Umanità Nova, n 35 del 5 novembre 2006, anno 86

CPT di Caltanissetta
Razzismo e vessazioni


Nei giorni scorsi è venuta alla luce una brutta storia che aiuta a capire meglio le dinamiche poste in essere all'interno dei centri di permanenza temporanea in Italia.
È successo che un gruppo di profughi dell'Africa nera (undici giovani uomini provenienti da Eritrea, Somalia, Sudan) ha denunciato attraverso un'intervista pubblicata su La Repubblica di sabato 21 novembre alcuni misfatti di cui sono stati testimoni e che si sono consumati durante il loro trattenimento nel Centro di identificazione di Caltanissetta.
In buona sostanza, i richiedenti asilo (che hanno tutti un permesso di soggiorno temporaneo in virtù dell'ottenimento della protezione umanitaria) hanno vissuto sulla loro pelle una serie di ingiustizie e vessazioni di cui si sono resi protagonisti un po' tutti: personale della cooperativa che gestisce il campo di Caltanissetta (la Cooperativa Albatros 1973), personale di polizia, mediatori culturali, immigrati reclusi. I testimoni hanno raccontato di aver subìto delle discriminazioni per via della loro origine etnica: a differenza dei maghrebini (più chiari di pelle e più "occidentali" nell'attitudine) dovevano pagare costi aggiuntivi al personale dell'ente gestore per servizi di assistenza essenziale e venivano sistematicamente trascurati nell'accesso a servizi di ogni genere.
Come se non bastasse, i profughi hanno denunciato di aver visto più volte gruppi di immigrati "bianchi" fuggire dal campo di internamento scavalcando le recinzioni nell'assoluta inerzia del personale di polizia. Dalle loro testimonianze emerge il dato che, probabilmente, queste fughe erano ottenute dietro pagamento di una somma di denaro. Subito dopo la pubblicazione di queste dichiarazioni, la procura della Repubblica di Caltanissetta ha aperto un'inchiesta così come il Ministero dell'interno. I profughi, che coraggiosamente si sono esposti nel denunciare le dinamiche di cui sopra ma che - a onor del vero - non sono stati minimamente tutelati da Repubblica che ha preferito seguire la logica dello scoop umanitario senza curarsi delle conseguenze, sono stati puntualmente fatti oggetto di intimidazioni poliziesche. Pedinati per strada ad Agrigento (città in cui si sono trasferiti nel centro di accoglienza "Acuarinto"), sono stati raggiunti da tre funzionari della questura di Caltanissetta e interrogati alla presenza di Natalia Gro, dirigente della stessa Acuarinto. Un'intimidazione bella e buona che ha gettato nello sconforto i profughi che ora non si sentono più al sicuro.
Il campo di internamento per immigrati di Caltanissetta è costituito da un complesso edilizio piuttosto grande, immerso nella campagna in una località periferica denominata Pian del Lago. Nello stesso campo (recintato e sorvegliato militarmente) insistono sia il CPT sia il centro di identificazione per richiedenti asilo. Di per sé, questa sovrapposizione fra strutture che teoricamente dovrebbero assolvere a compiti diversi (restrizione della libertà per il CPT, sorveglianza generica e libertà di movimento nel centro d'identificazione) è sempre stata denunciata dal movimento antirazzista siciliano come una inaccettabile violazione dei diritti umani. Le testimonianze dei profughi confermano l'esistenza di un approccio particolarmente mafioso nella gestione del CPT nisseno che ha contribuito negli ultimi anni a creare provocazioni e depistaggi volti a screditare e criminalizzare il movimento antirazzista e far sì che di Caltanissetta si parlasse il meno possibile. Le fughe "a pagamento" dal CPT nisseno rientrano in questo quadro di desolante speculazione della sofferenza altrui. Non ci permettiamo di giudicare chi paga per scappare perché, lo comprendiamo, quando si è in catene si fa di tutto per riacquistare la libertà. Non possiamo comunque fare a meno di ribadire la nostra condanna di un sistema di abbrutimento generalizzato che fa leva sulla discriminazione tra immigrati, sulla prevaricazione e sull'omertà mafiosa per mantenere la possente macchina repressiva dei CPT che costituisce una stomachevole fonte di guadagno per lo stato, la mafia, i padroni e i professionisti del finto volontariato.

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria

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