'uomo sull'uomo e non si assuefanno all'aria
conformista e irrespirabile che si respira. Tutti quelli, insomma, che
vogliono vivere e lottare per una società diversa, di liberi e
uguali.
W.B.