I primi sei mesi del governo Prodi si stanno concludendo con
l'approvazione della legge finanziaria. La composita maggioranza "di
sinistra" che governa il paese nelle ultime settimane è
naturalmente entrata in fibrillazione a causa dell'approvazione proprio
della legge finanziaria, ma le tensioni e divisioni di oggi non devono
sviare l'attenzione da uno sguardo globale all'azione del governo.
Ciò che ci interessa, in prima approssimazione, analizzare,
è la relazione tra il governo in carica e il corpo della
società, nonché la sua base elettorale, costituita da
circa la metà dei votanti alle ultime elezioni. Questa relazione
spicca chiaramente anche in momenti di "protesta" come quello della
manifestazione del 4 novembre contro la precarietà, una
manifestazione che si potrebbe dire "di lotta e di governo". Ma un
passo per volta. L'impressione è che questo governo e i partiti
che lo compongono abbiano le idee molto chiare su come intendano
governare e che abbiano, rispetto al governo Berlusconi, un'arma in
più. Nonostante la forza elettorale che lo aveva portato al
governo e la forza comunicativa che da solo il gruppo Mediaset poteva e
può esprimere, il governo "di destra" non poteva contare su
corpi intermedi. Il modello della riforma costituzionale approvato dal
parlamento a maggioranza berlusconiana e bocciato dal referendum di
giugno, andava proprio in questo senso, fotografando, con l'elezione
diretta del "capo del governo", la situazione di legame im-mediato tra
governo e governati. Del resto, Berlusconi ha coagulato intorno alla
sua figura forze politiche moderate e di destra ed ha contato su un
vasto appoggio nei ceti medi e anche in significative aree popolari del
paese. Al contrario, i partiti che hanno scelto Prodi hanno un profilo
ben strutturato e numerosi corpi intermedi fungono da veri e propri
azionisti di riferimento del governo in carica. È un dato che i
sindacati CGIL CISL e UIL, da un lato ed ACLI ed ARCI, dall'altro, non
solo abbiano sostenuto in campagna elettorale l'Unione, ma ne
costituiscano un puntello essenziale, esprimendo ceto politico,
consenso e mobilitazione. In questo senso Bertinotti e Marini sono le
icone di questo legame tra sindacati partiti e istituzioni che è
l'ossatura del ceto attualmente al potere. Si osservi poi che alla
Margherita sono andati i ministeri che hanno a che fare con
cultura/comunicazione (scuola, telecomunicazioni, spettacolo/turismo),
lasciando ai DS attività produttive, lavoro, sanità ed
esteri ed a Prodi/Padoa Schioppa le misure direttamente economiche e
finanziarie. Se alla Margherita è andata quindi, semplificando
al massimo, l'economia culturale ed immateriale, i DS si sono
attrezzati per controllare l'economia materiale. Il peso della
ricchezza e del denaro in politica è chiaro a tutti. Berlusconi
era ricco di suo e cinque anni da capo del governo l'hanno
ulteriormente arricchito (assieme naturalmente alla sua corte);
inoltre, per Berlusconi e i suoi la "cosa pubblica" era terreno di
caccia da depredare e non vi è mai stata una vera politica di
privatizzazioni della destra perché le avevano già fatte
i governi precedenti dell'Ulivo e "tecnici". Il ceto politico-sindacale
attualmente al governo si riconosce invece in quello che semplificando
potremmo chiamare il modello tosco-emiliano: politica, economia,
governo del territorio, sistema creditizio, movimento cooperativo,
UNIPOL, Monte dei Paschi, COOP, tutto strettamente legato. Da tempo
questo modello vuole fare "il salto di qualità". Nel 1999,
ministro dell'industria Bersani, i "capitani coraggiosi" di Colaninno e
Gnutti scalano Telecom con la benedizione dell'Ulivo: sembrava l'alba
di una "nuova imprenditoria"; certamente, il serio tentativo di un ceto
politico di acquisire un "peso specifico economico" abbastanza grande
da contrapporre a quello di Berlusconi. La tentata scalata alla BNL da
parte di Unipol andava nella stessa direzione, proprio mentre molto
più silenziosamente Prodi metteva a segno la fusione tra Banca
Intesa e SanPaolo-IMI.
La finanziaria va letta dentro queste dinamiche. Soprattutto l'anticipo
dell'entrata in vigore della riforma previdenziale e dei fondi
pensione, con lo "scippo" del TFR, aumenta il potere economico di
CGIL-CISL-UIL che dei fondi pensione sono i principali gestori.
È stato calcolato che il TFR annuo ammonti a circa 19 mld di
euro, certo un bel po' di denaro da gestire. Al tempo stesso, il
governo si è presentato come non ostile a Confindustria. Questo
non è un governo amico dei padroni: piuttosto, è un
governo che non è nemico dei padroni. Le forze che appoggiano il
governo lavorano in primo luogo per se stesse, per consolidare il loro
potere, in primo luogo economico, e per durare. Non intendono quindi
mettere in discussione l'attuale mercato del lavoro che hanno
contribuito a modellare con il pacchetto Treu (legge 196/97), di cui la
legge Biagi (legge 30/03) si è presentata come ampliamento e
perfezionamento. La precarietà del rapporto di lavoro
subordinato è un dato acquisito: ciò che si deve
rimuovere sono quegli aspetti più negativi che in realtà
non solo danneggiano i lavoratori, ma anche penalizzano le imprese che,
di buon grado o no, stanno alla legislazione vigente. Quindi si
spiegano misure come quelle sul lavoro nero, soprattutto nell'edilizia,
o il disegno di legge contro il caporalato, appena approvato. Il
ministro del lavoro è poi già intervenuto a bloccare i
suoi ispettori che pretendevano da società come Atesia la
assunzione come lavoratori subordinati a tempo indeterminato di
migliaia di lavoratori a progetto (co.co.pro.): il meccanismo di
regolarizzazione deve essere graduale, i co.co.pro. diventeranno
subordinati, ma a termine, penali ecc. saranno messe da parte.
Soprattutto, l'intero percorso deve essere gestito dalle organizzazioni
sindacali. Così il governo "fa bella figura" con la base
elettorale dei suoi partiti più radicali con norme (sacrosante)
contro gli aspetti più selvaggi dello sfruttamento e consegna
alle organizzazioni sindacali CGIL-CISL-UIL un ruolo di mediatore del
mercato del lavoro che già era ben delineato nella legge Biagi.
Una manifestazione come quella del 4 novembre contro la
precarietà, quindi, va letta all'interno dei rapporti di forza
tra partiti di governo ("radicali" contro "moderati"); come
manifestazione tesa ad intercettare ed incanalare l'evidente disagio di
larghi strati di lavoratori che infatti vi hanno partecipato in massa
(come in massa, fatte le debite proporzioni, avevano partecipato alla
manifestazione del 6 ottobre sempre contro la precarietà ma
indetta da CUB-RdB); come riprova delle capacità di
mobilitazione non solo dei sindacati "di stato", ma anche di
organizzazioni come ACLI e ARCI.
La partita in corso vede quindi delinearsi un ruolo sempre più
attivo di sindacati e organizzazioni collaterali nel mondo del lavoro
non solo come attività di tutela dei lavoratori. Sta prendendo
piede un ruolo attivo e di mediazione di soggetti che stanno sempre
più modificando il loro profilo secondo lo schema, dipende dai
gusti, del classico disegno socialdemocratico, oppure corporativo. Il
sindacato diventa mediatore di lavoro, investitore, socio di capitali
di imprese, magari grandi cooperative, bianche o rosse, cui
amministrazioni pubbliche, locali o nazionali, affidano la gestione di
parti significative di stato sociale o veri e propri appalti, ai quali
le coop concorrono scontrandosi o alleandosi (i c.d. raggruppamenti di
imprese solo per l'appalto) con le imprese "normali". Non solo quindi
dal sindacato alla politica e viceversa, ma dal sindacato all'impresa
alla politica alla finanza e di nuovo al sindacato. Sullo sfondo, il
modello di sindacato-istituzione americano. Dietro le spalle, la tutela
collettiva dei lavoratori come "ragione sociale".
Se questa è la tendenza, è probabile che si sia
già messa in conto una certa emorragia di consensi tra i
lavoratori più politicizzati e quindi un rafforzamento del
sindacalismo di base. Il problema per quest'ultimo non è tanto
quello numerico, certo importante, quanto quello di una strategia
all'altezza della situazione presente. Il richiamo all'autonomia dei
subordinati rischia di suonare vuoto. L'autonomia di classe è un
progetto ed una prassi, non una virtù di cui siano dotati i
lavoratori in quanto tali. Il conflitto tra capitale e lavoro si
modella oggi sulla pluralità di tipologia di imprese: non solo
la classica impresa "privata", ma anche la cooperativa, grande o
piccola, nel cui consiglio di amministrazione siedono "compagni e
amici" già di sindacato, di partito "di lotta e di governo", di
associazione. Mentre lo stesso ceto di "compagni e amici" si fa banca,
assicurazione, fondo pensione. La conflittualità va quindi
radicalizzata là dove essa è sempre passata, cioè
nel rapporto di produzione tra capitale (qualunque sia il suo "colore")
e il lavoro. Anche se oggi potenti mistificazioni e "cattive coscienze"
sono all'opera e "il padrone" ha un aspetto fin troppo "famigliare".
W.B.