Sono trascorsi 40 anni dall'alluvione
di Firenze: i media se ne sono occupati con grande rilievo. In
quest'articolo vi raccontiamo "l'altra" storia, quella che vide
protagonisti, tra gli altri, i giovani antiautoritari, Beat e Provo, i
cosiddetti "capelloni", tra i quali numerosi anarchici che accorsero
numerosi da varie località della penisola in soccorso della
popolazione. Questi stessi giovani, in occasione del primo anniversario
del disastro e della "festa" del 4 novembre, si ritrovarono a Firenze
per un'iniziativa antimilitarista. La reazione repressiva dello Stato
fu durissima. Dal suo libro, "La Gioventù Anarchica negli anni
delle contestazioni. 1965-1967" editato quest'anno da Zero in Condotta,
Franco Schirone ha tratto la seconda parte dell'articolo.
Tra la fine di ottobre e i primi di novembre 1966 tre quarti d'Italia
viene interessata da una eccezionale ondata di maltempo caratterizzata
da intense e violente precipitazioni. Il 4 novembre le piogge si
intensificano e in meno di 24 ore nel fiorentino raggiungono i 190 mm.,
là dove la media annua è di 823 mm. Si stima che la
quantità d'acqua che ha colpito Firenze abbia raggiunto i 250
milioni di metri cubi (altre fonti stimano in 400 milioni), di cui 120
provenienti dall'alto corso dell'Arno ed il resto dagli affluenti a
valle delle dighe. Se seicentomila tonnellate di fango si sono
riversate sopra la sola Firenze, la situazione è particolarmente
grave anche altrove: a Grosseto, a Venezia e nel Polesine.
A distanza di quarant'anni resta ancora il mistero sulla vera
entità delle vittime: ne sono state identificate 34 ma si tratta
di una fonte ufficiale della Prefettura risalente al novembre 1966,
mentre, nello stesso periodo, le informazioni circolate, anche sulla
stampa, sono state ben diverse e parlavano di 300 vittime.
Lascia sbigottiti quanto fragile e vulnerabile sia il nostro mondo, pur
nella sua tanto decantata marcia verso un sempre maggior progresso
tecnico e scientifico. Scriveva Umanità Nova: "Se basta un
ciclone, sia pure di estrema violenza e durata, perché tre
quarti d'Italia siano investiti dalle acque irrompenti ad altezze
inverosimili dal suolo, sommergendo centri cittadini e campagne e
provocare frane paurose venute giù dai monti per abbattersi
sulle pianure, seminando morte e distruzioni, ebbene, ben scarsa
è la validità di un tale progresso nei confronti della
salvaguardia della vita e dei beni dell'uomo". Un progresso e una
scienza posti al servizio del profitto industriale, della
massificazione dei consumi che aprono alla speculazione, ma che
abbandonano la campagna e la montagna, la viabilità e le
arginature dei fiumi e delle coste, perché "non rendono" e non
preoccupano, per l'intermittenza delle catastrofi, i poteri pubblici
nei loro piani di "priorità". Nello stesso tempo sono stati
regalati miliardi di esenzioni fiscali al grande capitale ma non si
è mai trovato un soldo o un mezzo per dare acqua alle regioni
dove manca quasi tutto l'anno. La "fatalità" allora rappresenta
un comodo pretesto per sottrarsi agli obblighi del presente e invece si
preferisce utilizzare scienza e progresso per le opere di morte e nelle
leggi del profitto privato.
Col disastro sono nati altri pesanti problemi per la povera gente:
problemi di occupazione, mancata corresponsione delle retribuzioni,
problemi di rapporti di lavoro, di diritto al lavoro e del lavoro, di
sicurezza sociale. Infatti col pretesto dell'alluvione sono stati
licenziati migliaia di operai nella sola Firenze, stessa situazione nel
resto della regione. Alla Piaggio di Pontedera e nell'indotto ammontano
a dieci mila le persone lasciate disoccupate; stessa sorte per 20 mila
dei 30 mila lavoratori del commercio; 19 mila operai nelle aziende
industriali e l'elenco continua. Il fatto è che col pretesto
dell'alluvione molte aziende operano riassetti tecnologici e
ridimensionamenti sulle spalle dei lavoratori, senza sollevare troppo
scalpore, anzi la stessa alluvione per il padronato rappresenta una
nuova ragione di profitto. Ancora una volta il popolo paga i danni che
l'imprevidenza , il pressappochismo, l'affarismo della classe
dirigente, hanno reso possibili e tragici.
Nella tragedia appaiono subito le precise responsabilità
pubbliche: inefficienza e deficienze sul terreno di una politica di
difesa preventiva del suolo dalle acque; mancato preallarme e
tempestivo allarme che non è stato dato alla popolazione, colta
alla sprovvista ed indifesa per la tardiva e inorganica entrata in
funzione dei mezzi protettivi disponibili. Nessuno in quella mattina
del 4 novembre ha messo in allarme la popolazione sul travolgente
avanzare dell'Arno nelle vie della città: solo una categoria
è stata avvisata in tempo, quella dei gioiellieri al Ponte
Vecchio che ha potuto recuperare la merce dai negozi! Nessuna sirena,
nessun altoparlante. I cittadini, da soli, si sono organizzati in
piccole comunità di aiuto reciproco. Come i 1500 sinistrati
toscani in attesa delle "provvidenze governative" che trova rifugio a
Sorgane, una località vicino a Firenze, dove prima non
esistevano che scheletri di case abbandonate e che in pochi giorni
è diventata una città nuova.
Tutti i cronisti del tempo hanno sottolineato la volontà dei
singoli nel recupero di una città ricoperta di fango,
così come hanno sottolineato il lavoro di migliaia di giovani,
provenienti da tutta Italia e dall'estero, che volontariamente si sono
recati a Firenze in aiuto alla popolazione e nel recupero delle opere
d'arte. Numerosi, tra i ragazzi, i "capelloni", come con disprezzo
venivano definiti i beats, i Provos e quanti contestavano la
società del cosiddetto "benessere": quelli che si definivano
antimilitaristi, quelli che lottavano contro l'autoritarismo dello
Stato/Chiesa/Famiglia/Scuola, quelli che non volevano integrarsi,
quelli che parlavano di libero amore e di pillola e di divorzio facendo
rizzare i capelli alla sbigottita Italia bacchettona e provinciale. In
quell'occasione sono stati riabilitati agli occhi della pubblica
opinione perché i mass-media ne hanno lodato il comportamento,
li hanno chiamati "angeli del fango". Ma la riabilitazione è
durata poco (e vedremo perché)! Anche gli anarchici sono accorsi
nella città toscana, i diversi gruppi Provos e Beats si sono
collegati col gruppo Provo di Firenze e la sede del circolo anarchico
"Camillo Berneri" diviene un riferimento per tutti e arrivano numerosi
da Milano, Roma, Napoli, Savona mentre altri gruppi giovanili anarchici
si adoperano nelle diverse località alla raccolta di indumenti
che portano direttamente nei luoghi del disastro.
L'ALLUVIONE AUTORITARIA: 700 FERMATI PER ANTIMILITARISMO
I primi di novembre 1967 a Firenze si concretizza la più dura
repressione dello stato nei confronti del movimento giovanile. In
occasione del 4 novembre nel capoluogo toscano si ritrovano tutti gli
antimilitaristi per una manifestazione proprio nella giornata dedicata
al militarismo e nel primo anniversario dell'alluvione. Già nei
giorni immediatamente prima del 4, Firenze è una città
assediata dalla polizia, vengono fermati numerosi giovani e rispediti
ai loro paesi d'origine coi fogli di via obbligatori. Il primo novembre
sono 181 i fermati rimandati indietro con la motivazione della
"intenzione" di commettere reati, cioè a causa della
volontà di fare una marcia antimilitarista contro la guerra. Il
circolo anarchico fiorentino, il "Berneri", in questi giorni viene
continuamente tenuto d'occhio dalla polizia, la stessa che ferma per le
strade chiunque abbia i capelli lunghi o sia vestito in maniera
diversa. Tra questi anche Pietro Pinna, segretario del Movimento
non-violento per la pace, fermato insieme ad un anarchico e portato in
una questura già affollata da altri giovani fermati. Vengono
effettuati, da parte delle forze dell'ordine, dei blocchi sulle
autostrade per fermare ogni "sospetto" intenzionato ad entrare in
Firenze, aspettando anche i treni provenienti da Milano, Bologna,
Genova, Roma, Mestre, Torino, Napoli per bloccare i giovani provenienti
dalle diverse città. Nella notte del 3 novembre il circolo
"Berneri" viene letteralmente devastato dalla polizia, che sequestra i
giovani, soprattutto radicali, che si trovano a Firenze per un loro
congresso. Per i fogli di via obbligatori non vengono fornite
spiegazioni. Viene prima fatta ventilare la voce della probabile
esistenza di materiale esplosivo, poi le autorità parlano di
impossibilità di permettere una manifestazione antimilitarista
nel giorno dedicato alle forze armate. Anche l'ostello della
gioventù, nella stessa notte del 3, è oggetto di una
irruzione della polizia, così come la Casa dello Studente e
l'Albergo Popolare dove vengono prelevati tutti i giovani, con o senza
capelli lunghi, e portati in questura insieme a tutti gli altri
rastrellati precedentemente. Tra i fermati vi sono gruppi di giovani
venuti a Firenze solo per ricordare l'alluvione dell'anno precedente,
quando davvero tanti contestatori si erano recati nel capoluogo toscano
come volontari per pulire la città dai detriti.
La sera del 4 novembre si ha conferma che in tre giorni i fermati sono
stati oltre 700 in città e 2.000 nei paesi vicini! La reazione
dei libertari è immediata: si rivolgono all'opinione pubblica
denunciando che la vergogna della repressione poliziesca non ricade
solo sul questore e sui questurini ma è del governo di
centro-sinistra nel suo insieme. Inoltre, il foglio di via obbligatorio
imposto a centinaia di giovani cacciati da Firenze come appestati e per
la durata di ben tre anni, rappresenta un provvedimento inaudito che
nemmeno uno Scelba avrebbe osato adottare negli anni più neri
della caccia alle streghe. Sui fogli di via obbligatori si trova
scritto: Il rimpatriando è elemento che, benché abile al
lavoro, preferisce darsi all'ozio e al vagabondaggio; è solito
accompagnarsi a persone indesiderabili e frequentare, anche in ore
notturne, i luoghi pubblici ove solitamente si trattengono elementi
pericolosi per l'ordine e la sicurezza pubblica; che si abbandonano a
chiassate e bivacchi sulle pubbliche strade e sulle piazze dando luogo
a proteste e reclami da parte dei cittadini.
Per questi fatti la stessa stampa di sinistra assume un comportamento
tipico da regime, nonostante la tanto proclamata opposizione
governativa: "L'Avanti" timidamente chiede spiegazioni, mentre
"L'Unità" parla di rastrellamenti di capelloni. In seguito ai
fatti di Firenze e dopo i fogli di via comminati ad oltre 700 giovani,
il settimanale anarchico "Umanità Nova" titola in prima pagina:
Battersi per l'abolizione della legge scellerata del 1956 sul foglio di
via obbligatorio prima che si ristabilisca il confino fascista ai
politici. Lo stesso giornale intraprende una campagna di stampa,
assieme ai radicali e a tutti coloro che realmente si oppongono alla
repressione, contro la legge scellerata, in continuità perfetta
col periodo fascista, che va contro la libertà di pensiero, la
libertà di manifestare, la stessa libertà d'opinione dei
cittadini. Tra l'altro è interessante rilevare che Firenze era
già in stato d'assedio da almeno 20 giorni prima del 4 novembre:
il 15 ottobre la stazione viene occupata da un centinaio di poliziotti
e carabinieri divisi in gruppi di 8-10 militari. Qualche giorno prima,
il gruppo giovanile anarchico "Camillo Berneri", il gruppo Provos di
Firenze e il "Movimento Avanguardia 67" (liberale) avevano chiesto al
questore ed al sindaco l'autorizzazione per una manifestazione
non-violenta per la pace, con itinerario stabilito e conclusione alle
21,30 con una veglia per la pace. L'autorizzazione viene negata con la
motivazione che tutte le piazze saranno occupate per le manifestazioni
ufficiali, militari e civili, in occasione della giornata delle forze
armate. Dopo la richiesta dei giovani, arriva l'ordine di presidiare la
stazione ferroviaria. La motivazione reale è quella di prevenire
manifestazioni antimilitariste di gruppetti di Provos, come scrive "La
Nazione" del 4 novembre 1967.
Franco Schirone