"Mamma dormo fuori" di Ico Gattai, ed. ETS Pisa
Una vecchia battuta dice che gli anni Settanta sono finiti... nel
1978 quando L'Espresso nel decennale del Sessantotto pensò bene
di pubblicare una serie di fascicoli a puntate sugli "anni della
contestazione" con tanto di flexi-disc allegati con "le voci e le
canzoni di allora".
Certo è che una qualunque libreria del Belpaese che volesse
dedicare una propria sezione ai libri dedicati agli (o ambientati
negli) anni Settanta avrebbe bisogno di alcuni scaffali di quelli
abbondanti per contenere il mare di volumi che in qualche modo trattano
il decennio più mitizzato, più denigrato e più
esaltato del Novecento italiano. Se i saggi farebbero la parte del
leone, anche la narrativa sarebbe comunque abbondante in questo
ipotetico Reparto 70, perlopiù memorialistica di protagonisti e
testimoni di allora tutti sospesi tra l'autoflagellazione e la
nostalgia, ma anche una serie di testi di fiction che però
appartengono quasi senza eccezioni alla mai troppo vituperata categoria
del Romanzo Psicologico che comprende, come ha detto il buon Tom
Robbins, "tutti quei libri che sono stati scritti per permettere ai
loro scrittori e ai loro lettori di pensare che in definitiva è
molto figa la propria mancanza di sforzi per conquistare un po' di
felicità". Tra le eccezioni a questa triste regola c'è
"Mamma dormo fuori" di Ico Gattai pubblicato dalla ETS, una piccola
casa editrice pisana. Il romanzo racconta la storia (vera) di tre
militanti di Lotta Continua che nel giugno 1970 allarmati dalle voci su
un golpe militare organizzato dal Principe Nero Junio Valerio Borghese
(che pochi mesi prima aveva dichiarato alla Radio Svizzera le proprie
intenzioni di "sterminare tutti i comunisti") decidono di tentare la
fuga all'estero, per ritrovarsi fermati dai carabinieri alla frontiera
con l'Austria che riescono fortunosamente a raggiungere e a cui
chiedono asilo politico senza ovviamente ottenere niente di meglio che
passare la notte in un CPT dell'epoca. Da questa vicenda di cui si
occuparono anche i quotidiani dell'epoca per i suoi facili elementi di
costume ("Tre maoisti pisani chiedono asilo politico all'Austria"
titolò il Corriere) e che a Pisa è al centro di
innumerevoli leggende urbane, Ico trae un romanzo picaresco e
affettuoso pieno di piccole avventure e di grande senso dell'ironia che
non risparmia nessuna delle icone sacre care ai cultori della
Nostalgia, né la paranoica e autoritaria organizzazione
rivoluzionaria marxista-leninista né i famosi Mondiali Messicani
del 1970 che, come dice un commissario di polizia nelle ultime pagine
del libro "è l'unica cosa che interessa davvero gli italiani"
che rapiti dalle imprese di Gigi Riva e dei suoi compagni, si
dimenticano presto del pericolo più che reale (come poi
dimostreranno decine di inchieste) rappresentato dal Golpe Borghese. I
nostri tre eroi non riescono a raggiungere la loro meta e alla fine del
libro se ne tornano a Pisa su una immancabile Cinquecento, ma la loro
piccola "storia di costume ha tenuto comunque vivo l'interesse dei
quotidiani per le trame nere e le loro mamme ed anche
"l'organizzazione" si rivelano più comprensive del previsto...
Ico che non è un reduce (è nato nel '72), ma che conosce
bene l'ambiente (suo padre è un noto ex militante di Lotta
Continua), ha saputo scrivere con una prosa asciutta, attraversata e
contaminata dal "parlato" un romanzo che, per una volta tanto, non
è un libro sugli anni Settanta, ma piuttosto un libro in cui
quegli anni sono l'occasione per raccontare una di quelle belle ed
eterne storie di fuga, amicizia, piani segreti e avventura che da
sempre cerchiamo in un romanzo per tenere al caldo il nostro cuore
ribelle. Non mi sembra un caso che questo piccolo e caldo gioiello sia
uscito dalla penna di Ico che non solo non è un reduce né
uno scrittore professionista (anche se il ragazzo è già
arrivato al suo secondo romanzo pubblicato), ma una persona attivamente
impegnata sin dalla prima adolescenza nelle componenti più
creative e libertarie dei movimenti che inesorabilmente continuano a
percorrere le strade e le piazze di Pisa, la bella e dolce città
sulle rive dell'Arno che, come dico, non abbiamo ancora capito bene se
è "la culla della rivolta" o "il paradiso dei discorsi".
robertino