A volte episodi diversi tra loro, avvenuti a migliaia di chilometri di
distanza invitano ad una riflessione a proposito del rapporto tra
potere ed informazione e ribadiscono l'importanza di portare
all'interno di tutte le nostre lotte queste tematiche che spesso
vengono considerate meno importanti di altre.
Come è noto la libertà di informazione, di farla e di
usufruirne, viene universalmente riconosciuta oggi come un diritto
fondamentale. Addirittura vengono organizzati incontri internazionali
nei quali politici ed esperti fingono di preoccuparsi della distanza
che intercorre tra le società nelle quali sono garantite le
libertà di espressione e di informazione e quelle che le negano.
La realtà ci mostra invece quanto sia sottile la differenza che
passa tra uno stato formalmente democratico ed uno sinceramente
autoritario.
Il sette ottobre scorso è stata assassinata a Mosca la
giornalista russa Anna Politkovskaya, nota anche fuori dalla Russia per
i suoi articoli sulla situazione cecena. Un omicidio, chiaramente su
commissione, legato all'attività della cronista che più
volte aveva denunciato la politica portata avanti dal Cremlino in
quella zona. Già nel 2004 la donna si era salvata da un
tentativo di avvelenamento e diverse erano state le intimidazioni nei
suoi confronti. I sospetti si sono immediatamente appuntati verso
l'entourage del presidente Putin, considerato il più preoccupato
dal lavoro della giornalista, ma non è escluso che l'omicidio
sia stato ordinato proprio dai nemici del premier russo per far
ricadere su di lui l'ondata di sdegno sollevata dal fatto.
Anna Politkovskaya non è l'unica ad aver pagato con la vita il
suo mestiere, secondo "Reporter senza Frontiere" nel 2005 sono stati 63
i giornalisti uccisi e almeno 807 quelli incarcerati. La maggior parte
di essi è caduta in zone di guerra (Iraq in primo luogo) ma
diversi sono stati i casi di giornalisti ammazzati in paesi dove non ci
sono combattimenti, come le Filippine. Ad ucciderli sono stati
soprattutto uomini in divisa, vale a dire il braccio armato del potere
o killer di grosse organizzazioni criminali, il braccio armato dei
poteri ombra. In ogni caso lo scopo principale non era quello di
eliminare un avversario pericoloso o un testimone scomodo ma piuttosto
quello di impedirgli di fare informazione, di raccontare qualcosa di
diverso dai media ufficiali, di scoprire qualche verità scomoda
per il Potere. Un mezzo di censura estremo, definitivo.
Ovviamente l'attitudine censoria del potere non si esprime sempre
attraverso tali metodi brutali ma anche e soprattutto attraverso il
controllo nella diffusione delle informazioni e attraverso il blocco di
quelle ritenute non conformiste. Uno degli ultimi odiosi episodi
è accaduto recentemente proprio in Italia.
La Provincia di Pisa, a conduzione "democratica e di sinistra", ha
pensato (male) di installare un filtro sulla propria rete di computer
per impedire l'accesso al sito web della rete "Stop precarietà".
In questo modo, a chiunque dei lavoratori che provi a collegarsi alle
pagine di quel sito compare un antipatico messaggio che recita: "...la
pagina che hai cercato di accedere contiene, o è marcata come
contenente, materiale che è stato ritenuto non appropriato." La
cosa ridicola è che quelle pagine web sono praticamente vuote,
in quanto il sito è stato aperto da pochissimo tempo e quindi il
"materiale non appropriato" esiste solo nella fantasia dei censori di
turno. La cosa più preoccupante è invece che sono (con
tutta probabilità) stati bloccati, insieme a quello, anche altri
siti scomodi. La cattiva azione non ha alcun tipo di appiglio legale
anzi, ai sensi dello Statuto dei Lavoratori, si potrebbe configurare
come comportamento antisindacale in quanto l'Amministrazione pubblica
impedisce ai propri dipendenti l'accesso ad informazioni riguardanti le
problematiche sindacali e del lavoro. Di solito nessuno si sogna di
impedire ad un lavoratore di leggere un volantino sindacale durante
l'orario di lavoro e lo stesso dovrebbe valere per una pagina web.
Quello sopra non è un caso isolato in quanto anche altre
istituzioni pubbliche non trovano di meglio da fare che impedire ai
propri utenti di accedere liberamente alle informazioni disponibili su
Internet. L'Università di Bologna ha dotato le postazioni
pubbliche dei suoi computer di filtri che impediscono l'accesso alle
pagine web degli zapatisti, considerate "militanti ed estremiste". Un
bel modo di portare avanti il ruolo di trasmissione del sapere di
quella che pomposamente ama definirsi come la "prima (sic!)
Università del mondo occidentale".
Naturalmente la morte di un essere umano non è paragonabile al
blocco di un sito web ma, fatte le debite proporzioni, entrambe sono
azioni che hanno come unico scopo quello di impedire che le
informazioni circolino, che aumenti la coscienza delle persone, che
qualcuno sveli il doppio volto che si nasconde sotto la maschera del
potere, che da una parte esalta la libertà di espressione e
dall'altra la combatte.
Pepsy