A mio avviso, il principale interesse nella valutazione dell'andamento
dell'approvazione di una legge finanziaria consiste nel rilevare come,
nel suo modificarsi, risenta della dialettica fra soggetti
istituzionali ufficiali o meno e, per diversi aspetti, della pressione
dei diversi soggetti sociali in campo.
Se, ad oggi e sapendo che altro avverrà nel prossimo periodo,
guardiamo all'attuale legge finanziaria verifichiamo la vigenza di
questa semplice regola in misura assolutamente fisiologica.
Scopriamo, quindi, per fare alcuni esempi edificanti che tre milioni di
euro l'anno sono previsti per il barocco di Noto, sei milioni per il
sostegno alla candidatura italiana all'Expo Universale del 2015 ed
all'esposizione di Saragozza del 2008 e di Shangai del 2010 e che cifre
ben più consistenti andranno ad una pletora di lavori pubblici,
sconti fiscali et similia che interessano le frazioni locali,
ovviamente bipartisan, del ceto politico.
Sin qui, nulla di nuovo sotto il sole italico.
Più significative, proprio perché pressioni del ceto
politico e movimenti sociali si intrecciano, sono le misure "contro il
precariato".
Le principali, ad ora, sono:
- la possibilità di introdurre un "accordo di
solidarietà" nelle imprese consistente nella possibilità,
per i lavoratori che hanno superato i cinquantacinque anni di
età, di passare al part time in cambio dell'assunzione di un
giovane, sempre a part time, con, in più un completamento
dell'orario, a carico, si vedrà in quale misura, dell'erario,
per il postcinquantacinquenne come "tutor". Una misura che può,
questo evidente piacere ai lavoratori e che, soprattutto, è una
forma di finanziamento alle imprese. Il modello Damiano, insomma,
è assolutamente coerente, si riassorbe il precariato garantendo
risorse aggiuntive alle imprese ed una crescita del potere contrattuale
dei sindacati istituzionali;
- l'assunzione sul 50% dei posti disponibili nel pubblico impiego,
scuola esclusa, di precari che abbiano prestato un anno di servizio.
Ancora una volta, una misura che può apparire sensata e
condivisibile visto che riconosce il lavoro precario come fonte di un
diritto ma che va valutata sulla base del numero effettivo di
assunzioni. È, infatti, evidente che se le assunzioni saranno
limitate si tratta solo di una scelta a favore di alcuni ed a danno di
altri;
l'investimento di limitate risorse aggiuntive per l'assunzione
nell'università di 2.700 ricercatori. Si tratta
dell'"emendamento Montalcini" visto che è stato introdotto dopo
il pubblico intervento della veneranda signora e, in realtà
copre solo parzialmente la crisi di risorse per l'università.
È facile comprendere come queste misure non siano casuali. Dopo
la buona riuscita dello sciopero dei precari della pubblica
amministrazione e della scuola indetti dalla CUB il 6 ottobre e della
manifestazione sempre dei precari organizzata da settori della CGIL,
dai partiti della sinistra parlamentare radicale e dai Cobas il 4
novembre, il governo si è reso conto che deve dimostrare
attenzione a questo segmento sociale e dare prova di
"discontinuità" rispetto alla destra.
Abbiamo già visto come il modello di governo della questione
precariato sia assolutamente costruito in una logica corporativa. Basta
pensare a quanto prevede la finanziaria per il superamento della
condizione di co.co.pro. Si è stabilito, infatti, che
avverrà sulla base di accordi con i sindacati concertativi, dopo
che i lavoratori coinvolti si saranno impegnati a non chiedere il
dovuto e, nella maggior parte dei casi, con il passaggio dalla
condizione di co.co.pro. a quella di lavoratori a termine.
D'altro canto, tanto per cambiare, le limitate ed ambigue concessioni
delle quali ragioniamo si accompagnano ad un aumento dei ticket
ospedalieri. Non che avessimo ipotizzato, la nostra notoria
ingenuità non si spinge a tanto, un taglio della spesa militare
ma che si debba tagliare sul diritto alla salute appare, per dirla con
più franchezza che discrezione, scandaloso.
Propongo alla riflessione due considerazioni conclusive.
Nei giorni passati i media hanno variamente commentato lo sfogo del
buon Prodi sul "paese impazzito". Per parte mia non mi scandalizzo,
è evidente che chi ritiene di essere portatore di un grande
progetto non possa che scandalizzarsi per l'"egoismo" del buon popolo.
Il fatto è, comunque, che la sinistra ancora una volta non
riesce a sorprenderci. È suo costume, e in questo il
democristianissimo mortadella ha appreso la lezione, il ritenere che il
popolo basso non merita il suo illuminato governo e che la resistenza
alle vessazione è prova di pochezza di spirito. Peccato che
persino Giuliano Amato in un'interessante intervista a un giornale
notoriamente sovversivo come "Il Sole 24 ore" di sabato 11 novembre
abbia riconosciuto che, tanto per dirne uno, la riforma previdenziale
è iniqua e classista e che, non per tornare sull'argomento, la
crescita della spesa militare qualche problema lo ponga anche alla
sinistra radicale di governo.
La sinistra radicale di governo, mi si permetta questa definizione
burlesca, è perfettamente consapevole della natura sociale reale
della legge finanziaria. Gioca, va da sé, alcune carte a propria
difesa.
Per un verso vanta le, limitate, concessioni che ha ottenuto o che, per
essere più esatti, la preoccupazione della maggioranza a fronte
di una mobilitazione della working class ha reso necessarie.
Per l'altro, può far rilevare come l'attacco della destra al
governo proprio perché sui basa su di una presunta egemonia
della sinistra della coalizione sui settori centristi è la
riprova dell'utilità del suo, appunto, stare al governo.
Sul terreno sociale, quello che per noi è centrale, questi
ragionamenti hanno poco peso ma si tratta di operare perché lo
scontento non si traduca in passività, rancore, populismo,
frantumazione del conflitto di classe in derive corporative ma trovi
luoghi e situazione per farsi iniziativa e organizzazione dal basso.
Lo sciopero del 17 novembre sarà una prima occasione per operare in questa direzione, altre, a breve non mancheranno.
Cosimo Scarinzi