In questi giorni un anziano signore si lamentava, davanti al suo
"promotore finanziario" in una banca cittadina, dei disagi viabilistici
causati dalle misure di sicurezza per la visita del Papa a Verona in
occasione del Quarto convegno ecclesiastico nazionale: «mi son
catolico e lu, poareto, no ghe n'ha mia la colpa», diceva rivolto
al pontefice: «la colpa l'è de questa aministrassion che
g'avemo…». Il riferimento al sindaco Paolo Zanotto, se non
per altro, pare cogliere il segno per un aspetto. Come il popolino, ai
tempi dell'antico regime, di fronte alle asperità della vita
quotidiana tendeva ad assolvere l'inconsapevole e retto sovrano dando
la colpa ai suoi vassalli corrotti, così il nostro anziano
cattolico riproduceva assai efficacemente il rapporto di vassallaggio
oggi esistente tra il sovrano della gerarchia cattolica e il
rappresentante della municipalità, tra la Chiesa e le
istituzioni. Le centinaia di migliaia di euro spesi dal Comune di
centro-sinistra, unite a tutti gli altri provvedimenti messi in atto in
questa occasione (chiusura delle scuole, limitazioni alla circolazione,
blitz polizieschi nelle zone critiche ad alta densità di
immigrazione…) disegnano concretamente la messa al servizio di
un'intera città per un evento promosso dalla Chiesa e, nei suoi
confronti, la parallela volontà di autorappresentazione da parte
dell'Amministrazione di una comunità coesa e concorde, vale a
dire pienamente supina. Che è poi la variante locale di un
processo di dimensioni assai più ampie. Il "miracolo" del
Nordest, la rete diffusa delle piccole imprese del capannone di
famiglia (nonostante la sua crisi attuale sui mercati) è
cresciuto e si è alimentato nei decenni all'ombra
dell'altrettanto capillare rete dei campanili e delle parrocchie. Non
occorrerà ricordare al sindaco di centro-sinistra che il primo
provvedimento dell'amministrazione radical-socialista che
governò Verona dal 1907 al 1922 fu l'abolizione
dell'insegnamento religioso nelle scuole comunali: cose passate,
triturate già in tempi lontani dal concordato fascista. Eppure
oggi, caduti i miti identitari novecenteschi, la Chiesa si ripropone,
senza temere il confronto con la modernità, sempre uguale a se
stessa. E, dopo la fine del fordismo, in tempi di crisi del welfare
statuale, presenta la sua morale e la sua struttura come l'unico
rimedio possibile all'allentamento dei legami sociali e comunitari.
Concretamente, la sua capillare rete di scuole confessionali, strutture
assistenziali e ospedaliere, associazioni di volontariato, tende sempre
più a coprire lo spazio aperto dalle politiche di
privatizzazione, candidandosi pienamente ad assumere su di sé i
risultati dell'outsorcing promosso dall'azienda Stato. Tutto questo non
solo dal punto di vista materiale ma in senso più ampio,
politico e ideologico. Non c'è libertà e non c'è
ragione, dice papa Ratzinger, al di fuori della Chiesa e della sua
verità. Così, il buon politico, a qualsiasi schieramento
appartenga, è colui che riconosce l'autorità dei suoi
precetti, al pari di qualsiasi buon cittadino. E non c'è
cittadinanza possibile al di fuori della difesa militante dei tre miti
della famiglia, della vita, dell'amore "retto".
Fortunatamente, le società e le forme di vita degli uomini e
delle donne che le compongono sono assai più complesse di come
la gerarchia cattolica le vorrebbe. Per renderlo evidente e pubblico, e
per contestare la pretesa della Chiesa di essere autorità
normatrice sui corpi e sui desideri delle persone, un cartello di
gruppi e associazioni veronesi ha promosso, nelle settimane della
sbornia ecclesiastica, una serie di iniziative. Con la volontà
di denunciare l'ipocrisia della difesa di una presunta famiglia
naturale definita dal matrimonio tra persone di sesso diverso; della
difesa della vita "dal concepimento alla morte naturale", negatrice
della libertà delle donne e dei malati di decidere del proprio
corpo; della condanna dell'amore "deviato", un costante attacco omofobo
alle relazioni affettive di omosessuali, lesbiche, bisessuali, trans.
Con l'impegno di ricordare l'appoggio del Vaticano alle peggiori
dittature, gli interessi economici della multinazionale cattolica, la
responsabilità della Chiesa nel boicottaggio della prevenzione
delle malattie a trasmissione sessuale, il silenzio sui numerosi casi
di pedofilia tra il clero, e, non ultima, la promozione di una forma di
famiglia che sempre più spesso appare struttura patologica e
criminogena. Come testimonia, a Verona, la necessità da parte
delle istituzioni di creare un Osservatorio sulle violenze familiari
visto l'enorme incremento di violenze di ogni genere consumate
all'interno delle mura casalinghe.
Il Circolo Pink, il Csoa La Chimica, la Biblioteca G. Domaschi e il
coordinamento Facciamo Breccia hanno quindi organizzato "Layca!
Autodeterminazione, laicità, libertà": dibattiti e
incontri sulla laicità della sfera pubblica, su un modo altro di
intendere la stessa religione, sulla lotta delle donne libertarie nella
rivoluzione spagnola (di cui ricorre il 70° anniversario),
sull'anticlericalismo. E momenti pubblici, in piazza: così,
mentre il papa lasciava il trono marmoreo allestito all'interno dello
stadio Bentegodi, nel multietnico quartiere di Veronetta sfilava
– fatalmente in via XX Settembre – una festosa e
dissacrante "frocessione". Aperta dalla proclamazione di una papessa
trans e durante la quale, accanto ai gonfaloni dei comuni di Sodoma e
Gomorra, appariva – tra le altre – una Madonna con la
valigia pronta e il biglietto con destinazione Svizzera e Spagna, per
poter usufruire della fecondazione eterologa.
Una serie di eventi che conferma una collaborazione tra realtà
diverse, caratterizzate da percorsi propri, ma coinvolte in questi
ultimi anni da una virtuosa convergenza in diverse occasioni. Nella
denuncia delle mozioni omofobe votate dal consiglio comunale nel 1995 e
mai ritirate dall'attuale amministrazione; nella denuncia dei legami
tra i gruppi tradizionalisti cattolici locali, Forza Nuova e i vertici
politici leghisti; nella concreta solidarietà a rom e sinti
più volte oggetto di sgomberi; nella comune celebrazione,
alternativa e distante da quella istituzionale e militaresca, del 25
aprile di tutte le vittime "non nominate" del nazifascismo: oltre agli
ebrei, gli antifascisti, gli anarchici, gli omosessuali, le lesbiche, i
rom, i malati mentali, le prostitute. Celebrazione che il 25 aprile di
quest'anno si è sostanziata nella pacifica interruzione della
messa in piazza promossa da integralisti cattolici, leghisti e
neofascisti in onore di S. Marco con aperta volontà
revisionista, e conclusa con più di venti antifascisti fermati e
la immancabile condanna delle istituzioni ai "violenti dei centri
sociali".
Una collaborazione che non hanno voluto fare propria i gruppi dell'UAAR
e di Arcigay-Arcilesbica che, pur partecipando al percorso di
costruzione di "Layca!", se ne sono voluti poi distanziare paventando,
da parte di Arcigay-Arcilesbica, timori di manifestazioni
"antidemocratiche e blasfeme". Ma esprimendo in un caso
l'incapacità di cogliere la ricchezza di molteplici e variegati
apporti alle battaglie laiche e anticlericali, nell'altro il timore,
comune a molta "sinistra" cittadina e non solo, di qualsiasi presa di
posizione pubblica apertamente critica nei confronti della Chiesa. Una
stazione in più nella "via frocis" che, in circa duecento
persone, abbiamo dovuto percorrere. E le strade di Verona per il papa,
tutto sommato, erano meno affollate che in occasione della più
popolare corsa podistica cittadina.
A. D.