Umanità Nova, n 32 del 15 ottobre 2006, anno 86

Letture


A. Rabinad, La suora anarchica, S. Maria Capua Vetere, Edizioni Spartaco, 2006
Abel Paz, Cronaca appassionata della Columna de Hierro, Torino, Autoproduzioni Fenix, 2006


Siamo nel settantesimo anniversario della rivoluzione spagnola, e nuovi lavori, storici o letterari, che ricordino quella memorabile stagione, si offrono oggi all'attenzione del lettore.
Come si sa, gli avvenimenti spagnoli, anche se coprirono un arco temporale di nemmeno tre anni, possono comunque essere considerati una sorta di compendio della complessità politica e sociale del ventesimo secolo, perché in quel lasso di tempo relativamente breve vennero drammaticamente al pettine tutti i nodi e le contraddizioni cui aveva dato vita lo sconvolgimento provocato dalla Grande Guerra. Le rivoluzioni proletarie, le controrivoluzioni fasciste e reazionarie, le deboli risposte democratiche o le forti spinte nazionaliste ed autonomiste, ebbero infatti modo di misurarsi nella penisola iberica, portando la dialettica ideologica sul terreno di uno scontro armato feroce e definitivo, le cui conseguenze si sarebbero fatte sentire nei lunghi decenni successivi.
La presenza dell'anarchismo organizzato fu uno dei fenomeni più peculiari e significativi dell'esperienza spagnola, e la carica autogestionaria e rivoluzionaria espressa dal proletariato libertario può essere considerata, se non l'unica, certamente la forza determinante nel fermare sul nascere il successo del sollevamento. Questa volontà di costruire quel mondo nuovo che gli anarchici spagnoli portavano nel loro cuore non si manifestò solo nell'organizzazione orizzontale delle attività produttive o nella creazione delle collettività agricole emancipate dal retaggio del latifondismo, ma si concretizzò anche, in parallela scansione ideale e temporale, nella formazione delle milizie che mossero dalle città sottratte ai generali per riconquistare le località cadute sotto il controllo dei militari. Ed è in considerazione dell'importanza di queste milizie nella storia della rivoluzione spagnola, che sono loro dedicati due fra i testi più interessanti usciti recentemente sulla guerra di Spagna e dei quali cercherò di rendere conto in questa breve e doppia recensione.
Della Colonna Durruti, forse la più importante, e sicuramente la più famosa fra tutte quelle formatesi all'indomani del 19 luglio, parla lo scrittore catalano Antonio Rabinad nel suo breve romanzo La suora anarchica (A. Rabinad, La suora anarchica, S. Maria Capua Vetere, Edizioni Spartaco, 2006, 14,00 €), una storia intrigante ma non sempre convincente da cui nel 1996 è stato tratto il film Libertarias. Della quasi altrettanto famosa Colonna di Ferro, ricostruisce invece le vicende lo storico e militante anarchico barcellonese Diego Camacho, noto anche con lo pseudonimo di Abel Paz (Abel Paz, Cronaca appassionata della Columna de Hierro, Torino, Autoproduzioni Fenix, 2006), in una edizione ricca non solo di notizie di prima mano, ma anche di foto e documenti. Giunge opportuna la concomitanza di queste due edizioni, perché ci permette di osservare come cose e vicende pressoché analoghe, e comunque con la stessa matrice, possano essere "riportate alla luce" in modo contrastante anche da due autori appartenenti allo schieramento antifascista. Fatte salve, naturalmente, le dovute differenze che attengono al versante storico e a quello letterario.
Come è noto, l'esperienza delle milizie popolari non fu solo un fatto militare, anzi, per tanti aspetti, quella militare fu addirittura secondaria rispetto alla vicenda rivoluzionaria che i miliziani anarcosindacalisti interpretarono con tanta efficacia. Mano a mano, infatti, che la Colonna Durruti, procedeva da Barcellona verso Saragozza, e che la Colonna di Ferro, partita da Valencia, si muoveva per conquistare l'importante nodo di Teruel, entrambe cercarono, spesso con successo, di trasformare completamente i rapporti sociali nei villaggi e nei paesi "conquistati". In questo favoriti dall'autentico entusiasmo con cui il proletariato dei centri e delle campagne, già predisposto da una lunga ginnastica rivoluzionaria, ne condivideva idee e progetti. Ed è proprio su queste conquiste sociali che Rabinad e Camacho, pur da prospettive diverse, pongono simmetricamente l'accento.
Ne La suora anarchica Rabinad narra la vicenda di una giovanissima suora, la quale, fuggita da un convento in procinto di cadere nelle mani dei "rossi", si aggrega avventurosamente a un gruppo di navigate prostitute, emancipate dalla loro umiliante professione grazie all'intervento di un drappello di mujeres libres. Desiderose anch'esse di dare un contributo alla lotta antifascista, ma soprattutto di portare una parola di libertà, queste donne si uniscono alla Colonna Durruti, partecipando in prima persona alla sua esaltante esperienza. E in mezzo ai miliziani, divisa fra il persistente attaccamento alla fede e la sorpresa per la carica di umanità delle compagne, fra la lealtà per la Colonna e il desiderio di riunirsi alla famiglia conservatrice, suor Juana riesce a far convivere il fazzoletto rosso e nero con il segno della croce. Solo alla fine, quando la tragedia della guerra le avrà mostrato la feroce crudeltà del mondo a cui apparteneva, la sua scelta sarà di riparare nella Barcellona ancora in mano agli anarchici. Come si può capire da questa succinta descrizione, la simpatia dell'autore non va certo al franchismo, ma pare però che Rabinad indulga troppo a un taglio folcloristico e manieristico tale da togliere consistenza tanto alla sua velata simpatia per Durruti e la Colonna, quanto alla stessa struttura narrativa. Lascio volentieri al lettore la possibilità di scoprire come questo frequente accondiscendere a luoghi comuni superficiali possa infastidirne la lettura, e basterà citare l'inutile e un po' maschilista capitolo sulla diffusione delle malattie veneree trasmesse ai miliziani dalle ex prostitute. Può anche darsi che sia davvero successo qualcosa del genere, ma credo che l'aver trattato tale argomento in modo leggero e goliardico, non mirasse ad altro che solleticare il voyeurismo di qualche lettore.
Con tutt'altra impostazione, anche perché ci troviamo di fronte al frutto di una seria ricerca storica, l'opera di Abel Paz, che si mostra ancora una volta attento non solo nella puntigliosa lettura dei documenti, ma anche nell'interpretazione e nella disanima degli snodi cruciali che i miliziani di quella colonna, forse più di altri, dovettero affrontare. La Colonna di Ferro, infatti, era composta da un vero e proprio "nocciolo duro" dell'anarchismo e dell'anarcosindacalismo spagnolo, e la sua iniziale intransigenza pratica ed ideologica la rese oggetto non solo della prevedibile e naturale ostilità delle forze istituzionali e di quelle legate all'Unione Sovietica, ma anche della diffidenza, per non dire altro, dei settori più possibilisti e "ragionanti" della Cnt e della Fai. Altrettanto decisa nel portare avanti le conquiste rivoluzionarie quanto lo erano le altre colonne anarchiche in Catalogna, Aragona e Levante, la Colonna di Ferro fu ugualmente decisa nel difenderle quando le vedeva messe in discussione dagli atteggiamenti compromissori dei dirigenti anarcosindacalisti, vivendo ad esempio gli incarichi governativi conferiti ai militanti cenetisti, come un vero e proprio tradimento. Questo suo atteggiamento, naturalmente, non poteva non crearle nemici altrettanto determinati quanto i fascisti, e infatti, quando non bastarono più le menzogne e le calunnie per screditarne l'azione, entrarono in azione, a Valencia, le mitragliatrici della Ceka bolscevica. Anche per i miliziani della Colonna di Ferro, comunque, si presentò la necessità di stemperare la propria volontà rivoluzionaria nell'accettazione delle regole imposte dalla parola d'ordine "prima di tutto battere il fascismo" e anche i suoi famosi incontrolados dovettero accettare la militarizzazione.
Il grande merito del lavoro di Abel Paz è di avere fornito al lettore gli strumenti atti a comprendere appieno la drammatica irreversibilità di quelle decisioni, mostrando, grazie alla ricchezza dei documenti prodotti, quanto fosse stata sofferta, ma anche ragionata e in un certo senso obbligata, la scelta dei miliziani "di ferro" di accettare e fare proprie le nuove regole imposte dal potere repubblicano. Quelle regole che, come osserva giustamente Mario Frisetti nella sua breve presentazione, si sarebbero poi dimostrate "autodistruttive delle loro stesse vite".
Due lavori, come si vede, che pur partendo da prospettive sostanzialmente antitetiche, affrontano, per molti aspetti, la stessa tematica. Naturalmente anche i risultati, soprattutto dal nostro punto di vista, sono diversamente felici e interessanti visto che lo scopo che si era prefisso Rabinad non era, né poteva essere, lo stesso di Diego Camacho. Liberi l'uno e l'altro di affrontare le Colonne anarchiche come gli era più congeniale. Noi, da parte nostra, non abbiamo alcun dubbio su quale dei due libri consigliare a chi voglia davvero capire cosa fu la rivoluzione spagnola.

Massimo Ortalli

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