I primi "colpi" li abbiamo potuti leggere per ora solo sulla stampa
economica e padronale ma la campagna d'inverno sul fronte del gas
è ormai cominciata. Ai primi cenni di freddo un po' intenso sono
infatti cominciate le rituali manovre attorno alla crisi del gas,
finalizzate, sostanzialmente, a giustificare la costruzione dei
rigassificatori e vincere le resistenze popolari. Fino all'anno scorso
di questi tempi nessuno sapeva neppure cosa fossero i rigassificatori
ma dopo mesi di martellante campagna mediatica oggi questi impianti
sono diventati di "moda" e non c'è politico o "esperto" che non
li citi nelle sue più o meno dotte dissertazioni alla crisi
energetica che incomberebbe sull'Italia.
I rigassificatori sono la parte finale della filiera del GNL, Gas
naturale liquefatto, composta dagli impianti di liquefazione, dalle
metaniere che trasportano il GNL e, appunto, dai rigassificatori. In
sintesi si può dire che il gas viene liquefatto negli impianti
situati nei paesi produttori, trasportato nelle metaniere ad una
temperatura di circa -161 gradi, rigassificato e quindi immesso nelle
reti dei paesi consumatori. Oggi ci sono al mondo 17 impianti di
liquefazione contro 51 rigassificatori. A causa di questo evidente
squilibrio gli impianti di liquefazione lavorano al 95% della loro
potenzialità mentre i rigassificatori vengono impiegati fra il
35 e l'80% della propria potenzialità. I rigassificatori possono
essere installati a terra, solitamente vicino a porti di una certa
grandezza, oppure in mare, su piattaforme ancorate o su navi
opportunamente modificate collegate alla terra ferma con tubazioni. Per
la verità nel mondo di rigassificatori "on board" ("su nave")
non ne esiste neppure uno funzionante ma vengono presentati solo
progetti per ora mai realizzati.
I costi per costruire i rigassificatori sono notevoli, valutati dai 300
ai 500 milioni di euro. Il rischio dell'investimento è
evidentemente elevati ma pochi sanno che per incentivare la costruzione
di questi gingilli lo Stato italiano è intervenuto garantendo la
copertura di gran parte dei costi di investimento. Grazie alla delibera
178, emanata dall'Autorità per l'energia nell'estate 2005 "per
aiutare la competizione", lo Stato italiano ha incentivato la
costruzione di rigassificatori azzerando di fatto il "rischio di
impresa" per le società che vogliono entrare nel business del
GNL. All'interno di questa delibera l'Autorità per l'energia ha
infatti inserito (articolo 13, comma 2) un "fattore di garanzia che
assicura anche in caso di mancato utilizzo dell'impianto la copertura
di una quota pari all'80% dei ricavi di riferimento" per i costi fissi
del terminale che a loro volta costituiscono circa il 95% dei costi
dell'impianto. Così se le società che gestiscono il
terminale non riusciranno ad avere il GNL, cosa che, come abbiamo
visto, è probabile considerato che l'offerta è molto
minore della domanda, interviene lo Stato italiano prelevando i soldi
dalle bollette dei consumatori finali, cioè dai cittadini. A
queste condizioni le banche sono prontissime a finanziare tutti i
progetti che infatti proliferano lungo le lunghissime italiche coste
attirando "investitori" italiani ed esteri in grande quantità.
Tanto paga Pantalone.
Ma non è finita. Il servizio di rigassificazione si basa su
tariffe fissate dall'Autorità dell'energia. L'unico impianto
esistente in Italia, quello di Panigaglia, per esempio, immette in rete
gas al costo di 0,3 centesimi di euro al metro cubo. Ma questo non
potrà essere il prezzo dei rigassificatori di nuova costruzione
che dovranno considerare anche l'ammortamento dei costi di costruzione
fino ad arrivare a 1,3 / 2 centesimi di euro al metro cubo. Questo
vorrebbe dire essere fuori mercato se non intervenisse ancora lo Stato
italiano che grazie alla citata delibera dell'Autorità per
l'energia si accollerà, per meglio dire scaricherà sui
cittadini attraverso le bollette, le differenze. Tanto paga Pantalone.
Ma non basta. La filiera del GNL è un colabrodo, nel senso che
solo l'85% del gas estratto nei paesi produttori arriva ai consumatori
finali. Questo perché il 12% viene impiegato negli impianti di
liquefazione (pensate: più di un decimo dell'intero
quantitativo), il 2% viene usato dai rigassificatori per riscaldare e
far evapore il gas e l'1% dalle metaniere che sono delle vere e proprie
macchine inquinanti a giro per il mondo. Uno spreco pazzesco!
Ce n'è abbastanza per tirare alcune semplici conclusioni: non
solo i rigassificatori sono impianti inquinanti perché emettono
in atmosfera sostanze contaminanti e utilizzano per il processo di
riscaldamento del gas masse enormi di acqua che poi rilasciano nella
zona circostante con effetti dannosi sull'ambiente marino; non solo i
rigassificatori sono impianti pericolosi, come hanno dimostrato gli
incidenti di Cleveland (USA) del 1944 e di Skikda (Algeria) del 2004,
tanto più se si tratta di tecnologie mai provate prima come
quelle relative agli impianti off shore; non solo i rigassificatori
sono impianti inutili perché l'Italia può ricevere il gas
tramite il potenziamento dei gasdotti già oggi funzionanti e la
costruzione di nuovi gasdotti, già oggi in progetto. I
rigassificatori sono anche impianti antieconomici che per sopravvivere
hanno bisogno del sostegno dello Stato che scarica i loro costi sulle
bollette pagate dai cittadini. E scusate se è poco!
Indagator
(fonti: Il Sole - 24 ore del 24, 26 e 28 ottobre, 2 novembre, La staffetta quotidiana del 26 ottobre)