Umanità Nova, n 32 del 15 ottobre 2006, anno 86

I No Tav tra il manganello e la carota
Governo amico? Di chi?



Nelle ultime settimane l'attenzione nei confronti della questione Tav, dopo mesi di sordina dei politici e dei giornalisti, è tornata a crescere.
Sui quotidiani si sono moltiplicate le dichiarazioni, non di rado contraddittorie, di questo e di quello: dal presidente delle Ferrovie che nega l'utilità e la necessità della Torino Lione al solito Chiamparino, il sindaco di Torino, che è disposto a mettere sul tappeto la sua stessa maggioranza nella Sala Rossa del comune pur di avere mano libera sulla questione Tav, della quale continua a definirsi fanatico sostenitore. La retorica del progresso, lo spauracchio dell'isolamento del Piemonte dai grandi traffici, le proposte "alternative" dei presidenti di Regione di Liguria e Val D'Aosta, fanno da sfondo ad un quadro che, dopo mesi e mesi di tregua olimpica ed elettorale, dopo la luna di miele tra il governo e la Valle i cui voti potrebbero essere stati decisivi nel determinare l'esigua maggioranza prodiana, pare essersi rimesso in movimento.
Parrebbe in questo periodo che la lobby tavista e i suoi sponsor politici stiano, come si dice in Piemonte, "prendendo le misure" al movimento per studiare la maniera migliore di fargli un bel "cappotto". La metafora sartoriale non inganni: il cappotto in questione sarebbe decisamente scomodo e doloroso da portare. Questo "prendere le misure" si estrinseca anche nel saggiare la tenuta nel tempo della rete dei Comitati, delle associazioni, dei presidi permanenti di Bruzolo, Borgone, Venaus. Sinora i risultati non devono essere stati troppo incoraggianti per i candidati devastatori della Val Susa, poiché il movimento non è certo stato fermo, impegnandosi, oltre che contro il Tav, anche nella lotta contro l'acciaieria Beltrame, che mette a repentaglio la salute di tutti con le sue emissioni di diossine e pcb, e contro il progetto di raddoppio del tunnel autostradale del Frejus. Le ragioni dei No Tav si sono saldate con quelle dei No Tir e con quelle di chi si oppone in ogni caso ad una concezione dello sviluppo che coincida con la logica del profitto a tutti i costi.
La maggior parte dei No Tav non si fa troppe illusioni e sa che è solo questione di tempo: prima o poi il potente comitato di affari trasversale all'intero corpo politico metterà l'acceleratore alle sue ruspe ed alle proprie locomotive. Nondimeno il tema del "quando" è uno dei nodi intorno ai quali il movimento nella sua componente istituzionale è maggiormente diviso dalle associazioni e dai comitati popolari. La strategia della melina, di cui è da sempre maestro il presidente della Comunità montana bassa Val Susa, Ferrentino, può dare risultati solo se l'avversario mira a portare a casa un "pari", sperando in una partita più favorevole in futuro. In quest'ottica il "ritorno" alla procedura ordinaria per la linea ferroviaria ad Alta Velocità tra Torino e Lyon potrebbe essere riassunto nella metafora di un lungo palleggiare a centro campo sostanzialmente condiviso da due contendenti che hanno entrambi poco interesse a tentare l'affondo a rete. Il vantaggio di questa strategia è duplice: consente di evitare/rinviare lo scontro diretto con il governo e con le sue truppe e rende più difficile la manovra a chi, interessato più ai profitti che all'opera in se, potrebbe scegliere altre greppie dove mangiare e far mangiare gli amici e gli amici degli amici. Lo svantaggio è parimenti duplice: il tempo che passa consente allo straordinario apparato propagandistico dello Stato e alla lobby del cemento e del tondino di affinare le proprie strategie comunicative e nel contempo tentare di dividere l'unità del movimento, senza la quale le azioni "muscolari" sarebbero più facili. Occorre peraltro notare che il ritorno alle procedure ordinarie, quali le conferenze dei servizi, non fornisce alcuna garanzia che il governo, di fronte al no delle amministrazioni locali, non possa decidere di procedere comunque. Anzi. Potrebbe fornire all'esecutivo l'alibi per agire, dopo la farsa della consultazione dei rappresentanti del territorio.
Tra i comitati popolari e le associazioni ambientaliste tende a prevalere il timore che le possibilità di allungare i tempi non siano infinite e che la strategia intrapresa dal governo rappresenti un mero logoramento in attesa di un rapido ed energico affondo finale. Alla fin fine, al di là delle chiacchiere da bar, da transatlantico e da giornale, restano sul tappeto alcuni fatti difficilmente smontabili. Un progetto ormai definitivo per la tratta internazionale della Torino Lyon, una parte del quale, il tunnel geognostico di Venaus, è ormai appaltato e in fase esecutiva, dopo la consegna ad LTF, il general contractor per questa parte, dei terreni presi con la forza, liberati dal movimento l'8 dicembre, ma assegnati legalmente ai signori delle ruspe dalla magistratura. Nulla se non il presidio permanente di Venaus e il timore della rivolta tiene ferma la CMC, la cooperativa rossa che dovrebbe eseguire questa parte dell'opera.
Il rischio, paventato sin dalla primavera, è che il governo tenti di lavorare ai fianchi il movimento, incidendo nelle zone più deboli, come la Gronda Ovest, dove solo alcuni sindaci sono schierati con i No Tav, oppure cercando in modo strisciante di far passare una parte degli oppositori all'opera su posizioni meno intransigenti, scivolando dal No Tav al "come" Tav.
Niente di nuovo sotto il sole, naturalmente, poiché il movimento No Tav ben conosce questa situazione ed ha saputo in passato evitarne le insidie.
Il tentativo di sostituire momentaneamente il bastone alla carota mettendo a capo dell'Osservatorio tecnico sul Tav l'architetto Mario Virano, incaricato in passato del difficile ruolo di uomo immagine della Sitaf, la società autostradale, si è scontrato con la ferma opposizione alle manovre alla "vaselina" di un uomo i cui interessi personali e la cui storia politica si intrecciano strettamente a quelli dei fautori del Tav.
Diversamente da un anno fa, tuttavia, il movimento è esposto a rischi derivanti dalla sua stessa forza: dopo la rivolta dello scorso anno il No Tav è diventato una questione di rilevanza nazionale, finendo con il catalizzare il più vasto movimento, che, su scala nazionale, si oppone alle grandi opere, alla devastazione del territorio, allo spreco delle risorse pubbliche per fini privati, alla pretesa dei governi di imporre decisioni non condivise dalle comunità locali. I No Tav del Piemonte sono diventati un simbolo e come tutti i simboli, rappresentano un gustoso boccone sia per chi ambirebbe appuntarsene alla giacca il distintivo, sia per chi li considera un duro ostacolo ai propri interessi, in Val Susa come nel resto del paese. Sia i supporter "interessati" sia i "nemici" dichiarati hanno sostenitori tra le file della maggioranza di governo. In questo contesto si inserisce anche la manifestazione romana del 14 ottobre contro la legge obiettivo, una manifestazione la cui genesi è lo specchio dei tentativi mal riusciti di incanalare i No Tav nel rassicurante alveo di ala critica dell'attuale maggioranza governativa, Quest'ala "critica" sta lavorando intorno ad un progetto politico che qualcuno ha chiamato "Cosa Rossa", ossia il tentativo di costruire una aggregazione politica di sinistra, dopo il varo del nuovo partito che unirebbe Margherita e DS. La Cosa Rossa, che vede tra i suoi promotori Antonio Ferrentino, Giorgio Airaudo della Fiom e il presidente dell'Arci, mira a raccogliere intorno alla bandiera dei movimenti popolari, dell'associazionismo e della componente di sinistra della CGIL, il PRC e la sinistra DS, pronta alla scissione dopo la "fusione" tra Riformisti e Margherita.
Un gioco sporco. Un gioco sporco perché mette in pericolo l'indipendenza dei movimenti tentando di canalizzarli verso un progetto politico, che pare improbabile possa prescindere dall'attuale quadro istituzionale, un quadro che vede comunque maggioritaria la lobby della velocità e delle grandi opere. Un gioco che già ora passa dal tentativo di esclusione delle componenti popolari dai processi decisionali.
Il fatto che la manifestazione del 14 Roma, inizialmente fissata in giugno (quando, non a caso il tema dell'opposizione alla legge obiettivo si coniugava a quello dell'opposizione alla legge elettorale e alla difesa della Costituzione), poi rimandata a fine settembre e a ottobre, sia continuamente slittata dipende sia dalla "resistenza" dei No Tav ai tentativi di imbrigliamento politico, sia alle titubanze dei principali sponsor della manifestazione, che hanno finito con il promuoverla "debolmente", pubblicizzandola poco e tentando di incanalarla in una più rassicurante "festa popolare".
Il movimento No Tav ha tuttavia sviluppato una maturità politica e una capacità di autonomia notevoli, grazie alle quali non hanno funzionato né i tentativi di criminalizzazione, né le manganellate, né la vaselina, né le attenzioni interessate di certi amici.
Non a caso di fronte ad una modalità di indizione ed ad una piattaforma debole e poco incisiva hanno piazzato i piedi nel piatto, mettendo in discussione sia le modalità che i contenuti della manifestazione del 14 ottobre contro la legge obiettivo.
Il breve documento che ne è scaturito pone l'accento sul rifiuto della delega in bianco a chicchessia e rivendica il diritto di veto ad un'opera inutile, dannosa distruttiva. Il documento in questione, sottoscritto da buona parte dei Comitati No Tav, si titola significativamente "Non un passo indietro… Non ci sono governi amici", e prosegue poi sottolineando che "Il movimento popolare contro il TAV si è ripreso la libertà di decidere sul proprio futuro, sulla tutela della salute e sulla salvaguardia del territorio. Riteniamo, pertanto, scorretto il metodo che ha definito la piattaforma di convocazione della Manifestazione romana del 14 ottobre 2006. Non dubitiamo delle buone intenzioni che hanno guidato la stesura del documento, ma diventare organizzatori senza essere coinvolti non rispecchia le modalità che abbiamo scelto.
Abbiamo condiviso la scelta di convocare una grande manifestazione nazionale che unisse le ragioni dei movimenti che si oppongono alla realizzazione delle grandi opere, ma è sotto gli occhi di tutti che queste ultime sono state volute dai Governi, sia di destra che di sinistra.
La Legge Obiettivo è il coronamento di un processo ultra ventennale, volto a spianare la strada al partito unico degli affari.
La Finanziaria 2007 prevede un uso scellerato delle nostre liquidazioni, (Tfr) destinandole ad un"fondo infrastrutture", inventato appositamente per finanziare il progetto fallimentare delle grandi opere.
Questo provvedimento conferma la perversa continuità del Governo attuale con quello precedente."
Un segnale forte e chiaro che i No Tav non fanno sconti a nessuno.

Maria Matteo

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