Umanità Nova, n 37 del 19 novembre 2006, anno 86

Firenze: 4 novembre 1966 - 4 novembre 1967
Dallo stato sott'acqua all'alluvione autoritaria


Sono trascorsi 40 anni dall'alluvione di Firenze: i media se ne sono occupati con grande rilievo. In quest'articolo vi raccontiamo "l'altra" storia, quella che vide protagonisti, tra gli altri, i giovani antiautoritari, Beat e Provo, i cosiddetti "capelloni", tra i quali numerosi anarchici che accorsero numerosi da varie località della penisola in soccorso della popolazione. Questi stessi giovani, in occasione del primo anniversario del disastro e della "festa" del 4 novembre, si ritrovarono a Firenze per un'iniziativa antimilitarista. La reazione repressiva dello Stato fu durissima. Dal suo libro, "La Gioventù Anarchica negli anni delle contestazioni. 1965-1967" editato quest'anno da Zero in Condotta, Franco Schirone ha tratto la seconda parte dell'articolo.

Tra la fine di ottobre e i primi di novembre 1966 tre quarti d'Italia viene interessata da una eccezionale ondata di maltempo caratterizzata da intense e violente precipitazioni. Il 4 novembre le piogge si intensificano e in meno di 24 ore nel fiorentino raggiungono i 190 mm., là dove la media annua è di 823 mm. Si stima che la quantità d'acqua che ha colpito Firenze abbia raggiunto i 250 milioni di metri cubi (altre fonti stimano in 400 milioni), di cui 120 provenienti dall'alto corso dell'Arno ed il resto dagli affluenti a valle delle dighe. Se seicentomila tonnellate di fango si sono riversate sopra la sola Firenze, la situazione è particolarmente grave anche altrove: a Grosseto, a Venezia e nel Polesine.
A distanza di quarant'anni resta ancora il mistero sulla vera entità delle vittime: ne sono state identificate 34 ma si tratta di una fonte ufficiale della Prefettura risalente al novembre 1966, mentre, nello stesso periodo, le informazioni circolate, anche sulla stampa, sono state ben diverse e parlavano di 300 vittime.
Lascia sbigottiti quanto fragile e vulnerabile sia il nostro mondo, pur nella sua tanto decantata marcia verso un sempre maggior progresso tecnico e scientifico. Scriveva Umanità Nova: "Se basta un ciclone, sia pure di estrema violenza e durata, perché tre quarti d'Italia siano investiti dalle acque irrompenti ad altezze inverosimili dal suolo, sommergendo centri cittadini e campagne e provocare frane paurose venute giù dai monti per abbattersi sulle pianure, seminando morte e distruzioni, ebbene, ben scarsa è la validità di un tale progresso nei confronti della salvaguardia della vita e dei beni dell'uomo". Un progresso e una scienza posti al servizio del profitto industriale, della massificazione dei consumi che aprono alla speculazione, ma che abbandonano la campagna e la montagna, la viabilità e le arginature dei fiumi e delle coste, perché "non rendono" e non preoccupano, per l'intermittenza delle catastrofi, i poteri pubblici nei loro piani di "priorità". Nello stesso tempo sono stati regalati miliardi di esenzioni fiscali al grande capitale ma non si è mai trovato un soldo o un mezzo per dare acqua alle regioni dove manca quasi tutto l'anno. La "fatalità" allora rappresenta un comodo pretesto per sottrarsi agli obblighi del presente e invece si preferisce utilizzare scienza e progresso per le opere di morte e nelle leggi del profitto privato.
Col disastro sono nati altri pesanti problemi per la povera gente: problemi di occupazione, mancata corresponsione delle retribuzioni, problemi di rapporti di lavoro, di diritto al lavoro e del lavoro, di sicurezza sociale. Infatti col pretesto dell'alluvione sono stati licenziati migliaia di operai nella sola Firenze, stessa situazione nel resto della regione. Alla Piaggio di Pontedera e nell'indotto ammontano a dieci mila le persone lasciate disoccupate; stessa sorte per 20 mila dei 30 mila lavoratori del commercio; 19 mila operai nelle aziende industriali e l'elenco continua. Il fatto è che col pretesto dell'alluvione molte aziende operano riassetti tecnologici e ridimensionamenti sulle spalle dei lavoratori, senza sollevare troppo scalpore, anzi la stessa alluvione per il padronato rappresenta una nuova ragione di profitto. Ancora una volta il popolo paga i danni che l'imprevidenza , il pressappochismo, l'affarismo della classe dirigente, hanno reso possibili e tragici.
Nella tragedia appaiono subito le precise responsabilità pubbliche: inefficienza e deficienze sul terreno di una politica di difesa preventiva del suolo dalle acque; mancato preallarme e tempestivo allarme che non è stato dato alla popolazione, colta alla sprovvista ed indifesa per la tardiva e inorganica entrata in funzione dei mezzi protettivi disponibili. Nessuno in quella mattina del 4 novembre ha messo in allarme la popolazione sul travolgente avanzare dell'Arno nelle vie della città: solo una categoria è stata avvisata in tempo, quella dei gioiellieri al Ponte Vecchio che ha potuto recuperare la merce dai negozi! Nessuna sirena, nessun altoparlante. I cittadini, da soli, si sono organizzati in piccole comunità di aiuto reciproco. Come i 1500 sinistrati toscani in attesa delle "provvidenze governative" che trova rifugio a Sorgane, una località vicino a Firenze, dove prima non esistevano che scheletri di case abbandonate e che in pochi giorni è diventata una città nuova.
Tutti i cronisti del tempo hanno sottolineato la volontà dei singoli nel recupero di una città ricoperta di fango, così come hanno sottolineato il lavoro di migliaia di giovani, provenienti da tutta Italia e dall'estero, che volontariamente si sono recati a Firenze in aiuto alla popolazione e nel recupero delle opere d'arte. Numerosi, tra i ragazzi, i "capelloni", come con disprezzo venivano definiti i beats, i Provos e quanti contestavano la società del cosiddetto "benessere": quelli che si definivano antimilitaristi, quelli che lottavano contro l'autoritarismo dello Stato/Chiesa/Famiglia/Scuola, quelli che non volevano integrarsi, quelli che parlavano di libero amore e di pillola e di divorzio facendo rizzare i capelli alla sbigottita Italia bacchettona e provinciale. In quell'occasione sono stati riabilitati agli occhi della pubblica opinione perché i mass-media ne hanno lodato il comportamento, li hanno chiamati "angeli del fango". Ma la riabilitazione è durata poco (e vedremo perché)! Anche gli anarchici sono accorsi nella città toscana, i diversi gruppi Provos e Beats si sono collegati col gruppo Provo di Firenze e la sede del circolo anarchico "Camillo Berneri" diviene un riferimento per tutti e arrivano numerosi da Milano, Roma, Napoli, Savona mentre altri gruppi giovanili anarchici si adoperano nelle diverse località alla raccolta di indumenti che portano direttamente nei luoghi del disastro.

L'ALLUVIONE AUTORITARIA: 700 FERMATI PER ANTIMILITARISMO
I primi di novembre 1967 a Firenze si concretizza la più dura repressione dello stato nei confronti del movimento giovanile. In occasione del 4 novembre nel capoluogo toscano si ritrovano tutti gli antimilitaristi per una manifestazione proprio nella giornata dedicata al militarismo e nel primo anniversario dell'alluvione. Già nei giorni immediatamente prima del 4, Firenze è una città assediata dalla polizia, vengono fermati numerosi giovani e rispediti ai loro paesi d'origine coi fogli di via obbligatori. Il primo novembre sono 181 i fermati rimandati indietro con la motivazione della "intenzione" di commettere reati, cioè a causa della volontà di fare una marcia antimilitarista contro la guerra. Il circolo anarchico fiorentino, il "Berneri", in questi giorni viene continuamente tenuto d'occhio dalla polizia, la stessa che ferma per le strade chiunque abbia i capelli lunghi o sia vestito in maniera diversa. Tra questi anche Pietro Pinna, segretario del Movimento non-violento per la pace, fermato insieme ad un anarchico e portato in una questura già affollata da altri giovani fermati. Vengono effettuati, da parte delle forze dell'ordine, dei blocchi sulle autostrade per fermare ogni "sospetto" intenzionato ad entrare in Firenze, aspettando anche i treni provenienti da Milano, Bologna, Genova, Roma, Mestre, Torino, Napoli per bloccare i giovani provenienti dalle diverse città. Nella notte del 3 novembre il circolo "Berneri" viene letteralmente devastato dalla polizia, che sequestra i giovani, soprattutto radicali, che si trovano a Firenze per un loro congresso. Per i fogli di via obbligatori non vengono fornite spiegazioni. Viene prima fatta ventilare la voce della probabile esistenza di materiale esplosivo, poi le autorità parlano di impossibilità di permettere una manifestazione antimilitarista nel giorno dedicato alle forze armate. Anche l'ostello della gioventù, nella stessa notte del 3, è oggetto di una irruzione della polizia, così come la Casa dello Studente e l'Albergo Popolare dove vengono prelevati tutti i giovani, con o senza capelli lunghi, e portati in questura insieme a tutti gli altri rastrellati precedentemente. Tra i fermati vi sono gruppi di giovani venuti a Firenze solo per ricordare l'alluvione dell'anno precedente, quando davvero tanti contestatori si erano recati nel capoluogo toscano come volontari per pulire la città dai detriti.
La sera del 4 novembre si ha conferma che in tre giorni i fermati sono stati oltre 700 in città e 2.000 nei paesi vicini! La reazione dei libertari è immediata: si rivolgono all'opinione pubblica denunciando che la vergogna della repressione poliziesca non ricade solo sul questore e sui questurini ma è del governo di centro-sinistra nel suo insieme. Inoltre, il foglio di via obbligatorio imposto a centinaia di giovani cacciati da Firenze come appestati e per la durata di ben tre anni, rappresenta un provvedimento inaudito che nemmeno uno Scelba avrebbe osato adottare negli anni più neri della caccia alle streghe. Sui fogli di via obbligatori si trova scritto: Il rimpatriando è elemento che, benché abile al lavoro, preferisce darsi all'ozio e al vagabondaggio; è solito accompagnarsi a persone indesiderabili e frequentare, anche in ore notturne, i luoghi pubblici ove solitamente si trattengono elementi pericolosi per l'ordine e la sicurezza pubblica; che si abbandonano a chiassate e bivacchi sulle pubbliche strade e sulle piazze dando luogo a proteste e reclami da parte dei cittadini.
Per questi fatti la stessa stampa di sinistra assume un comportamento tipico da regime, nonostante la tanto proclamata opposizione governativa: "L'Avanti" timidamente chiede spiegazioni, mentre "L'Unità" parla di rastrellamenti di capelloni. In seguito ai fatti di Firenze e dopo i fogli di via comminati ad oltre 700 giovani, il settimanale anarchico "Umanità Nova" titola in prima pagina: Battersi per l'abolizione della legge scellerata del 1956 sul foglio di via obbligatorio prima che si ristabilisca il confino fascista ai politici. Lo stesso giornale intraprende una campagna di stampa, assieme ai radicali e a tutti coloro che realmente si oppongono alla repressione, contro la legge scellerata, in continuità perfetta col periodo fascista, che va contro la libertà di pensiero, la libertà di manifestare, la stessa libertà d'opinione dei cittadini. Tra l'altro è interessante rilevare che Firenze era già in stato d'assedio da almeno 20 giorni prima del 4 novembre: il 15 ottobre la stazione viene occupata da un centinaio di poliziotti e carabinieri divisi in gruppi di 8-10 militari. Qualche giorno prima, il gruppo giovanile anarchico "Camillo Berneri", il gruppo Provos di Firenze e il "Movimento Avanguardia 67" (liberale) avevano chiesto al questore ed al sindaco l'autorizzazione per una manifestazione non-violenta per la pace, con itinerario stabilito e conclusione alle 21,30 con una veglia per la pace. L'autorizzazione viene negata con la motivazione che tutte le piazze saranno occupate per le manifestazioni ufficiali, militari e civili, in occasione della giornata delle forze armate. Dopo la richiesta dei giovani, arriva l'ordine di presidiare la stazione ferroviaria. La motivazione reale è quella di prevenire manifestazioni antimilitariste di gruppetti di Provos, come scrive "La Nazione" del 4 novembre 1967.

Franco Schirone

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