Doveva essere finire così la vicenda di Giuseppe Casu,
secondo i suoi aguzzini, con la sua morte in psichiatria a Cagliari il
22 giugno del 2006. Invece no, non é andata così, batti e
ribatti, dopo quattro mesi, ora si é svegliata pure la
magistratura, che ha accolto finalmente l'esposto presentato dai
familiari della vittima.
Qualcosa si muove, evidentemente, e questo non può che farmi piacere.
È assolutamente necessario ora continuare a insistere, a dar
fastidio, a mantenere l'attenzione desta con iniziative da costruire
dal basso.
È probabile che altrimenti tutto si areni di nuovo e che la
vicenda, se va bene, venga liquidata come un caso sfortunato di
malasanità.
Invece le responsabilità sono molto più ampie, ci sono le
politiche repressive e criminali applicate dagli amministratori, la
violenza e l'arroganza praticate nella totale impunità dalle
cosiddette forze dell'ordine, il servizio di bassa macelleria prestato
dagli psichiatri.
La vicenda di Giuseppe Casu getta uno sprazzo di luce su questo orrore, altro che malasanità.
D'altra parte, se qualcosa si muove anche al palazzaccio, vuole dire
che sino ad ora abbiamo lavorato bene, non resta che insistere.
Gli assassini di Giuseppe Casu non devono dormire sonni tranquilli.
Massimo Coraddu
Quella che segue è una lettera aperta del coordinamento libertario tra lavoratori immateriali della conoscenza.
Allo stato attuale ricerca e istruzione non sono realmente né
libere né pubbliche. Il nesso ricerca universitaria-azienda, la
relazione tra luoghi della formazione e profitti delle imprese, si
consolida sempre di più. Il potenziale cognitivo e creativo, il
prodotto delle intelligenze, è vittima della mercificazione,
della privatizzazione e delle logiche di subordinazione e sfruttamento.
La conoscenza è sempre più considerata come una forza da
governare e, di pari passo, la precarietà va configurandosi con
arroganza come la principale forma contemporanea di governo, controllo
e conservazione, come nuovo pensiero unico di dominio. Nella
sottrazione e nella mercificazione del sapere individuiamo il cuore di
tutti i processi di sfruttamento e produzione, persino del nostro
immaginario; in questo meccanismo di de-propriazione cognitivo risiede
uno dei paradigmi più importanti dell'economia globale di oggi.
La privatizzazione e l'incatenamento del lavoro della mente,
l'intenzione di impedire a chi produce "materia" intellettuale di
diffonderla e condividerla liberamente è fin troppo manifesta.
È indispensabile individuare forme di lotta in grado di
eliminare tutti quei dispositivi di sfruttamento, ricattabilità,
autoritarismo, razzismo e subordinazione. Praticare e rivendicare la
libertà di ricerca, l'autonomia dei saperi dal mercato e dai
poteri, la comunicazione come pratica della trasformazione (azioni che
producono parole/parole che producono azioni), la partecipazione attiva
e consapevole alla creazione di un sapere critico e non mercificabile,
appare, allora, momento centrale e indispensabile. Nel ricercare la
partecipazione contro l'isolamento, la socialità contro la
disgregazione, è fondamentale opporsi ai processi di
omologazione in atto, alla mercificazione della cultura, al
neo-feudalesimo universitario, alla logica del dominio e della
selezione. E, come tale opposizione deve inserirsi in una critica
più ampia all'attuale società, la lotta per una nuova
cultura deve necessariamente coincidere con la lotta per una nuova
società. Chi pratica l'autorganizzazione sociale sa che ogni
prospettiva di trasformazione passa attraverso la capacità dei
movimenti di riconfigurare gli spazi d'azione, di dare vita ad eventi e
a mobilitazioni in grado di coniugare radicalità e
partecipazione, di produrre autonomamente intelligenza e cooperazione.
Edoardo zombie3000@hotmail.com