Umanità Nova, n 36 del 12 novembre 2006, anno 86

I terminali di rigassificazione off shore
A mare il buon senso


In Italia sono stati presentati diversi progetti di rigassificatori off shore, due di questi, quello di Porto Viro (Rovigo) e quello di Livorno vengono definiti sulla "grande stampa" come in via di realizzazione e assieme al terminale a terra di Brindisi sono stati considerati dal presidente del Consiglio Prodi i tre rigassificatori da realizzare entro il 2009 a cui bisognerà aggiungerne altri due entro il 2015.
A parte il fatto che nutriamo forti dubbi sull'ottimismo di Prodi - e dei suoi oligarchi Bersani e Letta "animatori" della cosiddetta "cabina di regia" - riguardo l'effettiva realizzazione di questi progetti che trovano una fiera resistenza nelle popolazioni e in alcuni casi anche di amministrazioni locali e regionali (vedi Brindisi), ci sembra necessario puntualizzare un minimo che di rigassificatori in mare, sia su piattaforma ancorata come quello di Porto Viro che su nave attrezzata come quello di Livorno, non ne esistono in alcuna parte del mondo. Si tratta, insomma, di tecnologie assolutamente nuove e quindi estremamente rischiose sia dal punto di vista del pericolo di incidente che da quello della contaminazione ambientale.
I pro-off shore cercano di vincere le resistenze popolari sparando notizie fantasiose o, per meglio dire, false. Non è assolutamente vero, per esempio, che un impianto off shore funziona nel Golfo del Messico. È vero che un progetto di tal genere è stato presentato dalla Chevron Texaco ma è altrettanto vero che questo progetto è ancora in attesa di autorizzazione. Nel Golfo del Messico funziona un terminale off shore che però ha una struttura completamente diversa da quella prevista dai terminali che si vorrebbero costruire in Italia. È curioso che mentre in Italia sono stati presentati ben tre progetti off shore (Livorno, Trieste e Ravenna) in Europa non ne esistono mentre negli Stati Uniti ne sono stati presentati ben 12 ma nessuno di questi è stato finora autorizzato.
Una domanda viene spontanea: perché questi rigassificatori off shore trovano tante difficoltà ad ottenere le autorizzazioni? La risposta è semplice e si basa su due motivazioni di fondo: 1) si tratta di una tecnologia estremamente nuova (applicata per di più ad un settore anch'esso piuttosto nuovo, quello del GNL), che non ha alcun tipo di esperienza e quindi nessuno è in grado di prevedere cosa possa accadere al terminale in caso di inconvenienti come il mare grosso o incidenti catastrofici alle strutture della nave gasiera o di quella utilizzata per la rigassificazione; 2) nessuno può sapere gli effetti della lavorazione (rigassificazione) che comportano l'utilizzo di una massa enorme di acqua trattata con cloro e varichina, riscaldata e poi rigettata nelle acque antistanti l'impianto.
Abbiamo fatto solo alcune, semplici, considerazioni che avrebbero dovuto spingere gli amministratori locali e le autorità preposte alle autorizzazioni (Regioni, Ministero dell'Ambiente e Ministero delle Attività Produttive) ad andare molto cauti prima di dare parere favorevole ai progetti. Invece le autorizzazioni sono state date. Perché? Anche qui la risposte è semplice: perché di fatto queste autorizzazioni sono state date non sulla base di una attenta analisi dei progetti e delle loro possibile ricadute sul territorio ma semplicemente sulla base di "autocertificazioni" presentate dai costruttori che le autorità preposte si limitano ad approvare al termine di un iter in cui trionfa la burocrazia a scapito della sicurezza dei cittadini. Insomma: le scelte non sono tecniche ma squisitamente politiche. Cambiano i governi ma la salvaguardia dell'uomo e dell'ambiente rimane solo un opzional. 

Indagator

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