Le mobilitazioni dei lavoratori precari hanno caratterizzato l'anno in
corso. Per precari, genericamente, intendiamo quei lavoratori
subordinati (di fatto e/o di diritto) sia pubblici che privati il cui
contratto non è a tempo indeterminato. Sono lavoratori a
scadere, che spesso da anni lavorano per il medesimo datore, con
contratti, cioè assetti giuridici della relazione con il datore
di lavoro, i più diversi. Dalle collaborazioni coordinate e
continuative, ai lavoratori interinali, ai contratti a termine, ai
collaboratori a progetto, occasionali, staff leasing, intermittenti,
contratto di formazione e lavoro, apprendisti e altri contratti
formativi. La condizione di instabilità del rapporto di lavoro
si è sempre più allargata, tanto che i lavoratori precari
sono, nelle fasce di lavoratori più giovani, la maggioranza ed
è normale che si passi da questa trafila per accedere
all'agognato contratto di lavoro a tempo indeterminato. La
caratteristica di selezione del personale dei contratti precari
è ovvia, dal punto di vista datoriale. Come è ovvia la
possibilità di gestire in modo flessibile gli alti e bassi degli
ordinativi e delle commesse. Fino alla semplice lesina su contribuzione
fiscale o certi istituti contrattuali come i minimi retributivi, la
malattia, le ferie, il TFR ecc. Il problema è che la
precarietà ha raggiunto, almeno in certi settori, dimensioni
strutturali. Per motivi diversi, i call center e gli enti pubblici sono
due realtà dove il precariato è, letteralmente, dilagato.
E dove, appunto, negli ultimi mesi sono in corso, vaste lotte e sono
intervenuti diversi soggetti istituzionali, dalla magistratura
nazionale e dell'Unione Europea, agli ispettori del lavoro, al
ministero del lavoro, nonché con accordi i sindacati
concertativi e con l'organizzazione e il sostegno delle lotte, il
sindacalismo autorganizzato, di base e conflittuale.
L'analisi puntuale dei singoli interventi giuridico-amministrativi
richiederebbe tempo e spazio. Ma, per brevità, diciamo che certi
nodi stanno venendo al pettine. La mobilitazione dei precari dello
Stato del 6 ottobre è caduta esattamente un mese dopo la
sentenza della Corte di Giustizia Cee del 7 settembre (C-180/04) che ha
vagliato la conformità al diritto comunitario del divieto,
contenuto nell'ordinamento italiano, di trasformare in rapporto stabile
una pluralità di illegittimi contratti precari nel pubblico
impiego (art. 36 D.Lgs. 165/01). Per ora la normativa nostrana si
è salvata da una bocciatura clamorosa, ma le indicazioni date
dalla Corte di Giustizia, se recepite nelle aule di giustizia,
dovrebbero portare ad un aumento vertiginoso delle vertenze, almeno
risarcitorie: se proprio non li volete stabilizzare, si dice, almeno li
dovete risarcire del danno subito dalla mancata stabilizzazione del
loro contratto. Per certi versi per gli enti pubblici così
potrebbe essere peggio.
La dura vertenza dei co.co.co. e co.co.pro dei call center ha oggi
superato sia l'ambito sindacale che giudiziario ed ha costretto ad
intervenire lo stesso Ministero del Lavoro con la nota circolare del
giugno ultimo scorso, che cercava di dare specifici indirizzi agli
ispettori del lavoro che, intanto, avevano ed hanno ordinato la
assunzione come tempi indeterminati di centinaia e centinaia di
precari, soprattutto co.co.pro.; da ultimo, il ministero e
CGIL-CISL-UIL hanno sottoscritto un'intesa che rischia di mettere la
sordina alle ispezioni fin qui eseguite. È interessante che
diversi soggetti istituzionali si ritrovino in contraddizione nel loro
operare (ispettori contro il loro stesso ministero, ad esempio) o che
tocchi ai magistrati del lavoro di fatto dare un assetto compiuto alla
normativa dei co.co.pro., quando ciò sarebbe ben più
materia di accordi sindacali; accordi che, però, ormai arrivano
solo dopo che qualche sentenza o ispezione ha sparigliato i giochi tra
capitale e lavoro.
È evidente che le contraddizioni tra norme giuridiche sul lavoro
precario e principi dell'ordinamento del lavoro (nazionali e
comunitari) sono sempre più scoperti e sono portati alla luce
dalle tenaci lotte dei lavoratori che cercano stabilità (a sua
volta, in primo luogo, una condizione giuridica, dalla quale discende
una condizione economica). L'azione tra i lavoratori da parte dei
soggetti che si pongono in termini conflittuali rispetto allo stato di
cose presenti deve tener presente anche questo ultimo aspetto, per
nulla irrilevante nell'attuale situazione.
Simone Bisacca