"In Afganistan, la strategia militare è fallita. Ma restare è un obbligo"
(M. D'Alema, 30 ottobre 2006)
L'ennesima strage di civili, tra cui molti bambini, perpetrato il 24
ottobre da un attacco aereo della Nato nel distretto di Panjwayi,
presso la provincia di Kandahar, nell'Afganistan meridionale, è
solo l'ultimo tragico episodio in cui la natura terroristica della
cosiddetta "guerra al terrorismo" appare in tutto il suo orrore.
Come al solito, i comandi militari minimizzano, anche sul numero delle
vittime; d'altra parte quando nel 2002 un bombardamento Usa
seminò la morte tra i partecipanti ad una festa nuziale, la
cifra ufficiale dei morti si fermò a 44, mentre i testimoni ne
contarono almeno 160.
Stavolta l'Isaf ha ammesso 12 vittime, ma il presidente del distretto
di Panjwayi, Niaz Mohammed Sarhadi, ha parlato di 60 morti, mentre per
il vicedirettore del consiglio provinciale di Kandahar, Bismellah
Afghanmal, le vittime sono state almeno 85.
Un orrore che peraltro, sulla nostra stampa, ha avuto meno spazio delle
foto macabre in cui alcuni soldati tedeschi dell'Isaf-Nato posano
sorridenti accanto a dei crani umani; eppure lo stesso, seppur
asservito, governo Karzai continua ad emettere invano proteste
ufficiali e ad aprire inchieste ad ogni nuovo eccidio ai danni della
popolazione afgana.
Dopo quello che è stato definito un errore, le scuse ufficiali
dei comandi militari Isaf-Nato e le rassicurazioni su tutte le
precauzioni possibili che la coalizione prenderebbe durante le
incursioni aeree per ridurre al minimo il numero delle vittime civili,
appaiono davvero inverosimili.
Gli stessi numeri forniti dai conteggi ufficiali - sicuramente
sottostimati - della macelleria afgana sono, da tempo, noti: 1.500
morti nel 2002, 1.000 nel 2003, 700 nel 2004, 2.000 nel 2005, 2.500
nella prima metà del 2006.
Emblematico anche l'incremento delle perdite ufficiali tra le forze di
occupazione Usa e Nato: 68 nel 2002, 57 nel 2003, 58 nel 2004 e poi 129
nel 2005 e 84 nella prima metà del 2006 (dati ripresi dal sito
www.peacerepoter.net).
D'altra parte, le forze Usa e britanniche di Enduring Freedom,
fiancheggiate dai reparti Isaf-Nato, italiani compresi, negli ultimi
mesi hanno ricominciato a bombardare in modo massiccio con l'aviazione
le zone della cosiddetta insorgenza, sferrando massicce offensive
controguerriglia che vedono la popolazione civile sterminata
quotidianamente.
Tra l'altro, da più parti sono giunte denunce secondo cui
centinaia di civili vengono sistematicamente spacciati dai comandi Usa
per combattenti talebani uccisi in queste operazioni.
Secondo i portavoce della Nato e i comandi statunitensi, i ''talebani''
uccisi negli ultimi 4 mesi sarebbero oltre 1.650; delle vittime civili
invece non si trova traccia nei bollettini-veline dei comandi militari
alleati, che parlano puntualmente di decine di morti, tutti "talebani".
Emblematiche sull'argomento le recenti dichiarazioni del generale Fabio
Mini, ex-comandante della missione Nato in Kosovo, Kfor, che su "La
Repubblica" del 10 settembre ha sostenuto: "La legalità
dell'intervento (della Nato in Afganistan), più che nelle
risoluzioni o nella forza delle armi, sta nella capacita di affibbiare
ai morti il titolo di Taliban, a prescindere dall'etnia, dal sesso e
dall'età".
Il Comando Centrale dell'Usaf rende noto ogni giorno un bollettino
delle missioni belliche effettuate il giorno precedente dalle forze
aeree alleate nel sud e nell'est dell'Afganistan. Ne emerge un quadro
di guerra totale: bombardamenti quotidiani con ordigni fino a una
tonnellata e una media giornaliera di 40 sortite (erano circa 25 prima
dell'estate) di "supporto aereo ravvicinato" alle truppe di terra della
missione Isaf-Nato, italiani compresi, impegnate nelle operazioni
contro gli insorti, veri o presunti.
Ormai, così come avvenne in Vietnam o nell'Italia occupata dai
nazifascisti, per le forze occupanti ogni civile è un potenziale
resistente e come tale viene considerato: degna conclusione di
un'aggressione imperialista che, a parole, voleva esportare la
democrazia e liberare il popolo afgano.
Ad ogni costo umano.
U.F.