Umanità Nova, n 39 del 3 dicembre 2006, anno 86

La base USA? Lascia e non raddoppia!
Vicenza non è una portaerei


A Vicenza, lungo il viale della Pace, secondo la testimonianza di un residente, ogni due minuti transita un veicolo militare. Ad accrescere il senso di paradosso, sullo stesso viale della Pace si affaccia la caserma Ederle dell'esercito Usa, dalla quale sono partiti reparti aviotrasportati per le guerre in Iraq e Afganistan.
Basterebbe questo dato per comprendere come l'annuncio del progetto della creazione di un'enorme, ulteriore, base aerea presso l'aeroporto Dal Molin, abbia scatenato a Vicenza larghe e diffuse proteste tra gli abitanti, dando vita ad un'importante esperienza di autorganizzazione sociale che, articolata in comitati dei cittadini e assemblee popolari, per certi aspetti ricorda le dinamiche della lotta contro il Tav in Val di Susa.
Eppure, questa opposizione in apparenza "localistica" non riguarda soltanto il territorio vicentino, ma immediatamente ha una proiezione internazionale, in quanto la nuova Ederle sarebbe la più importante base operativa statunitense in Europa dato che, con lo spostamento a Sud delle strategie Usa e Nato, alcune grandi strutture militari in Germania sono state dismesse o ridimensionate.
Tale progetto, tenuto semi nascosto per anni, se da un lato è passato sulla testa dei diretti interessati, ossia dei cittadini di Vicenza e dei comuni limitrofi, che già devono convivere con una pesante militarizzazione della e sulla loro vita, nonché con le conseguenze dell'impatto ambientale delle diverse servitù militari, dall'altro vede con tutta evidenza la diretta responsabilità di governo sia del centrodestra che del centrosinistra. Non è infatti pensabile che l'amministrazione statunitense abbia deliberato stanziamenti di miliardi di dollari, spostamenti di truppe e progettazioni, senza avere la sicurezza preventiva di poter realizzare tale intento.
Adesso, infatti, stanno emergendo le prove inconfutabili di questa scontata complicità, tanto che sul sito web dell'Us.Navy è comparso persino il capitolato d'appalto con la data prevista per l'avvio dei lavori: 6 giugno 2007.
D'altra parte, tutto quello che riguarda i rapporti politici e militari tra stato italiano e Stati Uniti da oltre mezzo secolo appare perennemente secretato e fuori da ogni possibile controllo civile: non solo, ad esempio, sono noti soltanto 120 dei complessivi 130 siti militari Usa sul suolo italiano, ma non si conosce neppure il numero e la dislocazione delle armi nucleari, batteriologiche e chimiche statunitensi che vi permangono, a rischio dell'intera collettività che, invece, si allarma per la propria sicurezza solo in relazione alle minacce terroristiche.
La giusta rivolta contro l'occupazione neocoloniale a stelle strisce, con le sue ricadute economiche al negativo (circa il 37% delle spese di stazionamento dei militari Usa sono pagate dai contribuenti italiani), non può d'altra parte far dimenticare l'altrettanto invadente realtà del militarismo italiano, delle mire imperialiste dell'Europa, delle guerre in cui ci troviamo coinvolti come forze occupanti "di pace" in Iraq, Afganistan, Libano e Balcani, né il continuo crescere delle spese militari che i lavoratori e i senza reddito devono sopportare (basti pensare ai 20 miliardi di euro previsti dalla Finanziaria 2007 per armamenti e missioni all'estero, o ai 320 milioni di euro che costa annualmente solo l'intervento italiano in Afganistan).
Per questi motivi, la mobilitazione popolare contro la nuova base-mostro a Vicenza, se da una parte vede la solidarietà attiva del sindacalismo di base, impegnato già a difendere i salari dalla Finanziaria di guerra, e il coinvolgimento di tutte le realtà antimilitariste e antinterventiste, dall'altra deve fare i conti, oltre che con le ambiguità e le incertezze delle sinistre di governo, con la criminalizzazione unanime da parte di un "partito atlantico" che, dai Ds ad Alleanza Nazionale, non ha perso tempo a bollare come "delinquenti" e "teppisti" quanti stanno prendendo coscienza che a Vicenza si gioca una partita in cui è evidente la contraddizione tra militarismo ed umanità, tra capitale ed uguaglianza sociale.
La partecipazione anarchica alla manifestazione del 2 dicembre vuole essere dentro questa consapevolezza e a fianco di quanti hanno scelto di non delegare più le decisioni su una questione che non riguarda soltanto la guerra in casa nostra, ma anche le vittime delle guerre seminate in nostro nome.
Purtroppo, dobbiamo saperlo tutti, non sarà una lotta semplice né breve e, dopo essere scesi in piazza, sarà necessario pensare, forti della memoria partigiana di questa provincia, a come trasformare la protesta in resistenza. 

KAS

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