Umanità Nova, n 34 del 29 ottobre 2006, anno 86

Verona
Layca frocessione


In questi giorni un anziano signore si lamentava, davanti al suo "promotore finanziario" in una banca cittadina, dei disagi viabilistici causati dalle misure di sicurezza per la visita del Papa a Verona in occasione del Quarto convegno ecclesiastico nazionale: «mi son catolico e lu, poareto, no ghe n'ha mia la colpa», diceva rivolto al pontefice: «la colpa l'è de questa aministrassion che g'avemo…». Il riferimento al sindaco Paolo Zanotto, se non per altro, pare cogliere il segno per un aspetto. Come il popolino, ai tempi dell'antico regime, di fronte alle asperità della vita quotidiana tendeva ad assolvere l'inconsapevole e retto sovrano dando la colpa ai suoi vassalli corrotti, così il nostro anziano cattolico riproduceva assai efficacemente il rapporto di vassallaggio oggi esistente tra il sovrano della gerarchia cattolica e il rappresentante della municipalità, tra la Chiesa e le istituzioni. Le centinaia di migliaia di euro spesi dal Comune di centro-sinistra, unite a tutti gli altri provvedimenti messi in atto in questa occasione (chiusura delle scuole, limitazioni alla circolazione, blitz polizieschi nelle zone critiche ad alta densità di immigrazione…) disegnano concretamente la messa al servizio di un'intera città per un evento promosso dalla Chiesa e, nei suoi confronti, la parallela volontà di autorappresentazione da parte dell'Amministrazione di una comunità coesa e concorde, vale a dire pienamente supina. Che è poi la variante locale di un processo di dimensioni assai più ampie. Il "miracolo" del Nordest, la rete diffusa delle piccole imprese del capannone di famiglia (nonostante la sua crisi attuale sui mercati) è cresciuto e si è alimentato nei decenni all'ombra dell'altrettanto capillare rete dei campanili e delle parrocchie. Non occorrerà ricordare al sindaco di centro-sinistra che il primo provvedimento dell'amministrazione radical-socialista che governò Verona dal 1907 al 1922 fu l'abolizione dell'insegnamento religioso nelle scuole comunali: cose passate, triturate già in tempi lontani dal concordato fascista. Eppure oggi, caduti i miti identitari novecenteschi, la Chiesa si ripropone, senza temere il confronto con la modernità, sempre uguale a se stessa. E, dopo la fine del fordismo, in tempi di crisi del welfare statuale, presenta la sua morale e la sua struttura come l'unico rimedio possibile all'allentamento dei legami sociali e comunitari. Concretamente, la sua capillare rete di scuole confessionali, strutture assistenziali e ospedaliere, associazioni di volontariato, tende sempre più a coprire lo spazio aperto dalle politiche di privatizzazione, candidandosi pienamente ad assumere su di sé i risultati dell'outsorcing promosso dall'azienda Stato. Tutto questo non solo dal punto di vista materiale ma in senso più ampio, politico e ideologico. Non c'è libertà e non c'è ragione, dice papa Ratzinger, al di fuori della Chiesa e della sua verità. Così, il buon politico, a qualsiasi schieramento appartenga, è colui che riconosce l'autorità dei suoi precetti, al pari di qualsiasi buon cittadino. E non c'è cittadinanza possibile al di fuori della difesa militante dei tre miti della famiglia, della vita, dell'amore "retto".
Fortunatamente, le società e le forme di vita degli uomini e delle donne che le compongono sono assai più complesse di come la gerarchia cattolica le vorrebbe. Per renderlo evidente e pubblico, e per contestare la pretesa della Chiesa di essere autorità normatrice sui corpi e sui desideri delle persone, un cartello di gruppi e associazioni veronesi ha promosso, nelle settimane della sbornia ecclesiastica, una serie di iniziative. Con la volontà di denunciare l'ipocrisia della difesa di una presunta famiglia naturale definita dal matrimonio tra persone di sesso diverso; della difesa della vita "dal concepimento alla morte naturale", negatrice della libertà delle donne e dei malati di decidere del proprio corpo; della condanna dell'amore "deviato", un costante attacco omofobo alle relazioni affettive di omosessuali, lesbiche, bisessuali, trans. Con l'impegno di ricordare l'appoggio del Vaticano alle peggiori dittature, gli interessi economici della multinazionale cattolica, la responsabilità della Chiesa nel boicottaggio della prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale, il silenzio sui numerosi casi di pedofilia tra il clero, e, non ultima, la promozione di una forma di famiglia che sempre più spesso appare struttura patologica e criminogena. Come testimonia, a Verona, la necessità da parte delle istituzioni di creare un Osservatorio sulle violenze familiari visto l'enorme incremento di violenze di ogni genere consumate all'interno delle mura casalinghe.
Il Circolo Pink, il Csoa La Chimica, la Biblioteca G. Domaschi e il coordinamento Facciamo Breccia hanno quindi organizzato "Layca! Autodeterminazione, laicità, libertà": dibattiti e incontri sulla laicità della sfera pubblica, su un modo altro di intendere la stessa religione, sulla lotta delle donne libertarie nella rivoluzione spagnola (di cui ricorre il 70° anniversario), sull'anticlericalismo. E momenti pubblici, in piazza: così, mentre il papa lasciava il trono marmoreo allestito all'interno dello stadio Bentegodi, nel multietnico quartiere di Veronetta sfilava – fatalmente in via XX Settembre – una festosa e dissacrante "frocessione". Aperta dalla proclamazione di una papessa trans e durante la quale, accanto ai gonfaloni dei comuni di Sodoma e Gomorra, appariva – tra le altre – una Madonna con la valigia pronta e il biglietto con destinazione Svizzera e Spagna, per poter usufruire della fecondazione eterologa.
Una serie di eventi che conferma una collaborazione tra realtà diverse, caratterizzate da percorsi propri, ma coinvolte in questi ultimi anni da una virtuosa convergenza in diverse occasioni. Nella denuncia delle mozioni omofobe votate dal consiglio comunale nel 1995 e mai ritirate dall'attuale amministrazione; nella denuncia dei legami tra i gruppi tradizionalisti cattolici locali, Forza Nuova e i vertici politici leghisti; nella concreta solidarietà a rom e sinti più volte oggetto di sgomberi; nella comune celebrazione, alternativa e distante da quella istituzionale e militaresca, del 25 aprile di tutte le vittime "non nominate" del nazifascismo: oltre agli ebrei, gli antifascisti, gli anarchici, gli omosessuali, le lesbiche, i rom, i malati mentali, le prostitute. Celebrazione che il 25 aprile di quest'anno si è sostanziata nella pacifica interruzione della messa in piazza promossa da integralisti cattolici, leghisti e neofascisti in onore di S. Marco con aperta volontà revisionista, e conclusa con più di venti antifascisti fermati e la immancabile condanna delle istituzioni ai "violenti dei centri sociali".
Una collaborazione che non hanno voluto fare propria i gruppi dell'UAAR e di Arcigay-Arcilesbica che, pur partecipando al percorso di costruzione di "Layca!", se ne sono voluti poi distanziare paventando, da parte di Arcigay-Arcilesbica, timori di manifestazioni "antidemocratiche e blasfeme". Ma esprimendo in un caso l'incapacità di cogliere la ricchezza di molteplici e variegati apporti alle battaglie laiche e anticlericali, nell'altro il timore, comune a molta "sinistra" cittadina e non solo, di qualsiasi presa di posizione pubblica apertamente critica nei confronti della Chiesa. Una stazione in più nella "via frocis" che, in circa duecento persone, abbiamo dovuto percorrere. E le strade di Verona per il papa, tutto sommato, erano meno affollate che in occasione della più popolare corsa podistica cittadina.

A. D.

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