Si è tenuto a Madrid alla fine di settembre il vertice europeo
degli otto paesi del sud dell'Europa sull'immigrazione: ministri degli
esteri e dell'interno di Francia, Spagna, Portogallo, Malta, Grecia,
Cipro, Slovenia e Italia (in quest'ultimo caso si trattava di un
sottosegretario) hanno sostanzialmente dibattuto sul ruolo dell'Unione
europea nella gestione dei flussi migratori e sulla possibilità
di realizzare strategie comuni. Ovviamente, le strategie sono di tipo
repressivo.
Dopo alcune scaramucce "a distanza" tra il ministro francese Sarkozy e
il primo ministro spagnolo Zapatero (hanno litigato nello stabilire chi
dei due è più inflessibile nei confronti dei
clandestini), la riunione ha raggiunto un accordo «minimo»
costruito attorno alla richiesta del ministro degli interni spagnolo,
Alfredo Perez Rubalcaba, appoggiata da Sarkozy, affinché
l'Unione europea si doti di una «politica dei rimpatri»
comuni. L'obiettivo dell'incontro è stato di far accettare
all'Unione europea (e ai paesi dell'est) di devolvere ai paesi del sud
europeo la fetta più consistente degli 1,8 milioni di euro
destinati al Fondo europeo di controllo delle frontiere esterne per il
periodo 2007-13 al fine di rafforzare «sensibilmente» i
poteri e i mezzi dell'agenzia europea Frontex (nata nel 2005 per
coordinare la protezione delle frontiere esterne dei 25), per
permettere di requisire anche mezzi militari e navali nazionali, o di
polizia, in caso di afflusso massiccio di immigrati sulle coste
meridionali dell'Ue. La Francia ha addirittura dato la propria
disponibilità per «pattugliare» i cieli di Malta e
ha offerto lo stesso servizio al Senegal.
Sarkozy ha proposto ai delegati un «patto europeo», sui
«grandi principi di una politica comune che gli stati membri si
impegnerebbero a rispettare». In buona sostanza, il ministro
francese ha sfoderato il suo armamentario più classico:
«proibizione in futuro di ogni sanatoria di massa; stretta
limitazione delle regolarizzazioni a situazioni umanitarie, caso per
caso; rispetto del principio di proporzionalità tra il flusso
migratorio e le capacità di accoglienza nel mercato del lavoro,
la casa, i servizi pubblici; condizionamento dei ricongiungimenti
famigliari ai redditi da lavoro e alla possibilità di offrire
alla famiglia un domicilio sufficiente; principio dell'allontanamento
sistematico dei clandestini, salvo casi umanitari particolari».
Se a Madrid si mettevano a punto nuove formule repressive per una
sempre maggiore collaborazione fra gli stati della Ue in chiave
anti-immigrazione, solo pochi giorni dopo, in Italia, era
l'amministrazione comunale di Roma a distinguersi per un incredibile
zelo repressivo.
In seguito allo sgombero di circa 150 immigrati rumeni dalla
baraccopoli del lungotevere all'altezza di Ponte Marconi, il comune ha
messo a disposizione delle forze di polizia italo-rumene l'Ufficio per
il decoro urbano dell'XI circoscrizione adibendolo a centro di
permanenza temporanea.
Per quattro giorni nessuno è potuto entrare: accesso vietato ad
avvocati, giornalisti e parlamentari. Con due voli charter partiti da
Ciampino alla volta di Bucarest sono stati rimpatriati quasi
immediatamente un centinaio di immigrati, quasi tutti di etnia Rom e,
successivamente, donne e bambini sono stati trasferiti in aeroporto con
le jeep della polizia forzando il tentativo di blocco degli attivisti
antirazzisti che si sono mobilitati sin dal primo momento per
ostacolare o fermare questa deportazione. Il prefetto Achille Serra,
sollecitato sull'argomento, ha dichiarato – mentendo – che
gli immigrati sono stati trattenuti nella struttura comunale solo per
un giorno, e poi ha candidamente sostenuto che si è trattato di
«una normale operazione di polizia di rimpatrio di
clandestini» specificando di non sapere «perché
è stato usato quel posto anziché il CPT di ponte
Galeria» e che «la decisione è stata presa dal
comune di Roma e dal questore».
Dopo le notti bianche, il sindaco Veltroni ha deciso di cambiare i
connotati anche ai giorni, rendendoli sempre più bui e tetri per
tutti quei soggetti indesiderabili che possono intaccare l'immagine da
cartolina che il primo cittadino di Roma vorrebbe consolidare per la
città che governa. Una linea che assomiglia a quella adottata da
un altro sceriffo di centrosinistra, Sergio Cofferati, e che è
comune a moltissime amministrazioni in tutta Italia. L'obiettivo
è quello di ridefinire il senso delle città italiane
prefigurando lo scenario auspicato dai poteri forti: spazi urbani
artificiali e artificiosi, metropoli asettiche che nascondano la
polvere della sperequazione sociale sotto il tappeto dei lager, delle
deportazioni e dello sfruttamento perpetrato nell'ombra, lontano da
occhi indiscreti.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria