In Italia sono stati presentati diversi progetti di rigassificatori off
shore, due di questi, quello di Porto Viro (Rovigo) e quello di Livorno
vengono definiti sulla "grande stampa" come in via di realizzazione e
assieme al terminale a terra di Brindisi sono stati considerati dal
presidente del Consiglio Prodi i tre rigassificatori da realizzare
entro il 2009 a cui bisognerà aggiungerne altri due entro il
2015.
A parte il fatto che nutriamo forti dubbi sull'ottimismo di Prodi - e
dei suoi oligarchi Bersani e Letta "animatori" della cosiddetta "cabina
di regia" - riguardo l'effettiva realizzazione di questi progetti che
trovano una fiera resistenza nelle popolazioni e in alcuni casi anche
di amministrazioni locali e regionali (vedi Brindisi), ci sembra
necessario puntualizzare un minimo che di rigassificatori in mare, sia
su piattaforma ancorata come quello di Porto Viro che su nave
attrezzata come quello di Livorno, non ne esistono in alcuna parte del
mondo. Si tratta, insomma, di tecnologie assolutamente nuove e quindi
estremamente rischiose sia dal punto di vista del pericolo di incidente
che da quello della contaminazione ambientale.
I pro-off shore cercano di vincere le resistenze popolari sparando
notizie fantasiose o, per meglio dire, false. Non è
assolutamente vero, per esempio, che un impianto off shore funziona nel
Golfo del Messico. È vero che un progetto di tal genere è
stato presentato dalla Chevron Texaco ma è altrettanto vero che
questo progetto è ancora in attesa di autorizzazione. Nel Golfo
del Messico funziona un terminale off shore che però ha una
struttura completamente diversa da quella prevista dai terminali che si
vorrebbero costruire in Italia. È curioso che mentre in Italia
sono stati presentati ben tre progetti off shore (Livorno, Trieste e
Ravenna) in Europa non ne esistono mentre negli Stati Uniti ne sono
stati presentati ben 12 ma nessuno di questi è stato finora
autorizzato.
Una domanda viene spontanea: perché questi rigassificatori off
shore trovano tante difficoltà ad ottenere le autorizzazioni? La
risposta è semplice e si basa su due motivazioni di fondo: 1) si
tratta di una tecnologia estremamente nuova (applicata per di
più ad un settore anch'esso piuttosto nuovo, quello del GNL),
che non ha alcun tipo di esperienza e quindi nessuno è in grado
di prevedere cosa possa accadere al terminale in caso di inconvenienti
come il mare grosso o incidenti catastrofici alle strutture della nave
gasiera o di quella utilizzata per la rigassificazione; 2) nessuno
può sapere gli effetti della lavorazione (rigassificazione) che
comportano l'utilizzo di una massa enorme di acqua trattata con cloro e
varichina, riscaldata e poi rigettata nelle acque antistanti l'impianto.
Abbiamo fatto solo alcune, semplici, considerazioni che avrebbero
dovuto spingere gli amministratori locali e le autorità preposte
alle autorizzazioni (Regioni, Ministero dell'Ambiente e Ministero delle
Attività Produttive) ad andare molto cauti prima di dare parere
favorevole ai progetti. Invece le autorizzazioni sono state date.
Perché? Anche qui la risposte è semplice: perché
di fatto queste autorizzazioni sono state date non sulla base di una
attenta analisi dei progetti e delle loro possibile ricadute sul
territorio ma semplicemente sulla base di "autocertificazioni"
presentate dai costruttori che le autorità preposte si limitano
ad approvare al termine di un iter in cui trionfa la burocrazia a
scapito della sicurezza dei cittadini. Insomma: le scelte non sono
tecniche ma squisitamente politiche. Cambiano i governi ma la
salvaguardia dell'uomo e dell'ambiente rimane solo un opzional.
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