Umanità Nova, n 33 del 22 ottobre 2006, anno 86

Afganistan
I poteri dell'oppio



Anche nel mercato italiano sta giungendo l'oppio, sostanza assai rara - allo stato puro - fino a poco tempo fa: circostanza questa certo non casuale, se si tiene conto dell'aumento smisurato della produzione in Afganistan. I dati ufficiali diffusi dalle varie agenzie riguardanti il 2006 non lasciano infatti margini di dubbio: la produzione ha registrato un incremento del 49% rispetto al 2005, mentre le coltivazioni sono aumentate del 59%. Secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Undcp), "il raccolto di quest'anno si aggirerà sulle 6.100 tonnellate d'oppio, circa il 92%dell'offerta mondiale. Eccede di un 30% il consumo globale". Nel 2005 qualcuno aveva evidenziato, con grande enfasi propagandistica, una modesta riduzione delle aree coltivate a papavero (che peraltro non corrispondeva ad una effettiva diminuzione della produzione oppiacea); ma adesso non ci sono più margini d'equivoco: dai 260.000 acri del 2005 siamo balzati agli attuali 400.000, nonostante la distruzione di circa 38.000 acri coltivati.
Da tempo, d'altronde, l'Afganistan è il principale produttore di oppio, pressoché senza rivali; ma ormai siamo al record assoluto ed è emblematico che ciò stia avvenendo sotto l'occupazione militare statunitense e della Nato, dopo che tra i proclamati obiettivi della guerra preventiva al terrorismo vi era proprio la lotta al narcotraffico, anche se fu proprio la Cia assieme ai fidi servizi segreti pakistani ad introdurre massicciamente la produzione dell'oppio ai tempi della resistenza contro l'occupazione sovietica.
Con la produzione del 1994 (2.800 tonnellate), l'Afganistan superò la Birmania: oltre l'80% dell'eroina smerciata in Europa occidentale proveniva allora dalla Mezzaluna d'oro (Afganistan e Pakistan). Fino al 1998, ossia sotto il Governo del presidente Rabbani e poi sotto i Talebani, la produzione si mantenne a quel livello, per poi raggiungere nel 1999 il record di 4.600 tonnellate.
Il regime talebano da parte sua, si accontentava di imporre, come per qualsiasi altra coltura, una tassa pari al 10%, ossia la "zakat" (decima musulmana) e con la guerra ha rinunciato anche a questa, per assicurarsi l'appoggio delle tribù che coltivano abitualmente il papavero; tanto più che la loro presenza è forte nelle province di Helmand e del Nangarhar, due importanti regioni di clan pashtun.
Evidentemente, aldilà della retorica proibizionista della War on drugs, pure gli occupanti si sono presto resi conto che oltre a costituire la principale risorsa economica del paese - con quasi tre milioni di afgani che vivono di essa - la produzione dell'oppio è fondamentale per mantenere alleanze con i poteri tribali, per controllare il territorio e per non far precipitare ulteriormente la situazione sociale stretta dalla miseria.
D'altra parte il capitale, da sempre, non fa distinzione tra ciò che lecito o illecito, così come la legge del profitto non si occupa di questioni di natura morale.
Eppure, di fronte a tale più che evidente realtà, l'Onu, la Nato e l'amministrazione statunitense continuano ad utilizzare, strumentalmente, il problema del narcotraffico come pretesto per l'occupazione militare e le operazioni di guerra.
In questi ultimi mesi si sono infatti sprecate le dichiarazioni in tal senso: da quelle del generale David Richards, comandante dell'Isaf-Nato, a quelle di Antonio Mario Costa, direttore esecutivo dell'Undcp, che ha recentemente chiesto alla Nato di intervenire per la distruzione delle coltivazioni, invitando il governo afgano a riempire entro sei mesi le celle di un nuovo edificio carcerario di massima sicurezza.
Ma l'equazione narcotraffico-guerriglia talebana appare del tutto discutibile, o quantomeno rispondente alla verità quanto quella narcotraffico-occupazione militare o quella narcotraffico-governo islamico. Infatti se la produzione è cresciuta nelle province meridionali dove la guerriglia impera, è altrettanto vero che è aumentata anche in aree pacificate e sotto controllo governativo, tanto è vero che solo 6 province su 34 ne risultano esenti. Inoltre, mentre nell'enclave pashtun e talebana di Kandahar la produzione è scesa dell'87%, il governo Karzai, a partire dal fratello del presidente, risulta coinvolto con svariati ministri e alti gradi nel narco-business.
E, certo, senza sollevare alcuno scandalo.

U. F.

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