Per un giorno, lo scorso 10 novembre, era circolata la voce che in
qualche modo il ministro degli esteri, nonché vicepremier,
Massimo D'Alema avesse cambiato opinione sull'intervento militare
italiano in Afganistan, solo perché aveva parlato della
necessità di rivedere e ripensare l'attuale missione, al fine di
potenziare "gli aspetti politici, economici e umanitari, dato che sul
piano meramente militare è difficile trovare una soluzione alla
crisi in atto".
Il solo pensare ad un D'Alema in veste pacifista avrebbe dovuto far
sorridere chiunque, ben ricordando il suo protagonismo bellicista in
occasione dell'aggressione Nato in Kosovo nel 1999, eppure a sinistra
la cosa ha alimentato facili illusioni e diversioni politiche, mentre a
destra già si gridava al tradimento e al disfattismo.
In realtà D'Alema non aveva fatto altro che riaffermare una
storica ovvietà, ossia che la politica è la continuazione
della guerra con altri mezzi, rilanciando la proposta di un'improbabile
Conferenza internazionale sull'Afganistan, già ventilata nello
scorso luglio allo scopo preciso di acquietare gli animi di quanti
nella maggioranza governativa di centrosinistra - assai pochi, a dire
il vero - non volevano votare a favore della proroga e del
rifinanziamento della missione italiana in Afganistan.
Attualmente tale intervento, dal costo di circa 320 milioni di euro
all'anno, vede impegnati 2.388 militari italiani, dei quali 1.938 con
la missione Isaf-Nato, dislocati a Kabul e ad Herat; 380 imbarcati nel
Mar Arabico nell'ambito dell'operazione Enduring Freedom, sotto guida
statunitense; e altri 70 su unità navali operanti nel
Mediterraneo come parte della missione contro il terrorismo Active
Endeavour.
Nel caso ci fossero stati dubbi a riguardo, nei giorni seguenti lo
stesso ministro agli esteri, il capo del governo Prodi e altri ministri
assortiti, hanno ribadito che nessuno aveva preso in considerazione
l'ipotesi di ritirare le truppe, anzi.
Gli impegni sottoscritti, sul piano militare, dal governo italiano nell'ambito della Nato non sono infatti un'opinione.
A scanso di equivoci, in particolare, D'Alema ha precisato che serve
"un grande impegno non solo militare e di lotta al terrorismo ma anche
politico, economico e culturale"; mentre riguardo la Conferenza
internazionale che qualcuno, frettolosamente, aveva definito "di pace"
ha chiarito che sarebbe finalizzata ancora a "rilanciare l'azione
internazionale, che tratti insieme i temi della lotta alla droga e
della lotta al terrorismo, della ricostruzione, il rafforzamento della
polizia e delle forze armate afgane".
Quindi niente di nuovo, sul fronte afgano: la guerra continua.
Negli ultimi mesi gli attacchi della guerriglia sono, per stessa
ammissione dei comandi Nato e Usa, raddoppiati, da 300 a 600 al mese;
così come sono raddoppiati i bombardamenti della coalizione
occidentale, toccando le 50 incursioni quotidiane, con continue stragi
tra la popolazione civile.
A dicembre, sarà interessante vedere come e con quali voti il
governo di centrosinistra prolungherà ulteriormente l'intervento
e l'occupazione militare in Afganistan; ma oltre che a tenere gli occhi
aperti, l'opposizione alla guerra avrebbe tutte le ragioni per
rimettersi in movimento.
U.F.