Umanità Nova, n 36 del 12 novembre 2006, anno 86

Afganistan
L'orrore permanente


"In Afganistan, la strategia militare è fallita. Ma restare è un obbligo"
(M. D'Alema, 30 ottobre 2006)

L'ennesima strage di civili, tra cui molti bambini, perpetrato il 24 ottobre da un attacco aereo della Nato nel distretto di Panjwayi, presso la provincia di Kandahar, nell'Afganistan meridionale, è solo l'ultimo tragico episodio in cui la natura terroristica della cosiddetta "guerra al terrorismo" appare in tutto il suo orrore.
Come al solito, i comandi militari minimizzano, anche sul numero delle vittime; d'altra parte quando nel 2002 un bombardamento Usa seminò la morte tra i partecipanti ad una festa nuziale, la cifra ufficiale dei morti si fermò a 44, mentre i testimoni ne contarono almeno 160.
Stavolta l'Isaf ha ammesso 12 vittime, ma il presidente del distretto di Panjwayi, Niaz Mohammed Sarhadi, ha parlato di 60 morti, mentre per il vicedirettore del consiglio provinciale di Kandahar, Bismellah Afghanmal, le vittime sono state almeno 85.
Un orrore che peraltro, sulla nostra stampa, ha avuto meno spazio delle foto macabre in cui alcuni soldati tedeschi dell'Isaf-Nato posano sorridenti accanto a dei crani umani; eppure lo stesso, seppur asservito, governo Karzai continua ad emettere invano proteste ufficiali e ad aprire inchieste ad ogni nuovo eccidio ai danni della popolazione afgana.
Dopo quello che è stato definito un errore, le scuse ufficiali dei comandi militari Isaf-Nato e le rassicurazioni su tutte le precauzioni possibili che la coalizione prenderebbe durante le incursioni aeree per ridurre al minimo il numero delle vittime civili, appaiono davvero inverosimili.
Gli stessi numeri forniti dai conteggi ufficiali - sicuramente sottostimati - della macelleria afgana sono, da tempo, noti: 1.500 morti nel 2002, 1.000 nel 2003, 700 nel 2004, 2.000 nel 2005, 2.500 nella prima metà del 2006.
Emblematico anche l'incremento delle perdite ufficiali tra le forze di occupazione Usa e Nato: 68 nel 2002, 57 nel 2003, 58 nel 2004 e poi 129 nel 2005 e 84 nella prima metà del 2006 (dati ripresi dal sito www.peacerepoter.net).
D'altra parte, le forze Usa e britanniche di Enduring Freedom, fiancheggiate dai reparti Isaf-Nato, italiani compresi, negli ultimi mesi hanno ricominciato a bombardare in modo massiccio con l'aviazione le zone della cosiddetta insorgenza, sferrando massicce offensive controguerriglia che vedono la popolazione civile sterminata quotidianamente.
Tra l'altro, da più parti sono giunte denunce secondo cui centinaia di civili vengono sistematicamente spacciati dai comandi Usa per combattenti talebani uccisi in queste operazioni.
Secondo i portavoce della Nato e i comandi statunitensi, i ''talebani'' uccisi negli ultimi 4 mesi sarebbero oltre 1.650; delle vittime civili invece non si trova traccia nei bollettini-veline dei comandi militari alleati, che parlano puntualmente di decine di morti, tutti "talebani".
Emblematiche sull'argomento le recenti dichiarazioni del generale Fabio Mini, ex-comandante della missione Nato in Kosovo, Kfor, che su "La Repubblica" del 10 settembre ha sostenuto: "La legalità dell'intervento (della Nato in Afganistan), più che nelle risoluzioni o nella forza delle armi, sta nella capacita di affibbiare ai morti il titolo di Taliban, a prescindere dall'etnia, dal sesso e dall'età".
Il Comando Centrale dell'Usaf rende noto ogni giorno un bollettino delle missioni belliche effettuate il giorno precedente dalle forze aeree alleate nel sud e nell'est dell'Afganistan. Ne emerge un quadro di guerra totale: bombardamenti quotidiani con ordigni fino a una tonnellata e una media giornaliera di 40 sortite (erano circa 25 prima dell'estate) di "supporto aereo ravvicinato" alle truppe di terra della missione Isaf-Nato, italiani compresi, impegnate nelle operazioni contro gli insorti, veri o presunti.
Ormai, così come avvenne in Vietnam o nell'Italia occupata dai nazifascisti, per le forze occupanti ogni civile è un potenziale resistente e come tale viene considerato: degna conclusione di un'aggressione imperialista che, a parole, voleva esportare la democrazia e liberare il popolo afgano.
Ad ogni costo umano.

U.F.

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