Quasi in 500 mila, tra LSULPU, Cantieristi, Tempo determinato, C.f.l.
(contratti formazione lavoro), Co.Co.Co., Contratto a progetto, Partita
Iva, Interinali, Lavoratori precari della scuola e supplenti scuole e
asili nido comunali, Titolari di assegni di ricerca o similari alle
dipendenze delle Università o degli Enti pubblici di ricerca e
altrettanti Dipendenti di ditte e coop. poiché molti sono stati
i servizi esternalizzati (con profitti enormi per le aziende
appaltatrici e un forte spreco di risorse pubbliche), possono essere
contabilizzati i precari della Pubblica Amministrazione, soltanto della
Pubblica Amministrazione.
Il 6 ottobre scorso sono stati chiamati a manifestare a Roma dalla
RdB-CUB ed hanno risposto in massa, con oltre 35.000 adesioni, cifra
che supera di gran lunga le speranze degli organizzatori che se ne
aspettavano circa 15.000. Questo a significare soprattutto due cose: la
prima è la richiesta di coordinamento tra lavoratrici e
lavoratori precari appartenenti ad enti e situazioni diversificate sia
sotto il profilo lavorativo che contrattuale. La seconda è la
volontà più che palese di uscire dal ghetto del silenzio
entro il quale i precari sono stati tenuti non solo dalle paure,
legittime, di esternare la propria condizione di lavoro ricattabile, ma
anche dagli apparati di partito e del sindacalismo istituzionale, che
li ha sempre visti come potenziale incontrollabile da gestire per conto
e delle istituzioni e del padronato.
La mobilitazione del 6 ottobre ha seguito quella indetta dai precari
dei call center, capofila Atesia, dove il collettivo interno fa
riferimento quasi esclusivamente alla Confederazione Cobas, che hanno
sfilato a Roma, il 29 settembre e precede quella del precariato indetto
da diverse sigle del sindacalismo autogestionario ed istituzionale,
nonché dal centri sociali, collettivi e partiti vari, che si
terrà a Roma il 4 novembre in occasione, tradotto contro, della
festa delle forze armate.
Alcuni nodi che stanno velocemente venendo al pettine riguardano almeno due questioni:
- La frammentazione delle mobilitazioni, le quali si caratterizzano
spesso come iniziative di sigle singole o prevalentemente singole,
favorendo così logiche molto più interne ai rapporti di
varia natura tra organizzazioni sindacali che ai reali interessi dei
lavoratori.
- I rapporti con le Istituzioni, con i partiti istituzionali e con le
componenti sindacali afferenti al sindacalismo concertativo (CGIL in
primis): questo è un problema prettamente politico, ma logica
coerente vorrebbe che si arrivasse a definire in maniera chiara la
posizione entro la quale coloro che sono corresponsabili dei processi
di precarizzazione debbano scegliere, senza equivoci, da che parte
stare. Tenere i piedi in molte scarpe avvantaggia burocrati e
politicanti di ogni sorta e specie e nuoce gravemente alla salute ed
alle tasche dei precari.
Pietro Stara