Umanità Nova, n 37 del 19 novembre 2006, anno 86

Finanziaria: equilibrismi di potere
Indovina chi ci guadagna?



A mio avviso, il principale interesse nella valutazione dell'andamento dell'approvazione di una legge finanziaria consiste nel rilevare come, nel suo modificarsi, risenta della dialettica fra soggetti istituzionali ufficiali o meno e, per diversi aspetti, della pressione dei diversi soggetti sociali in campo.
Se, ad oggi e sapendo che altro avverrà nel prossimo periodo, guardiamo all'attuale legge finanziaria verifichiamo la vigenza di questa semplice regola in misura assolutamente fisiologica.
Scopriamo, quindi, per fare alcuni esempi edificanti che tre milioni di euro l'anno sono previsti per il barocco di Noto, sei milioni per il sostegno alla candidatura italiana all'Expo Universale del 2015 ed all'esposizione di Saragozza del 2008 e di Shangai del 2010 e che cifre ben più consistenti andranno ad una pletora di lavori pubblici, sconti fiscali et similia che interessano le frazioni locali, ovviamente bipartisan, del ceto politico.
Sin qui, nulla di nuovo sotto il sole italico.
Più significative, proprio perché pressioni del ceto politico e movimenti sociali si intrecciano, sono le misure "contro il precariato".
Le principali, ad ora, sono:
- la possibilità di introdurre un "accordo di solidarietà" nelle imprese consistente nella possibilità, per i lavoratori che hanno superato i cinquantacinque anni di età, di passare al part time in cambio dell'assunzione di un giovane, sempre a part time, con, in più un completamento dell'orario, a carico, si vedrà in quale misura, dell'erario, per il postcinquantacinquenne come "tutor". Una misura che può, questo evidente piacere ai lavoratori e che, soprattutto, è una forma di finanziamento alle imprese. Il modello Damiano, insomma, è assolutamente coerente, si riassorbe il precariato garantendo risorse aggiuntive alle imprese ed una crescita del potere contrattuale dei sindacati istituzionali;
- l'assunzione sul 50% dei posti disponibili nel pubblico impiego, scuola esclusa, di precari che abbiano prestato un anno di servizio. Ancora una volta, una misura che può apparire sensata e condivisibile visto che riconosce il lavoro precario come fonte di un diritto ma che va valutata sulla base del numero effettivo di assunzioni. È, infatti, evidente che se le assunzioni saranno limitate si tratta solo di una scelta a favore di alcuni ed a danno di altri;
l'investimento di limitate risorse aggiuntive per l'assunzione nell'università di 2.700 ricercatori. Si tratta dell'"emendamento Montalcini" visto che è stato introdotto dopo il pubblico intervento della veneranda signora e, in realtà copre solo parzialmente la crisi di risorse per l'università.
È facile comprendere come queste misure non siano casuali. Dopo la buona riuscita dello sciopero dei precari della pubblica amministrazione e della scuola indetti dalla CUB il 6 ottobre e della manifestazione sempre dei precari organizzata da settori della CGIL, dai partiti della sinistra parlamentare radicale e dai Cobas il 4 novembre, il governo si è reso conto che deve dimostrare attenzione a questo segmento sociale e dare prova di "discontinuità" rispetto alla destra.
Abbiamo già visto come il modello di governo della questione precariato sia assolutamente costruito in una logica corporativa. Basta pensare a quanto prevede la finanziaria per il superamento della condizione di co.co.pro. Si è stabilito, infatti, che avverrà sulla base di accordi con i sindacati concertativi, dopo che i lavoratori coinvolti si saranno impegnati a non chiedere il dovuto e, nella maggior parte dei casi, con il passaggio dalla condizione di co.co.pro. a quella di lavoratori a termine.
D'altro canto, tanto per cambiare, le limitate ed ambigue concessioni delle quali ragioniamo si accompagnano ad un aumento dei ticket ospedalieri. Non che avessimo ipotizzato, la nostra notoria ingenuità non si spinge a tanto, un taglio della spesa militare ma che si debba tagliare sul diritto alla salute appare, per dirla con più franchezza che discrezione, scandaloso.

Propongo alla riflessione due considerazioni conclusive.
Nei giorni passati i media hanno variamente commentato lo sfogo del buon Prodi sul "paese impazzito". Per parte mia non mi scandalizzo, è evidente che chi ritiene di essere portatore di un grande progetto non possa che scandalizzarsi per l'"egoismo" del buon popolo. Il fatto è, comunque, che la sinistra ancora una volta non riesce a sorprenderci. È suo costume, e in questo il democristianissimo mortadella ha appreso la lezione, il ritenere che il popolo basso non merita il suo illuminato governo e che la resistenza alle vessazione è prova di pochezza di spirito. Peccato che persino Giuliano Amato in un'interessante intervista a un giornale notoriamente sovversivo come "Il Sole 24 ore" di sabato 11 novembre abbia riconosciuto che, tanto per dirne uno, la riforma previdenziale è iniqua e classista e che, non per tornare sull'argomento, la crescita della spesa militare qualche problema lo ponga anche alla sinistra radicale di governo.
La sinistra radicale di governo, mi si permetta questa definizione burlesca, è perfettamente consapevole della natura sociale reale della legge finanziaria. Gioca, va da sé, alcune carte a propria difesa.
Per un verso vanta le, limitate, concessioni che ha ottenuto o che, per essere più esatti, la preoccupazione della maggioranza a fronte di una mobilitazione della working class ha reso necessarie.
Per l'altro, può far rilevare come l'attacco della destra al governo proprio perché sui basa su di una presunta egemonia della sinistra della coalizione sui settori centristi  è la riprova dell'utilità del suo, appunto, stare al governo.
Sul terreno sociale, quello che per noi è centrale, questi ragionamenti hanno poco peso ma si tratta di operare perché lo scontento non si traduca in passività, rancore, populismo, frantumazione del conflitto di classe in derive corporative ma trovi luoghi e situazione per farsi iniziativa e organizzazione dal basso.
Lo sciopero del 17 novembre sarà una prima occasione per operare in questa direzione, altre, a breve non mancheranno.

Cosimo Scarinzi

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