Umanità Nova, n 36 del 12 novembre 2006, anno 86

Roma 4 novembre: niente stop al governo
Tanti precari, troppi tutori


La manifestazione contro la precarietà, che si è tenuta lo scorso quattro novembre a Roma, riassume in sé non solo tutte le contraddizioni del presente, ma, a ben vedere, ci racconta gli ultimi anni della storia patria e dei movimenti di massa nati e cresciuti e in gran parte già morti dopo il 1999 di Seattle. Non solo di questo ci parla, ma anche delle organizzazioni, grandi e piccine, dei ruoli istituzionali dei politicanti di mestiere ed anche di tanta gente comune che prende parte a questi mega raduni.
È innegabile che la manifestazione sia stata poderosa dal punto di vista numerico: fossero stati anche 100.000 o meno, ma sicuramente di più poco importa, i numeri parlano ed in maniera assai chiara. Sembrerebbe, a vedere da questi dati, che se si è in grado di avere una manifestazione di questa entità contro il precariato, ci siano, a livello locale, altrettante intense e poderose conflittualità sociali e sindacali. E veniamo qui al primo grande nodo in essere: così come in passato per altre mobilitazioni oceaniche, la piazza mediatica centrale e visibile sostituisce spesso quasi sino ad annullarle le lotte locali, parziali sin quanto vogliamo, ma pur tuttavia profondamente legate ad un territorio ed alla conflittualità di prossimità. Tradotto significa che molte persone ciò che non riescono ad esprime quotidianamente nei posti di lavoro cercano in qualche modo di dirlo a tutti o per lo meno di trovarsi con altri che vivono situazioni di precarietà lavorativa similari. Manco a dirlo invece di essere un punto di forza del movimento di classe, rappresentano un punto di debolezza dove la convergenza di moltitudini sopraggiunte un po' da dovunque serve più che ad ottenere vantaggi collettivi o ricadute locali di lotte sociali e lavorative a comunicare un'opinione di massa e diffusa che altrimenti non verrebbe ascoltata da nessuno. Appunto ascoltare: ma da chi e poi perché?
Un passo alla volta: decine di migliaia di persone si riversano nella capitale provenienti da treni ed autobus, gratis, o a prezzi estremamente modici, da ogni parte d'Italia. Soltanto le grandi organizzazioni sindacali e di partito possono far viaggiare la gente gratis, cioè a spese o dei lavoratori che pagano le tessere o dei trasferimenti monetari consistenti che lo stato versa ai partiti tramite il parlamento o grazie ai servizi (CAF, patronati e tra un po' anche le pensioni) affidati in gestione. La potenza economica non determina proporzionalmente la massa politica in movimento, ma certamente contribuisce a formarla e sostenerla in maniera significativa. Ed infine, ma non secondarie, le ragioni: qui la contraddizione esplode nella sua piena e vivace interezza, togliendo quei veli che l'infingimento mediatico ha steso miserevolmente sopra. I due più grossi referenti organizzativi della manifestazione, CGIL e Rifondazione comunista, non solo non hanno mai fatto nulla contro la precarizzazione lavorativa, ma sono stati strumento cosciente del peggioramento lavorativo di milioni di persone. E questo anche per quanto riguarda l'agibilità degli spazi di confronto e di decisione. E questo oramai da più di dieci anni, anche se per la CGIL bisogna fare qualche saltino indietro. Ma facciamo finta che questo non sia vero, facciamo finta cioè che siano stati l'ultimo baluardo possibile contro una liberalizzazione selvaggia che altrimenti avrebbe eroso consistenti settori sociali della popolazione. Facciamo appunto finta: perché altrimenti bisognerebbe chiedere a questi stessi promotori come mai non scioperano contro una finanziaria di guerra, liberista, taglia salari, pensioni e tfr etc. La risposta sarebbe altrettanto vera se fosse semplice: perché sono al governo e perché fintanto che queste cose le fanno loro vanno non solo bene, ma benissimo. È quello che succede ed è successo con le guerre: ex Jugoslavia nessuna mobilitazione sindacale (mentre Rifondazione appena uscita dal governo manifesta contro i cugini del Pdci e diessini di centro, di destra e di sinistra sostengono disciplinatamente l'intervento "umanitario"); Afganistan post 2001: nessuna mobilitazione. Iraq: tutti in piazza perché c'era Berlusconi con Bush. Oggi: Afganistan, Libano, Africa etc, raddoppio spese militari: nulla.
Non c'è dubbio che molte delle persone che sono scese in piazza non siano affatto filogovernative e non mi interessa nemmeno giudicare scelte individuali di varia natura. Ma non mi interessa nemmeno giudicare quelle filo-governative in quanto tali. Quello che mi interessa, da un punto di vista di classe è come poter arrivare a ricostruire un movimento operaio autonomo da ogni forma governativa ed istituzionale che inizi ad intraprendere un percorso che sappia fare della propria forza e delle proprie capacità un criterio discriminante per non essere fagocitato ed usato, sì usato, dal sistema di potere. Ma per fare questo bisogna smetterla una volta per tutte di inseguire il paparino di turno, una volta il PCI ed ora la CGIL, o qualche deputato di fama, soprattutto perché non serve a nulla, ovvero non si modificano di un millimetro i rapporti di forza fra le classi e non si ottengono miglioramenti contingenti di alcun tipo. O qualcuno vuole dimostrare il contrario?
Se qualcosa dobbiamo trarre dalla lotta francese anti-CPE è che è stata vittoriosa perché forte, decisa, continuativa e forse perché i sindacati, come i partiti erano poco, se non nulla, presenti.

Pietro Stara

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti