Anche nel mercato italiano sta giungendo l'oppio, sostanza assai rara -
allo stato puro - fino a poco tempo fa: circostanza questa certo non
casuale, se si tiene conto dell'aumento smisurato della produzione in
Afganistan. I dati ufficiali diffusi dalle varie agenzie riguardanti il
2006 non lasciano infatti margini di dubbio: la produzione ha
registrato un incremento del 49% rispetto al 2005, mentre le
coltivazioni sono aumentate del 59%. Secondo l'Ufficio delle Nazioni
Unite contro la droga e il crimine (Undcp), "il raccolto di quest'anno
si aggirerà sulle 6.100 tonnellate d'oppio, circa il
92%dell'offerta mondiale. Eccede di un 30% il consumo globale". Nel
2005 qualcuno aveva evidenziato, con grande enfasi propagandistica, una
modesta riduzione delle aree coltivate a papavero (che peraltro non
corrispondeva ad una effettiva diminuzione della produzione oppiacea);
ma adesso non ci sono più margini d'equivoco: dai 260.000 acri
del 2005 siamo balzati agli attuali 400.000, nonostante la distruzione
di circa 38.000 acri coltivati.
Da tempo, d'altronde, l'Afganistan è il principale produttore di
oppio, pressoché senza rivali; ma ormai siamo al record assoluto
ed è emblematico che ciò stia avvenendo sotto
l'occupazione militare statunitense e della Nato, dopo che tra i
proclamati obiettivi della guerra preventiva al terrorismo vi era
proprio la lotta al narcotraffico, anche se fu proprio la Cia assieme
ai fidi servizi segreti pakistani ad introdurre massicciamente la
produzione dell'oppio ai tempi della resistenza contro l'occupazione
sovietica.
Con la produzione del 1994 (2.800 tonnellate), l'Afganistan
superò la Birmania: oltre l'80% dell'eroina smerciata in Europa
occidentale proveniva allora dalla Mezzaluna d'oro (Afganistan e
Pakistan). Fino al 1998, ossia sotto il Governo del presidente Rabbani
e poi sotto i Talebani, la produzione si mantenne a quel livello, per
poi raggiungere nel 1999 il record di 4.600 tonnellate.
Il regime talebano da parte sua, si accontentava di imporre, come per
qualsiasi altra coltura, una tassa pari al 10%, ossia la "zakat"
(decima musulmana) e con la guerra ha rinunciato anche a questa, per
assicurarsi l'appoggio delle tribù che coltivano abitualmente il
papavero; tanto più che la loro presenza è forte nelle
province di Helmand e del Nangarhar, due importanti regioni di clan
pashtun.
Evidentemente, aldilà della retorica proibizionista della War on
drugs, pure gli occupanti si sono presto resi conto che oltre a
costituire la principale risorsa economica del paese - con quasi tre
milioni di afgani che vivono di essa - la produzione dell'oppio
è fondamentale per mantenere alleanze con i poteri tribali, per
controllare il territorio e per non far precipitare ulteriormente la
situazione sociale stretta dalla miseria.
D'altra parte il capitale, da sempre, non fa distinzione tra ciò
che lecito o illecito, così come la legge del profitto non si
occupa di questioni di natura morale.
Eppure, di fronte a tale più che evidente realtà, l'Onu,
la Nato e l'amministrazione statunitense continuano ad utilizzare,
strumentalmente, il problema del narcotraffico come pretesto per
l'occupazione militare e le operazioni di guerra.
In questi ultimi mesi si sono infatti sprecate le dichiarazioni in tal
senso: da quelle del generale David Richards, comandante
dell'Isaf-Nato, a quelle di Antonio Mario Costa, direttore esecutivo
dell'Undcp, che ha recentemente chiesto alla Nato di intervenire per la
distruzione delle coltivazioni, invitando il governo afgano a riempire
entro sei mesi le celle di un nuovo edificio carcerario di massima
sicurezza.
Ma l'equazione narcotraffico-guerriglia talebana appare del tutto
discutibile, o quantomeno rispondente alla verità quanto quella
narcotraffico-occupazione militare o quella narcotraffico-governo
islamico. Infatti se la produzione è cresciuta nelle province
meridionali dove la guerriglia impera, è altrettanto vero che
è aumentata anche in aree pacificate e sotto controllo
governativo, tanto è vero che solo 6 province su 34 ne risultano
esenti. Inoltre, mentre nell'enclave pashtun e talebana di Kandahar la
produzione è scesa dell'87%, il governo Karzai, a partire dal
fratello del presidente, risulta coinvolto con svariati ministri e alti
gradi nel narco-business.
E, certo, senza sollevare alcuno scandalo.
U. F.