A. Rabinad, La suora anarchica, S. Maria Capua Vetere, Edizioni
Spartaco, 2006
Abel Paz, Cronaca appassionata della Columna de Hierro,
Torino, Autoproduzioni Fenix, 2006
Siamo nel settantesimo anniversario della rivoluzione spagnola, e nuovi
lavori, storici o letterari, che ricordino quella memorabile stagione,
si offrono oggi all'attenzione del lettore.
Come si sa, gli avvenimenti spagnoli, anche se coprirono un arco
temporale di nemmeno tre anni, possono comunque essere considerati una
sorta di compendio della complessità politica e sociale del
ventesimo secolo, perché in quel lasso di tempo
relativamente breve vennero drammaticamente al pettine tutti i nodi e
le contraddizioni cui aveva dato vita lo sconvolgimento provocato dalla
Grande Guerra. Le rivoluzioni proletarie, le controrivoluzioni fasciste
e reazionarie, le deboli risposte democratiche o le forti spinte
nazionaliste ed autonomiste, ebbero infatti modo di misurarsi nella
penisola iberica, portando la dialettica ideologica sul terreno di uno
scontro armato feroce e definitivo, le cui conseguenze si sarebbero
fatte sentire nei lunghi decenni successivi.
La presenza dell'anarchismo organizzato fu uno dei fenomeni
più peculiari e significativi dell'esperienza spagnola, e la
carica autogestionaria e rivoluzionaria espressa dal proletariato
libertario può essere considerata, se non l'unica,
certamente la forza determinante nel fermare sul nascere il successo
del sollevamento. Questa volontà di costruire quel mondo
nuovo che gli anarchici spagnoli portavano nel loro cuore non si
manifestò solo nell'organizzazione orizzontale delle
attività produttive o nella creazione delle
collettività agricole emancipate dal retaggio del
latifondismo, ma si concretizzò anche, in parallela
scansione ideale e temporale, nella formazione delle milizie che
mossero dalle città sottratte ai generali per riconquistare
le località cadute sotto il controllo dei militari. Ed
è in considerazione dell'importanza di queste milizie nella
storia della rivoluzione spagnola, che sono loro dedicati due fra i
testi più interessanti usciti recentemente sulla guerra di
Spagna e dei quali cercherò di rendere conto in questa breve
e doppia recensione.
Della Colonna Durruti, forse la più importante, e
sicuramente la più famosa fra tutte quelle formatesi
all'indomani del 19 luglio, parla lo scrittore catalano Antonio Rabinad
nel suo breve romanzo La suora anarchica (A. Rabinad, La suora
anarchica, S. Maria Capua Vetere, Edizioni Spartaco, 2006, 14,00
€), una storia intrigante ma non sempre convincente da cui nel
1996 è stato tratto il film Libertarias. Della quasi
altrettanto famosa Colonna di Ferro, ricostruisce invece le vicende lo
storico e militante anarchico barcellonese Diego Camacho, noto anche
con lo pseudonimo di Abel Paz (Abel Paz, Cronaca appassionata della
Columna de Hierro, Torino, Autoproduzioni Fenix, 2006), in una edizione
ricca non solo di notizie di prima mano, ma anche di foto e documenti.
Giunge opportuna la concomitanza di queste due edizioni,
perché ci permette di osservare come cose e vicende
pressoché analoghe, e comunque con la stessa matrice,
possano essere "riportate alla luce" in modo contrastante anche da due
autori appartenenti allo schieramento antifascista. Fatte salve,
naturalmente, le dovute differenze che attengono al versante storico e
a quello letterario.
Come è noto, l'esperienza delle milizie popolari non fu solo
un fatto militare, anzi, per tanti aspetti, quella militare fu
addirittura secondaria rispetto alla vicenda rivoluzionaria che i
miliziani anarcosindacalisti interpretarono con tanta efficacia. Mano a
mano, infatti, che la Colonna Durruti, procedeva da Barcellona verso
Saragozza, e che la Colonna di Ferro, partita da Valencia, si muoveva
per conquistare l'importante nodo di Teruel, entrambe cercarono, spesso
con successo, di trasformare completamente i rapporti sociali nei
villaggi e nei paesi "conquistati". In questo favoriti dall'autentico
entusiasmo con cui il proletariato dei centri e delle campagne,
già predisposto da una lunga ginnastica rivoluzionaria, ne
condivideva idee e progetti. Ed è proprio su queste
conquiste sociali che Rabinad e Camacho, pur da prospettive diverse,
pongono simmetricamente l'accento.
Ne La suora anarchica Rabinad narra la vicenda di una giovanissima
suora, la quale, fuggita da un convento in procinto di cadere nelle
mani dei "rossi", si aggrega avventurosamente a un gruppo di navigate
prostitute, emancipate dalla loro umiliante professione grazie
all'intervento di un drappello di mujeres libres. Desiderose anch'esse
di dare un contributo alla lotta antifascista, ma soprattutto di
portare una parola di libertà, queste donne si uniscono alla
Colonna Durruti, partecipando in prima persona alla sua esaltante
esperienza. E in mezzo ai miliziani, divisa fra il persistente
attaccamento alla fede e la sorpresa per la carica di
umanità delle compagne, fra la lealtà per la
Colonna e il desiderio di riunirsi alla famiglia conservatrice, suor
Juana riesce a far convivere il fazzoletto rosso e nero con il segno
della croce. Solo alla fine, quando la tragedia della guerra le
avrà mostrato la feroce crudeltà del mondo a cui
apparteneva, la sua scelta sarà di riparare nella Barcellona
ancora in mano agli anarchici. Come si può capire da questa
succinta descrizione, la simpatia dell'autore non va certo al
franchismo, ma pare però che Rabinad indulga troppo a un
taglio folcloristico e manieristico tale da togliere consistenza tanto
alla sua velata simpatia per Durruti e la Colonna, quanto alla stessa
struttura narrativa. Lascio volentieri al lettore la
possibilità di scoprire come questo frequente
accondiscendere a luoghi comuni superficiali possa infastidirne la
lettura, e basterà citare l'inutile e un po' maschilista
capitolo sulla diffusione delle malattie veneree trasmesse ai miliziani
dalle ex prostitute. Può anche darsi che sia davvero
successo qualcosa del genere, ma credo che l'aver trattato tale
argomento in modo leggero e goliardico, non mirasse ad altro che
solleticare il voyeurismo di qualche lettore.
Con tutt'altra impostazione, anche perché ci troviamo di
fronte al frutto di una seria ricerca storica, l'opera di Abel Paz, che
si mostra ancora una volta attento non solo nella puntigliosa lettura
dei documenti, ma anche nell'interpretazione e nella disanima degli
snodi cruciali che i miliziani di quella colonna, forse più
di altri, dovettero affrontare. La Colonna di Ferro, infatti, era
composta da un vero e proprio "nocciolo duro" dell'anarchismo e
dell'anarcosindacalismo spagnolo, e la sua iniziale intransigenza
pratica ed ideologica la rese oggetto non solo della prevedibile e
naturale ostilità delle forze istituzionali e di quelle
legate all'Unione Sovietica, ma anche della diffidenza, per non dire
altro, dei settori più possibilisti e "ragionanti" della Cnt
e della Fai. Altrettanto decisa nel portare avanti le conquiste
rivoluzionarie quanto lo erano le altre colonne anarchiche in
Catalogna, Aragona e Levante, la Colonna di Ferro fu ugualmente decisa
nel difenderle quando le vedeva messe in discussione dagli
atteggiamenti compromissori dei dirigenti anarcosindacalisti, vivendo
ad esempio gli incarichi governativi conferiti ai militanti cenetisti,
come un vero e proprio tradimento. Questo suo atteggiamento,
naturalmente, non poteva non crearle nemici altrettanto determinati
quanto i fascisti, e infatti, quando non bastarono più le
menzogne e le calunnie per screditarne l'azione, entrarono in azione, a
Valencia, le mitragliatrici della Ceka bolscevica. Anche per i
miliziani della Colonna di Ferro, comunque, si presentò la
necessità di stemperare la propria volontà
rivoluzionaria nell'accettazione delle regole imposte dalla parola
d'ordine "prima di tutto battere il fascismo" e anche i suoi famosi
incontrolados dovettero accettare la militarizzazione.
Il grande merito del lavoro di Abel Paz è di avere fornito
al lettore gli strumenti atti a comprendere appieno la drammatica
irreversibilità di quelle decisioni, mostrando, grazie alla
ricchezza dei documenti prodotti, quanto fosse stata sofferta, ma anche
ragionata e in un certo senso obbligata, la scelta dei miliziani "di
ferro" di accettare e fare proprie le nuove regole imposte dal potere
repubblicano. Quelle regole che, come osserva giustamente Mario
Frisetti nella sua breve presentazione, si sarebbero poi dimostrate
"autodistruttive delle loro stesse vite".
Due lavori, come si vede, che pur partendo da prospettive
sostanzialmente antitetiche, affrontano, per molti aspetti, la stessa
tematica. Naturalmente anche i risultati, soprattutto dal nostro punto
di vista, sono diversamente felici e interessanti visto che lo scopo
che si era prefisso Rabinad non era, né poteva essere, lo
stesso di Diego Camacho. Liberi l'uno e l'altro di affrontare le
Colonne anarchiche come gli era più congeniale. Noi, da
parte nostra, non abbiamo alcun dubbio su quale dei due libri
consigliare a chi voglia davvero capire cosa fu la rivoluzione spagnola.
Massimo Ortalli