Umanità Nova, n 35 del 5 novembre 2006, anno 86

4 novembre
Festa degli assassini


Torna il 4 novembre, non più "festa della vittoria" dell'Italia nella prima guerra mondiale, ma "festa dell'unità nazionale e delle forze armate". Siamo passati dalla celebrazione dell'immane carneficina di popolo della "grande guerra" alle caserme aperte a famiglie che fotografano i bambini sul carrarmato. Siamo passati dalla celebrazione della "vittoria" a quella della "unità nazionale", con un linguaggio più "politicamente corretto".
La mistificazione della guerra e dei suoi strumenti negli anni si è approfondita ed affinata. Lo snodo va individuato nella qualificazione di "operazione di polizia" della prima guerra del Golfo e al primo ossimoro costituito dall'aggettivazione come "umanitaria" della guerra per il Kosovo. Si giunge quindi all'altro ossimoro della guerra permanente al terrorismo finalizzata alla "libertà duratura", appunto l'operazione "Enduring freedom". Il plagio della lingua ha veicolato il plagio propagandistico dell'informazione e della percezione degli eventi da parte della società. L'accostamento della guerra ad immagini di profughi da salvare, contendenti da dividere, regimi politici dittatoriali da abbattere, il messaggio della guerra come veicolo di pacificazione, liberazione, democratizzazione, civilizzazione, ha fatto breccia. Supportato da campagne di aiuto "alle popolazione colpite", dal coinvolgimento di gruppi di volontariato, scuole, famiglie, televisione, la guerra "democratica ed umanitaria" copre il volto della solita vecchia sporca guerra, prolungamento della politica con altri mezzi. Che sia in Afganistan in Iraq od in Libano, l'invio di truppe italiane su fronti di guerra ha sempre lo scopo di portare ad effetto un disegno politico, a ruota di un "potente alleato" come in Afganistan e Iraq o nell'ambito di un'autonoma politica estera per affermare "interessi nazionali", come in Iraq (concessione ENI per sfruttare giacimenti petroliferi vicino a Nassiryah) o in Libano (i paesi del mediterraneo e del medio oriente come partner economici naturali dell'Italia).
Il coinvolgimento nei vari scacchieri ricordati è avvenuto in tempi diversi, ma è significativo che il gravosissimo impegno di spesa per il finanziamento delle missioni militari all'estero sia insensibile alle vicende del bilancio del paese. Per la guerra i soldi si trovano sempre. E, anzi, la guerra è un grande affare: per chi, naturalmente, gli affari li sa fare. La chiusura di basi americane in Germania (decisione presa quando la Germania decise di non appoggiare l'attacco all'Iraq nel 2003) diventa per la città di Vicenza "un'affare" che potrebbe fare affluire nelle casse del comune cifre da capogiro. Per la guerra i soldi ci sono sempre. Il governo "umanitario e democratico" di Prodi, come quello di Berlusconi, taglia su tutto (trasferimenti ai comuni e quindi servizi; contratti dei dipendenti pubblici; sanità, scuola), convoglia i soldi del salario differito dei lavoratori (il TFR, la liquidazione), attraverso l'INPS, sulle "grandi opere" (TAV, MOSE) che sono fatte dalle "grandi aziende" e sono "grandi affari", ma trova i soldi per mandare truppe italiane, soldati di mestiere, professionisti della morte e della guerra, a difendere gli "affari", italiani e non solo, in giro per il mondo. Giacché con il venir meno della leva e la professionalizzazione dell'esercito, la guerra è pure "un lavoro": per uomini e oggi anche per donne che hanno "conquistato" la più assurda delle "parità", uomini e donne che per campare devono (?) o vogliono fare questo. E soldi il governo trova anche per tenere aperti, ampliare e creare dei nuovi centri di detenzione per immigrati, i famigerati CPE voluti dalla legge Turco-Napolitano e non certo dalla pur comunque liberticida legge Bossi-Fini.
Dunque antimilitarismo internazionalismo e questione sociale insieme stanno e insieme cadono. Così come la critica dello Stato quale veicolo di militarismo, politica di potenza, riproduzione dello sfruttamento, mistificazione del reale attraverso scuola ed informazione. L'anarchia è tutto questo: e da qui nasce la sua attualità e la sua urgenza.

W.B.

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