Umanità Nova, n 38 del 26 novembre 2006, anno 86

Governo: la conquista di banche, fondi pensione...
I cordoni della borsa


I primi sei mesi del governo Prodi si stanno concludendo con l'approvazione della legge finanziaria. La composita maggioranza "di sinistra" che governa il paese nelle ultime settimane è naturalmente entrata in fibrillazione a causa dell'approvazione proprio della legge finanziaria, ma le tensioni e divisioni di oggi non devono sviare l'attenzione da uno sguardo globale all'azione del governo. Ciò che ci interessa, in prima approssimazione, analizzare, è la relazione tra il governo in carica e il corpo della società, nonché la sua base elettorale, costituita da circa la metà dei votanti alle ultime elezioni. Questa relazione spicca chiaramente anche in momenti di "protesta" come quello della manifestazione del 4 novembre contro la precarietà, una manifestazione che si potrebbe dire "di lotta e di governo". Ma un passo per volta. L'impressione è che questo governo e i partiti che lo compongono abbiano le idee molto chiare su come intendano governare e che abbiano, rispetto al governo Berlusconi, un'arma in più. Nonostante la forza elettorale che lo aveva portato al governo e la forza comunicativa che da solo il gruppo Mediaset poteva e può esprimere, il governo "di destra" non poteva contare su corpi intermedi. Il modello della riforma costituzionale approvato dal parlamento a maggioranza berlusconiana e bocciato dal referendum di giugno, andava proprio in questo senso, fotografando, con l'elezione diretta del "capo del governo", la situazione di legame im-mediato tra governo e governati. Del resto, Berlusconi ha coagulato intorno alla sua figura forze politiche moderate e di destra ed ha contato su un vasto appoggio nei ceti medi e anche in significative aree popolari del paese. Al contrario, i partiti che hanno scelto Prodi hanno un profilo ben strutturato e numerosi corpi intermedi fungono da veri e propri azionisti di riferimento del governo in carica. È un dato che i sindacati CGIL CISL e UIL, da un lato ed ACLI ed ARCI, dall'altro, non solo abbiano sostenuto in campagna elettorale l'Unione, ma ne costituiscano un puntello essenziale, esprimendo ceto politico, consenso e mobilitazione. In questo senso Bertinotti e Marini sono le icone di questo legame tra sindacati partiti e istituzioni che è l'ossatura del ceto attualmente al potere. Si osservi poi che alla Margherita sono andati i ministeri che hanno a che fare con cultura/comunicazione (scuola, telecomunicazioni, spettacolo/turismo), lasciando ai DS attività produttive, lavoro, sanità ed esteri ed a Prodi/Padoa Schioppa le misure direttamente economiche e finanziarie. Se alla Margherita è andata quindi, semplificando al massimo, l'economia culturale ed immateriale, i DS si sono attrezzati per controllare l'economia materiale. Il peso della ricchezza e del denaro in politica è chiaro a tutti. Berlusconi era ricco di suo e cinque anni da capo del governo l'hanno ulteriormente arricchito (assieme naturalmente alla sua corte); inoltre, per Berlusconi e i suoi la "cosa pubblica" era terreno di caccia da depredare e non vi è mai stata una vera politica di privatizzazioni della destra perché le avevano già fatte i governi precedenti dell'Ulivo e "tecnici". Il ceto politico-sindacale attualmente al governo si riconosce invece in quello che semplificando potremmo chiamare il modello tosco-emiliano: politica, economia, governo del territorio, sistema creditizio, movimento cooperativo, UNIPOL, Monte dei Paschi, COOP, tutto strettamente legato. Da tempo questo modello vuole fare "il salto di qualità". Nel 1999, ministro dell'industria Bersani, i "capitani coraggiosi" di Colaninno e Gnutti scalano Telecom con la benedizione dell'Ulivo: sembrava l'alba di una "nuova imprenditoria"; certamente, il serio tentativo di un ceto politico di acquisire un "peso specifico economico" abbastanza grande da contrapporre a quello di Berlusconi. La tentata scalata alla BNL da parte di Unipol andava nella stessa direzione, proprio mentre molto più silenziosamente Prodi metteva a segno la fusione tra Banca Intesa e SanPaolo-IMI.
La finanziaria va letta dentro queste dinamiche. Soprattutto l'anticipo dell'entrata in vigore della riforma previdenziale e dei fondi pensione, con lo "scippo" del TFR, aumenta il potere economico di CGIL-CISL-UIL che dei fondi pensione sono i principali gestori. È stato calcolato che il TFR annuo ammonti a circa 19 mld di euro, certo un bel po' di denaro da gestire. Al tempo stesso, il governo si è presentato come non ostile a Confindustria. Questo non è un governo amico dei padroni: piuttosto, è un governo che non è nemico dei padroni. Le forze che appoggiano il governo lavorano in primo luogo per se stesse, per consolidare il loro potere, in primo luogo economico, e per durare. Non intendono quindi mettere in discussione l'attuale mercato del lavoro che hanno contribuito a modellare con il pacchetto Treu (legge 196/97), di cui la legge Biagi (legge 30/03) si è presentata come ampliamento e perfezionamento. La precarietà del rapporto di lavoro subordinato è un dato acquisito: ciò che si deve rimuovere sono quegli aspetti più negativi che in realtà non solo danneggiano i lavoratori, ma anche penalizzano le imprese che, di buon grado o no, stanno alla legislazione vigente. Quindi si spiegano misure come quelle sul lavoro nero, soprattutto nell'edilizia, o il disegno di legge contro il caporalato, appena approvato. Il ministro del lavoro è poi già intervenuto a bloccare i suoi ispettori che pretendevano da società come Atesia la assunzione come lavoratori subordinati a tempo indeterminato di migliaia di lavoratori a progetto (co.co.pro.): il meccanismo di regolarizzazione deve essere graduale, i co.co.pro. diventeranno subordinati, ma a termine, penali ecc. saranno messe da parte. Soprattutto, l'intero percorso deve essere gestito dalle organizzazioni sindacali. Così il governo "fa bella figura" con la base elettorale dei suoi partiti più radicali con norme (sacrosante) contro gli aspetti più selvaggi dello sfruttamento e consegna alle organizzazioni sindacali CGIL-CISL-UIL un ruolo di mediatore del mercato del lavoro che già era ben delineato nella legge Biagi.
Una manifestazione come quella del 4 novembre contro la precarietà, quindi, va letta all'interno dei rapporti di forza tra partiti di governo ("radicali" contro "moderati"); come manifestazione tesa ad intercettare ed incanalare l'evidente disagio di larghi strati di lavoratori che infatti vi hanno partecipato in massa (come in massa, fatte le debite proporzioni, avevano partecipato alla manifestazione del 6 ottobre sempre contro la precarietà ma indetta da CUB-RdB); come riprova delle capacità di mobilitazione non solo dei sindacati "di stato", ma anche di organizzazioni come ACLI e ARCI.
La partita in corso vede quindi delinearsi un ruolo sempre più attivo di sindacati e organizzazioni collaterali nel mondo del lavoro non solo come attività di tutela dei lavoratori. Sta prendendo piede un ruolo attivo e di mediazione di soggetti che stanno sempre più modificando il loro profilo secondo lo schema, dipende dai gusti, del classico disegno socialdemocratico, oppure corporativo. Il sindacato diventa mediatore di lavoro, investitore, socio di capitali di imprese, magari grandi cooperative, bianche o rosse, cui amministrazioni pubbliche, locali o nazionali, affidano la gestione di parti significative di stato sociale o veri e propri appalti, ai quali le coop concorrono scontrandosi o alleandosi (i c.d. raggruppamenti di imprese solo per l'appalto) con le imprese "normali". Non solo quindi dal sindacato alla politica e viceversa, ma dal sindacato all'impresa alla politica alla finanza e di nuovo al sindacato. Sullo sfondo, il modello di sindacato-istituzione americano. Dietro le spalle, la tutela collettiva dei lavoratori come "ragione sociale".
Se questa è la tendenza, è probabile che si sia già messa in conto una certa emorragia di consensi tra i lavoratori più politicizzati e quindi un rafforzamento del sindacalismo di base. Il problema per quest'ultimo non è tanto quello numerico, certo importante, quanto quello di una strategia all'altezza della situazione presente. Il richiamo all'autonomia dei subordinati rischia di suonare vuoto. L'autonomia di classe è un progetto ed una prassi, non una virtù di cui siano dotati i lavoratori in quanto tali. Il conflitto tra capitale e lavoro si modella oggi sulla pluralità di tipologia di imprese: non solo la classica impresa "privata", ma anche la cooperativa, grande o piccola, nel cui consiglio di amministrazione siedono "compagni e amici" già di sindacato, di partito "di lotta e di governo", di associazione. Mentre lo stesso ceto di "compagni e amici" si fa banca, assicurazione, fondo pensione. La conflittualità va quindi radicalizzata là dove essa è sempre passata, cioè nel rapporto di produzione tra capitale (qualunque sia il suo "colore") e il lavoro. Anche se oggi potenti mistificazioni e "cattive coscienze" sono all'opera e "il padrone" ha un aspetto fin troppo "famigliare".

W.B.

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