Umanità Nova, n 36 del 12 novembre 2006, anno 86

Rigassificatori
Tanto paga lo stato


I primi "colpi" li abbiamo potuti leggere per ora solo sulla stampa economica e padronale ma la campagna d'inverno sul fronte del gas è ormai cominciata. Ai primi cenni di freddo un po' intenso sono infatti cominciate le rituali manovre attorno alla crisi del gas, finalizzate, sostanzialmente, a giustificare la costruzione dei rigassificatori e vincere le resistenze popolari. Fino all'anno scorso di questi tempi nessuno sapeva neppure cosa fossero i rigassificatori ma dopo mesi di martellante campagna mediatica oggi questi impianti sono diventati di "moda" e non c'è politico o "esperto" che non li citi nelle sue più o meno dotte dissertazioni alla crisi energetica che incomberebbe sull'Italia.

I rigassificatori sono la parte finale della filiera del GNL, Gas naturale liquefatto, composta dagli impianti di liquefazione, dalle metaniere che trasportano il GNL e, appunto, dai rigassificatori. In sintesi si può dire che il gas viene liquefatto negli impianti situati nei paesi produttori, trasportato nelle metaniere ad una temperatura di circa -161 gradi, rigassificato e quindi immesso nelle reti dei paesi consumatori. Oggi ci sono al mondo 17 impianti di liquefazione contro 51 rigassificatori. A causa di questo evidente squilibrio gli impianti di liquefazione lavorano al 95% della loro potenzialità mentre i rigassificatori vengono impiegati fra il 35 e l'80% della propria potenzialità. I rigassificatori possono essere installati a terra, solitamente vicino a porti di una certa grandezza, oppure in mare, su piattaforme ancorate o su navi opportunamente modificate collegate alla terra ferma con tubazioni. Per la verità nel mondo di rigassificatori "on board" ("su nave") non ne esiste neppure uno funzionante ma vengono presentati solo progetti per ora mai realizzati.

I costi per costruire i rigassificatori sono notevoli, valutati dai 300 ai 500 milioni di euro. Il rischio dell'investimento è evidentemente elevati ma pochi sanno che per incentivare la costruzione di questi gingilli lo Stato italiano è intervenuto garantendo la copertura di gran parte dei costi di investimento. Grazie alla delibera 178, emanata dall'Autorità per l'energia nell'estate 2005 "per aiutare la competizione", lo Stato italiano ha incentivato la costruzione di rigassificatori azzerando di fatto il "rischio di impresa" per le società che vogliono entrare nel business del GNL. All'interno di questa delibera l'Autorità per l'energia ha infatti inserito (articolo 13, comma 2) un "fattore di garanzia che assicura anche in caso di mancato utilizzo dell'impianto la copertura di una quota pari all'80% dei ricavi di riferimento" per i costi fissi del terminale che a loro volta costituiscono circa il 95% dei costi dell'impianto. Così se le società che gestiscono il terminale non riusciranno ad avere il GNL, cosa che, come abbiamo visto, è probabile considerato che l'offerta è molto minore della domanda, interviene lo Stato italiano prelevando i soldi dalle bollette dei consumatori finali, cioè dai cittadini. A queste condizioni le banche sono prontissime a finanziare tutti i progetti che infatti proliferano lungo le lunghissime italiche coste attirando "investitori" italiani ed esteri in grande quantità. Tanto paga Pantalone.

Ma non è finita. Il servizio di rigassificazione si basa su tariffe fissate dall'Autorità dell'energia. L'unico impianto esistente in Italia, quello di Panigaglia, per esempio, immette in rete gas al costo di 0,3 centesimi di euro al metro cubo. Ma questo non potrà essere il prezzo dei rigassificatori di nuova costruzione che dovranno considerare anche l'ammortamento dei costi di costruzione fino ad arrivare a 1,3 / 2 centesimi di euro al metro cubo. Questo vorrebbe dire essere fuori mercato se non intervenisse ancora lo Stato italiano che grazie alla citata delibera dell'Autorità per l'energia si accollerà, per meglio dire scaricherà sui cittadini attraverso le bollette, le differenze. Tanto paga Pantalone.

Ma non basta. La filiera del GNL è un colabrodo, nel senso che solo l'85% del gas estratto nei paesi produttori arriva ai consumatori finali. Questo perché il 12% viene impiegato negli impianti di liquefazione (pensate: più di un decimo dell'intero quantitativo), il 2% viene usato dai rigassificatori per riscaldare e far evapore il gas e l'1% dalle metaniere che sono delle vere e proprie macchine inquinanti a giro per il mondo. Uno spreco pazzesco!

Ce n'è abbastanza per tirare alcune semplici conclusioni: non solo i rigassificatori sono impianti inquinanti perché emettono in atmosfera sostanze contaminanti e utilizzano per il processo di riscaldamento del gas masse enormi di acqua che poi rilasciano nella zona circostante con effetti dannosi sull'ambiente marino; non solo i rigassificatori sono impianti pericolosi, come hanno dimostrato gli incidenti di Cleveland (USA) del 1944 e di Skikda (Algeria) del 2004, tanto più se si tratta di tecnologie mai provate prima come quelle relative agli impianti off shore; non solo i rigassificatori sono impianti inutili perché l'Italia può ricevere il gas tramite il potenziamento dei gasdotti già oggi funzionanti e la costruzione di nuovi gasdotti, già oggi in progetto. I rigassificatori sono anche impianti antieconomici che per sopravvivere hanno bisogno del sostegno dello Stato che scarica i loro costi sulle bollette pagate dai cittadini. E scusate se è poco!

Indagator

(fonti: Il Sole - 24 ore del 24, 26 e 28 ottobre, 2 novembre, La staffetta quotidiana del 26 ottobre)

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti