Nel famigerato "decreto Pisanu" (vedi UN n.27 del 2005) del luglio del
2005, tra le tante nefandezze ne compariva anche una che prevedeva il
"prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale (sic!)
del soggetto" di "capelli o saliva" (art.10, comma 1), ai fini
dell'analisi e della comparazione del DNA del malcapitato. Il decreto
in questione riguardava "misure urgenti per il contrasto del terrorismo
internazionale", la solita copertura sotto la quale stanno passando i
provvedimenti più liberticidi.
Il 12 ottobre scorso, il Consiglio dei Ministri ha rincarato la dose
approvando un Disegno di Legge col quale si estende la pratica del
prelievo coatto, vale a dire senza l'autorizzazione del soggetto, anche
al di fuori dell'ambito della "lotta al terrorismo internazionale".
Il provvedimento prevede "la possibilità per l'autorità
giudiziaria di prelevare, pur in un contesto di piena tutela
dell'indagato e in un'ottica di non invasività, parti di
materiale biologico (capelli, peli, saliva) che consentano
l'individuazione del profilo genetico dell'individuo, a fini di
raffronto con profili genetici rintracciati nel corso di indagini
giudiziarie;" (dal comunicato ufficiale)
Sui media sono stati pubblicati altri particolari del testo di legge:
il prelievo potrà essere effettuato solo per gli indagati per
reati che prevedono pene superiori nel massimo a tre anni; l'analisi
dovrà essere disposta dal giudice con un provvedimento motivato
e solo in casi urgenti anche dal PM; il prelievo andrà
effettuato davanti all'avvocato difensore; i campioni prelevati saranno
distrutti immediatamente dopo l'uso o conservati per un certo periodo
in determinati casi.
Per meglio comprendere la gravità di un provvedimento del genere
è utile una breve descrizione dell'aspetto scientifico della
faccenda.
Il DNA (Acido DesossiriboNucleico) è il nostro materiale
genetico, cioè quello che abbiamo ereditato dai nostri genitori
e che ha determinato gran parte delle nostre caratteristiche fisiche.
È contenuto in tutte le cellule e da queste può essere
estratto con procedure piuttosto semplici, anche partendo da piccole
quantità di materiale. Complessivamente, il nostro DNA è
diverso da quello di ogni altro individuo (gemelli esclusi), ed
è proprio da questa differenza che deriva la diversità
degli individui. In altre parole il nostro DNA è ciò che
ci rende unici.
Oggi esistono molte tecniche di laboratorio usate nell'ambito della
medicina legale che si basano sull'analisi del DNA trovato su un
oggetto per cercare di risalire all'individuo dal quale esso proviene.
Quest'obiettivo è forse troppo ambizioso vista la
complessità del DNA di un individuo e molto spesso le analisi si
limitano a confrontare il DNA ignoto con quello di una persona per
vedere se alcune zone specifiche coincidono.
In ambiente scientifico queste procedure vengono dette "profilo
genetico" o "fingerprinting" perché così come il
confronto sulle impronte digitali, queste analisi sono in grado di
identificare una persona dalle tracce che ha lasciato. Tali tecniche
sono usate per molti scopi come l'identificazione di vittime di
catastrofi, esclusioni e attribuzioni di paternità e sono sempre
più presenti nelle aule di tribunale quali prove a carico o a
discarico di imputati.
I problemi di una indagine di questo tipo sono relativi alla
possibilità di errore nel responso dell'analisi. La
possibilità di sbagliare con questo tipo di tecniche è
molto piccola poiché le analisi sono molto estese ed
approfondite e il perfezionarsi delle tecniche rende progressivamente
più ridotto il margine di errore, che però può
essere ancora presente. Infatti oltre al rischio teorico di coincidenze
casuali, oggi considerato molto basso vista la quantità degli
elementi sui quali si opera il confronto, esiste pur sempre la
possibilità di un errore provocato dalla contaminazione dei
campioni dentro o fuori dal laboratorio. È per questo che ancora
oggi, in ambito legale, queste prove non dovrebbero essere considerate
definitive, ma solo di supporto ad una evidenza che dovrebbe rendersi
palese anche con altri elementi.
Come è ovvio, tali sistemi di indagine hanno una utilità
solo se esiste una banca dati nella quale sono raccolti i risultati
ottenuti da altri campioni precedentemente acquisiti con i quali
confrontare quelli prelevati in una particolare occasione.
Peccato (si fa per dire) che una banca dati del genere non esiste
ancora, a quanto risulta, la sua costituzione non è stata
prevista all'interno del provvedimento di legge. Lo stesso dicasi per i
problemi relativi alla conservazione dei dati e la custodia dei
campioni. Si dice che il Governo attenda il parere del Garante per la
Privacy al quale ha sottoposto il problema e quindi, viste le pessime
figure fatte recentemente da questa autorità, è
prevedibile un ennesimo pasticcio.
Sarebbe superfluo ricordare che stiamo ancora in attesa di conoscere
(vedi caso Telecom) come siano state utilizzate, a fini di interesse
personale e politico, alcune delle banche dati più riservate
esistenti in Italia (vedi UN n.27 del 2006) e non è fantascienza
prevedere che anche una futura banca del DNA diventerà una
pericolosa arma in mano a squallidi personaggi o gruppi di potere,
palesi od occulti.
Resta la constatazione che la corsa verso l'instaurazione di una
"società a forma di cella" non sembra avere battute di arresto,
non passa giorno senza l'approvazione di nuove misure di controllo
della vita di tutti, sempre più invasive e capillari. Il
prossimo, prevedibilissimo passo, sarà il passaggio da una banca
dati che conserva i dati sul DNA dei "soliti sospetti" ad un archivio
dei dati di tutta la popolazione.
Pepsy