In quest'ultimo anno, grazie a rilevanti servizi sui settimanali di
massa e a coinvolgimenti in trasmissioni televisive (più o meno)
di qualità, sembra che il pensiero di Serge Latouche sia
fuoriuscito dai limiti ristretti degli addetti ai lavori o degli
attivisti no global che l'hanno adottato da tempo tra i propri
maitres-à-penser.
In questa sede è forse utile allora iniziare un percorso di
approccio alle tesi di Latouche per afferrarne il senso intrinseco e
l'effetto di senso voluto e ricercato, nonché l'uso strategico
che supera le medesime intenzioni dell'autore. Siccome il pensiero di
Latouche si innesta a sua volta in una catena di ragionamenti e
riflessioni antecedenti la sua apparizione nel "mercato" delle idee
teoriche e pratiche concorrenti tra loro sia per cogliere il mondo, sia
per orientarlo mettendosi a servizio di qualche movimento di
trasformazione reale, inizierò con una chiarificazione
terminologica a mo' di introduzione di metodo - che appunto vuol dire
di percorso.
I nomi cardinali sono due: de-croissance e après-developpement,
ossia de-crescita e post-sviluppo. Essi non sono sinonimi, seppur in
parte sovrapponibili, non sono neutrali già dal loro definirsi a
partire da un altro sostantivo preso a punto di referenza, e infine non
sono acontestuali rispetto al senso consolidato ed al luogo di
provenienza di tali termini.
Sviluppo
Il concetto di sviluppo ha una storia risalente all'epopea
illuministica, in cui si irrobustisce l'idea tutta moderna che la
direzione verso cui tende il mondo delinea una traiettoria di
progressione in avanti, di progresso appunto, e ciò significa un
carattere assiomaticamente definito in termini positivi, quindi da
valorizzare al massimo. Già il fatto di concepire il mondo come
una unità di cui misurare gli scarti rispetto alla sua
immobilità è figlia della scoperta copernicana che
esautora il comodo posto dell'uomo al centro di tutto, per affidargli
il compito di far girare la terra, esattamente come altrove dall'uomo
era da ricercare il motore immobile su cui tutto verteva e grazie a cui
tutto il resto girava, si muoveva (non più dio, ma il sole).
Moderno è ciò che si muove, rovesciando la
positività dell'immobilità di una terra piatta e ferma
(modello tolemaico), e la direzione verso cui tale movimento si
indirizza è nelle mani di un uomo non più garantito in
nulla e da nessuno. Quindi più tutto si muove, più il
mondo si sviluppa, progredisce, e per ciò stesso migliora
perché non sta fermo, non si fa arrestare. Il pendolo del
processo simbolico di valorizzazione viene tolto dal lato della
conservazione, per oscillare verso la parte riformatore, dinamica,
progressista appunto. Non è quindi per mera coincidenza
temporale che dai Lumi provengano tutte le teorie radicali di
rivoluzione del mondo.
Crescita
Il concetto di crescita è più recente, legandosi alla
misurazione di tale progresso in termini per lo più
econometrici: il PIL che fotografa la ricchezza prodotta, tradotta in
termini monetari, da un sistema produttivo nelle sue varie fasi di
produzione-scambio-consumo. La misura segna il destino di un
sistema-paese, che lega la qualità asserita come valore
positivo, come modello valido da diffondere, al segno + precedente la
cifra del pil annuo (lordo e procapite). L'evoluzione di un
sistema-paese viene così strettamente legata alla crescita
economica, sulla falsa riga di una evoluzione infantile letta
esclusivamente in termini di crescita di peso e di altezza - parametri
esterni affidabili ma che ogni genitore responsabile si guarderà
bene dal considerare totalizzanti, in quanto la qualità della
crescita di un bambino nei suoi processi di apprendimento intellettivo
è anche segnalata da fattori impalpabili e non riducibili
immediatamente ad una cifra quale il peso e l'altezza.
Ovviamente il sistema di capitalismo statuale non è estraneo
tanto all'idea di sviluppo fatale che enfatizza il progresso come
cornice necessaria ad ogni passo della società, per cui, come ci
ricorda Humpty Dumpty in Alice's Wonderland, chi si impadronisce del
senso di tale sostantivo, detta la lettura del quadro; quanto
all'indice della crescita come dimensione onnivora che ingurgita
smodatamente per crescere a dismisura in una opulenza strabica e
colpevolmente immemore della violenza con cui sviluppo e crescita si
tengono insieme, quella violenza del capitalismo statuale (che si
appropria di una dimensione pubblica anche privatizzandola e che al
tempo stesso garantisce entro limiti ben precisi il dispiegarsi del
privato tutelato dal pubblico statuale) che in cambio di benefici per
pochi, colpisce i più (il modello della società dei
due/terzi dilatato oggi su scala globale).
Interrogare il mito del progresso
De-crescita e post-sviluppo, in tal modo, intendono innanzitutto
segnare una netta linea di cesura rispetto al presente concettuale,
interrogando in senso critico il mito del progresso senza limiti e
della crescita quantitativa come misure non solo possibili dei livelli
qualitativi dell'esistenza al mondo e del mondo, ma anche come lenti
auspicabili di lettura dello stato di salute del pianeta da cui
ricavare strategie discorsive che rafforzino tali miti. In altri
termini, non è possibile ridurre ogni aspetto di qualità
della vita alla sua misurazione quantitativa e pertanto alla sua
riduzione a cifre esitate da un calcolo economico necessariamente
schiavo delle pratiche materiali dei sistemi produttivi e del carico di
valore simbolico innervato in esse come olio negli ingranaggi.
Indubbiamente, le soglie di collasso ecologico raggiunte da questo
modello di capitalismo sfrenato rappresentano un segnale a monte della
necessità di lasciar respirare il pianeta dai ritmi di
incremento quantitativo raggiunti e sintetizzati nei miti politici
della crescita e dello sviluppo, vere e proprie ossessioni di ogni
élite di potere al governo ovunque.
Una sfida politica, non solo concettuale
Ma de-crescita e post-sviluppo non sono solo sfide concettuali e
teoriche, bensì intendono anche essere sfide politiche reali,
ossia traducibili in parole d'ordine per altre linee di evoluzione del
mondo e quindi delle poste di conflitto in gioco, dei progetti di
alternativa presentabili, degli stili di condotta e di gestione
dell'esistenza al mondo praticabili sin da oggi. Proprio perché
ogni nuova idea non nasce nel vuoto pneumatico o nel chiuso di un
cervello solitario, de-crescita e post-sviluppo sono idee che possono
nascere solo nell'ambito di società cresciute e sviluppate,
anche troppo evidentemente, dati gli sprechi e le rapine che consentono
ad una minoranza del pianeta di usufruire di risorse altrove
disponibili ma sottratte ai legittimi proprietari secondo quelle regole
di appropriazione privata che devono valere per tutti ma non per alcuni
(come ci ricordava Orwell nella Fattoria degli animali). È ovvio
quindi che tali parole d'ordine siano territorialmente circoscritte
alle nostre società affluenti, ma non perché crescita e
sviluppo riguardano solo noi, già arrivati ai limiti della
crescita e dello sviluppo; quanto perché là dove crescita
e sviluppo dovrebbero ancora arrivare secondo la traccia segnata dal
capitalismo statuale nelle sue differenziati fasi geo-storiche (in cui
cioè il conflitto geoculturale e socio-economico-politico
è a uno stadio da noi sorpassato ma altrove in atto secondo
modalità specifiche), proprio là non c'è
all'ordine del giorno de-crescita e post-sviluppo perché
crescita e sviluppo funzionano solo se esclusive e discriminanti per
principio. Non è solo per ragioni legate alla
insostenibilità planetaria che de-crescita e post-sviluppo
dovrebbero ammantare di sé ogni dinamica nel e del mondo, ma
anche perché esse sole sarebbero in grado di orientare il
pianeta verso un assetto non autodistruttivo per tutti, anche per
coloro che, esclusi e perciò aspiranti alla crescita e allo
sviluppo nei termini seguiti dai più fortunati, dovrebbero
coniugare, finché sono in tempo, le loro legittime aspirazioni
al miglioramento qualitativo dell'esistenza ad un modello specifico
che, se proprio vuole assicurare qualità della vita, non
può che ripudiare i concetti e le pratiche di crescita e
sviluppo, per reinventare una esistenza collettiva e plurale su una
scala planetaria di de-crescita e post-sviluppo. Se crescita e sviluppo
funzionano necessariamente non per tutti, poiché il capitalismo
promette abbondanza e privilegi per pochi ma non per tutti, allora
de-crescita e post-sviluppo si incaricano di pensare una terra in cui
la qualità della vita diventi prioritaria commisurando le
quantità attuali da ridistribuire equamente come un
sottoprodotto di una tale idea di terra.
Interrogativi aperti
Detto altrimenti, le idee di cui si fa portavoce sofisticato Latouche,
concernono, ma in modi diversi perché differenti sono le
condizioni attuali, sia la trasformazione di un modello capitalistico
che deve frenare se non vuole scontrarsi con i propri limiti di
sostenibilità globale, sia l'adozione di una dinamica sociale ed
economica distante dall'asse congiunto di crescita e sviluppo là
dove esse dovrebbero ancora arrivare in base al diktat manualistico
dell'economia politica capitalistica. Una duplice sfida differenziata,
pertanto, anima la teoria della de-crescita e del post-sviluppo. Quanto
esse possano essere lanciate in luoghi molto divaricati quanto a
pratiche di vita; quanto esse possano essere adoperate come parole
d'ordine politiche entro i limiti di compatibilità dettati dal
capitalismo statuale globale; quanto esse possano essere concretizzate
da un dispositivo tutto politico di stato, seppure profondamente
rinnovato perché da radicalizzarsi a sinistra, ecco alcuni degli
interrogativi che aleggiano intorno alle tesi di Serge Latouche, dal
cui approccio sarà anche proficuo dibattere nel merito degli
effetti di senso, simbolico e politico insieme, delle valide
provocazioni intellettuali di uno studioso che compara la nostra
civiltà con altre civiltà imperniate sul dono piuttosto
che sullo scambio, sulla dissipazione piuttosto che sull'incremento
produttivo, sulla fantasia mi(s)tica piuttosto che sul cinismo
realistico che esautora il pianeta dalla felice pulsione all'utopia.
Salvo Vaccaro