Sono fatti brutali, indecenti. E tanto più brutali e indecenti
quanto più si avverte, nei loro protagonisti,
l'incapacità di comprendere in pieno quali verranno ad essere le
conseguenze di quegli atti, tanto per gli autori quanto per chi ha
dovuto subire la loro idiota brutalità. Fra tutti questi, quello
forse più vigliaccamente cattivo, l'accanimento di quattro
umanoidi contro un loro indifeso compagno autistico.
Stiamo parlando, ovviamente, di quell'ondata di violenze giovanili,
esercitate da minorenni su altri minorenni più deboli,
debitamente filmate con l'immancabile videotelefono, e di cui sono oggi
piene le pagine dei giornali e le cronache televisive. E sulle quali,
scoperchiato il vaso di Pandora che pudicamente ne tratteneva il
fetore, si sta esercitando l'immancabile canea di moralisti da salotto
e di psicologi vespa dipendenti ai quali non pare vero, come se fino a
quel momento non ce ne fossero state le avvisaglie, avere scovato un
nuovo argomento "forte" sul quale esercitare le loro ipnotiche e
ipocrite qualità.
L'atteggiamento comune, infatti, è quello della condanna. Ed
è normale che sia anche così, perché stupri,
botte, violenze e umiliazioni inflitte a chi è impossibilitato a
difendersi, non possono trovare altro che moti di condanna. E di
condanna senza alcuna attenuante. Però, una volta espressa la
condanna, bisogna cercare di capire quali siano i meccanismi sociali
determinatisi in questi ultimi anni e che stanno provocando questo
massiccio imbarbarimento nei comportamenti minorili. Insomma, dobbiamo
chiederci come sia possibile che tanti appartenenti alle ultime
generazioni sentano il bisogno di esprimere la vitalità propria
della loro età in forme così violentemente e assurdamente
aggressive. E come è possibile che il loro senso critico sia
talmente attenuato da non arrivare neppure a capire che divulgare le
immagini in rete potrebbe ritorcersi contro di loro. Perché a
quanto pare sembra che siamo davvero a questo punto.
Io sono convinto che nulla sia casuale. E che dietro al degrado
culturale che sta togliendo ogni prospettiva di crescita alle nuove
classi di età, ci sia un disegno ben preciso, un disegno
coordinato e programmato, finalizzato a impedire il riformarsi di
quelle insorgenze derivanti da una consapevolezza sociale diffusa e
condivisa.
Una volta si diceva che il potere cercava il consenso, che avesse
bisogno del consenso per poter governare meglio i fenomeni sociali che
la modernità imponeva. Un consenso che poggiava su un piano di
reciprocità, nel quale il cittadino virtuoso era motivato alla
"virtù" grazie a un altrettanto virtuoso rispetto delle regole
da parte del potere. Insomma, tu fai il bravo e io sarò un
potere buono e democratico. Oggi, al contrario, mi pare che al potere
del consenso non gliene importi più di tanto. Ciò che
più gli interessa, piuttosto, è il controllo, un
controllo sociale tanto più forte e legittimato ad esprimersi
quanto più sono le devianze che si manifestano nella
società. Ed ecco allora che quelle mille entità concrete,
materiali, fatte di uomini, di cose e di apparati istituzionali, che
nel loro insieme costituiscono quell'entità astratta che
è il potere, si danno un gran daffare per creare le condizioni
perché questo controllo possa esercitarsi senza troppi ostacoli.
Prima si criminalizza e si bastona con un uso assolutamente
sproporzionato della forza chi ancora esprime una coscienza sociale e
solidale scendendo in piazza per protestare (vedi il G8 a Genova, tanto
per fare un esempio), poi si inventa il barbaro invasore identificato
in tutti, ma proprio in tutti i migranti che vengono a costruire le
nostre case e a far funzionare le nostre fonderie, e contemporaneamente
si alleva una generazione incoraggiata – perché di un
oggettivo incoraggiamento si tratta – a non comprendere che nei
rapporti fra simili l'uso della violenza non può essere la norma
ma un'aberrazione e che la solidarietà e il rispetto sono valori
molto più importanti che non l'affermazione egoistica e violenta
del proprio io. Chi è violento sarà disposto a subire la
violenza del più forte, chi concepisce solamente rapporti
autoritari introietta come norma comportamentale il principio di
autorità, facendo del concetto di gerarchia la base stessa del
suo rapportarsi con gli altri. Lo scandalo, allora, non è solo
il branco che calpesta la dignità e il corpo dei coetanei
indifesi.
Lo scandalo ulteriore è come questo "allevamento" si esplica,
come quella miriade di entità astratte di cui dicevo prima, si
muove per arrivare all'annientamento definitivo della generosità
e delle qualità altrimenti insite nei giovani. Perché nei
giovani esistono e sono sempre esistite forme di aggressività,
che ognuno di noi, credo ha visto o vissuto sui banchi di scuola negli
anni della giovinezza. Quello che sta cambiando, oggi, non è
soltanto la gravità dei gesti, che sicuramente, nella loro
feroce crudeltà, non trovano né possono trovare alcuna
giustificazione, ma anche la voluta impossibilità della
società degli adulti (che vede finalmente portato a compimento
il proprio insano progetto) di trasmettere un sistema di valori fondato
su una effettiva solidarietà sociale. Passato il tempo in cui ci
si lamentava dell'insensibilità dei giovani – oh, come
ricordo i gemiti della classe politica che temeva il definitivo
distacco della mia generazione dall'impegno sociale - e poi è
venuto il '68 e quel che segue, oggi il problema vero è riuscire
a contenere questa violentissima e becera trasgressività senza
che si riformino movimenti capaci di trasformarla in opposizione. E
quanto più il teorema pare irrisolvibile, tanto più la
violenza dei vari branchi e branchetti che scorazzano sicuri
dell'impunità si manifesta in forme sempre più aberranti
e ignobili. Come trasmettere, del resto, contenuti altri, di
libertà, di solidarietà, di felice contaminazione di
etiche e culture, quando sempre più il sistema si fonda sulla
precarietà, sulla aggressività dei poteri, sui concetti
di esclusione e separatezza, sul razzismo istituzionale, sull'uso della
violenza come risposta definitiva? Come pensare di aiutare un giovane a
formarsi un senso critico, un'etica della responsabilità, una
coscienza rivolta alla libertà, quando si opera
"scientificamente" un corto circuito definitivo fra i valori condivisi
da chi lo ha preceduto e le prospettive che gli sono riservate per il
futuro? E quando chi ancora potrebbe, e forse vorrebbe, porre un
rimedio, sostanzialmente abdica dal proprio ruolo?
E allora quanto è ipocrita e disonesto, quanto inutile e
offensivo il latrare alla luna di chi pare accorgersi solo ora della
deriva che si sta percorrendo ormai da anni; di chi parla – tanto
per usare termini alla moda – di nuove "emergenze", tentando di
criminalizzare, sull'onda di una più che giustificata emozione,
tutto quel mondo giovanile al quale ha volutamente negato la
possibilità di crescere. I quattro idioti di quella scuola di
Torino possono ben dire di essere in buona compagnia!
Massimo Ortalli