Umanità Nova, n 32 del 15 ottobre 2006, anno 86

Immigrazione: politiche repressive tra Madrid e Roma
Notti bianche e giorni bui



Si è tenuto a Madrid alla fine di settembre il vertice europeo degli otto paesi del sud dell'Europa sull'immigrazione: ministri degli esteri e dell'interno di Francia, Spagna, Portogallo, Malta, Grecia, Cipro, Slovenia e Italia (in quest'ultimo caso si trattava di un sottosegretario) hanno sostanzialmente dibattuto sul ruolo dell'Unione europea nella gestione dei flussi migratori e sulla possibilità di realizzare strategie comuni. Ovviamente, le strategie sono di tipo repressivo.
Dopo alcune scaramucce "a distanza" tra il ministro francese Sarkozy e il primo ministro spagnolo Zapatero (hanno litigato nello stabilire chi dei due è più inflessibile nei confronti dei clandestini), la riunione ha raggiunto un accordo «minimo» costruito attorno alla richiesta del ministro degli interni spagnolo, Alfredo Perez Rubalcaba, appoggiata da Sarkozy, affinché l'Unione europea si doti di una «politica dei rimpatri» comuni. L'obiettivo dell'incontro è stato di far accettare all'Unione europea (e ai paesi dell'est) di devolvere ai paesi del sud europeo la fetta più consistente degli 1,8 milioni di euro destinati al Fondo europeo di controllo delle frontiere esterne per il periodo 2007-13 al fine di rafforzare «sensibilmente» i poteri e i mezzi dell'agenzia europea Frontex (nata nel 2005 per coordinare la protezione delle frontiere esterne dei 25), per permettere di requisire anche mezzi militari e navali nazionali, o di polizia, in caso di afflusso massiccio di immigrati sulle coste meridionali dell'Ue. La Francia ha addirittura dato la propria disponibilità per «pattugliare» i cieli di Malta e ha offerto lo stesso servizio al Senegal.
Sarkozy ha proposto ai delegati un «patto europeo», sui «grandi principi di una politica comune che gli stati membri si impegnerebbero a rispettare». In buona sostanza, il ministro francese ha sfoderato il suo armamentario più classico: «proibizione in futuro di ogni sanatoria di massa; stretta limitazione delle regolarizzazioni a situazioni umanitarie, caso per caso; rispetto del principio di proporzionalità tra il flusso migratorio e le capacità di accoglienza nel mercato del lavoro, la casa, i servizi pubblici; condizionamento dei ricongiungimenti famigliari ai redditi da lavoro e alla possibilità di offrire alla famiglia un domicilio sufficiente; principio dell'allontanamento sistematico dei clandestini, salvo casi umanitari particolari».
Se a Madrid si mettevano a punto nuove formule repressive per una sempre maggiore collaborazione fra gli stati della Ue in chiave anti-immigrazione, solo pochi giorni dopo, in Italia, era l'amministrazione comunale di Roma a distinguersi per un incredibile zelo repressivo.
In seguito allo sgombero di circa 150 immigrati rumeni dalla baraccopoli del lungotevere all'altezza di Ponte Marconi, il comune ha messo a disposizione delle forze di polizia italo-rumene l'Ufficio per il decoro urbano dell'XI circoscrizione adibendolo a centro di permanenza temporanea.
Per quattro giorni nessuno è potuto entrare: accesso vietato ad avvocati, giornalisti e parlamentari. Con due voli charter partiti da Ciampino alla volta di Bucarest sono stati rimpatriati quasi immediatamente un centinaio di immigrati, quasi tutti di etnia Rom e, successivamente, donne e bambini sono stati trasferiti in aeroporto con le jeep della polizia forzando il tentativo di blocco degli attivisti antirazzisti che si sono mobilitati sin dal primo momento per ostacolare o fermare questa deportazione. Il prefetto Achille Serra, sollecitato sull'argomento, ha dichiarato – mentendo – che gli immigrati sono stati trattenuti nella struttura comunale solo per un giorno, e poi ha candidamente sostenuto che si è trattato di «una normale operazione di polizia di rimpatrio di clandestini» specificando di non sapere «perché è stato usato quel posto anziché il CPT di ponte Galeria» e che «la decisione è stata presa dal comune di Roma e dal questore».
Dopo le notti bianche, il sindaco Veltroni ha deciso di cambiare i connotati anche ai giorni, rendendoli sempre più bui e tetri per tutti quei soggetti indesiderabili che possono intaccare l'immagine da cartolina che il primo cittadino di Roma vorrebbe consolidare per la città che governa. Una linea che assomiglia a quella adottata da un altro sceriffo di centrosinistra, Sergio Cofferati, e che è comune a moltissime amministrazioni in tutta Italia. L'obiettivo è quello di ridefinire il senso delle città italiane prefigurando lo scenario auspicato dai poteri forti: spazi urbani artificiali e artificiosi, metropoli asettiche che nascondano la polvere della sperequazione sociale sotto il tappeto dei lager, delle deportazioni e dello sfruttamento perpetrato nell'ombra, lontano da occhi indiscreti.

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti