Umanità Nova, n 38 del 26 novembre 2006, anno 86

La nuova "emergenza": le violenze degli adolescenti
Latrare alla luna


Sono fatti brutali, indecenti. E tanto più brutali e indecenti quanto più si avverte, nei loro protagonisti, l'incapacità di comprendere in pieno quali verranno ad essere le conseguenze di quegli atti, tanto per gli autori quanto per chi ha dovuto subire la loro idiota brutalità. Fra tutti questi, quello forse più vigliaccamente cattivo, l'accanimento di quattro umanoidi contro un loro indifeso compagno autistico.
Stiamo parlando, ovviamente, di quell'ondata di violenze giovanili, esercitate da minorenni su altri minorenni più deboli, debitamente filmate con l'immancabile videotelefono, e di cui sono oggi piene le pagine dei giornali e le cronache televisive. E sulle quali, scoperchiato il vaso di Pandora che pudicamente ne tratteneva il fetore, si sta esercitando l'immancabile canea di moralisti da salotto e di psicologi vespa dipendenti ai quali non pare vero, come se fino a quel momento non ce ne fossero state le avvisaglie, avere scovato un nuovo argomento "forte" sul quale esercitare le loro ipnotiche e ipocrite qualità.
L'atteggiamento comune, infatti, è quello della condanna. Ed è normale che sia anche così, perché stupri, botte, violenze e umiliazioni inflitte a chi è impossibilitato a difendersi, non possono trovare altro che moti di condanna. E di condanna senza alcuna attenuante. Però, una volta espressa la condanna, bisogna cercare di capire quali siano i meccanismi sociali determinatisi in questi ultimi anni e che stanno provocando questo massiccio imbarbarimento nei comportamenti minorili. Insomma, dobbiamo chiederci come sia possibile che tanti appartenenti alle ultime generazioni sentano il bisogno di esprimere la vitalità propria della loro età in forme così violentemente e assurdamente aggressive. E come è possibile che il loro senso critico sia talmente attenuato da non arrivare neppure a capire che divulgare le immagini in rete potrebbe ritorcersi contro di loro. Perché a quanto pare sembra che siamo davvero a questo punto.
Io sono convinto che nulla sia casuale. E che dietro al degrado culturale che sta togliendo ogni prospettiva di crescita alle nuove classi di età, ci sia un disegno ben preciso, un disegno coordinato e programmato, finalizzato a impedire il riformarsi di quelle insorgenze derivanti da una consapevolezza sociale diffusa e condivisa.
Una volta si diceva che il potere cercava il consenso, che avesse bisogno del consenso per poter governare meglio i fenomeni sociali che la modernità imponeva. Un consenso che poggiava su un piano di reciprocità, nel quale il cittadino virtuoso era motivato alla "virtù" grazie a un altrettanto virtuoso rispetto delle regole da parte del potere. Insomma, tu fai il bravo e io sarò un potere buono e democratico. Oggi, al contrario, mi pare che al potere del consenso non gliene importi più di tanto. Ciò che più gli interessa, piuttosto, è il controllo, un controllo sociale tanto più forte e legittimato ad esprimersi quanto più sono le devianze che si manifestano nella società. Ed ecco allora che quelle mille entità concrete, materiali, fatte di uomini, di cose e di apparati istituzionali, che nel loro insieme costituiscono quell'entità astratta che è il potere, si danno un gran daffare per creare le condizioni perché questo controllo possa esercitarsi senza troppi ostacoli. Prima si criminalizza e si bastona con un uso assolutamente sproporzionato della forza chi ancora esprime una coscienza sociale e solidale scendendo in piazza per protestare (vedi il G8 a Genova, tanto per fare un esempio), poi si inventa il barbaro invasore identificato in tutti, ma proprio in tutti i migranti che vengono a costruire le nostre case e a far funzionare le nostre fonderie, e contemporaneamente si alleva una generazione incoraggiata – perché di un oggettivo incoraggiamento si tratta – a non comprendere che nei rapporti fra simili l'uso della violenza non può essere la norma ma un'aberrazione e che la solidarietà e il rispetto sono valori molto più importanti che non l'affermazione egoistica e violenta del proprio io. Chi è violento sarà disposto a subire la violenza del più forte, chi concepisce solamente rapporti autoritari introietta come norma comportamentale il principio di autorità, facendo del concetto di gerarchia la base stessa del suo rapportarsi con gli altri. Lo scandalo, allora, non è solo il branco che calpesta la dignità e il corpo dei coetanei indifesi.
Lo scandalo ulteriore è come questo "allevamento" si esplica, come quella miriade di entità astratte di cui dicevo prima, si muove per arrivare all'annientamento definitivo della generosità e delle qualità altrimenti insite nei giovani. Perché nei giovani esistono e sono sempre esistite forme di aggressività, che ognuno di noi, credo ha visto o vissuto sui banchi di scuola negli anni della giovinezza. Quello che sta cambiando, oggi, non è soltanto la gravità dei gesti, che sicuramente, nella loro feroce crudeltà, non trovano né possono trovare alcuna giustificazione, ma anche la voluta impossibilità della società degli adulti (che vede finalmente portato a compimento il proprio insano progetto) di trasmettere un sistema di valori fondato su una effettiva solidarietà sociale. Passato il tempo in cui ci si lamentava dell'insensibilità dei giovani – oh, come ricordo i gemiti della classe politica che temeva il definitivo distacco della mia generazione dall'impegno sociale - e poi è venuto il '68 e quel che segue, oggi il problema vero è riuscire a contenere questa violentissima e becera trasgressività senza che si riformino movimenti capaci di trasformarla in opposizione. E quanto più il teorema pare irrisolvibile, tanto più la violenza dei vari branchi e branchetti che scorazzano sicuri dell'impunità si manifesta in forme sempre più aberranti e ignobili. Come trasmettere, del resto, contenuti altri, di libertà, di solidarietà, di felice contaminazione di etiche e culture, quando sempre più il sistema si fonda sulla precarietà, sulla aggressività dei poteri, sui concetti di esclusione e separatezza, sul razzismo istituzionale, sull'uso della violenza come risposta definitiva? Come pensare di aiutare un giovane a formarsi un senso critico, un'etica della responsabilità, una coscienza rivolta alla libertà, quando si opera "scientificamente" un corto circuito definitivo fra i valori condivisi da chi lo ha preceduto e le prospettive che gli sono riservate per il futuro? E quando chi ancora potrebbe, e forse vorrebbe, porre un rimedio, sostanzialmente abdica dal proprio ruolo?
E allora quanto è ipocrita e disonesto, quanto inutile e offensivo il latrare alla luna di chi pare accorgersi solo ora della deriva che si sta percorrendo ormai da anni; di chi parla – tanto per usare termini alla moda – di nuove "emergenze", tentando di criminalizzare, sull'onda di una più che giustificata emozione, tutto quel mondo giovanile al quale ha volutamente negato la possibilità di crescere. I quattro idioti di quella scuola di Torino possono ben dire di essere in buona compagnia!

Massimo Ortalli

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