A Vicenza, lungo il viale della Pace, secondo la testimonianza di un
residente, ogni due minuti transita un veicolo militare. Ad accrescere
il senso di paradosso, sullo stesso viale della Pace si affaccia la
caserma Ederle dell'esercito Usa, dalla quale sono partiti reparti
aviotrasportati per le guerre in Iraq e Afganistan.
Basterebbe questo dato per comprendere come l'annuncio del progetto
della creazione di un'enorme, ulteriore, base aerea presso l'aeroporto
Dal Molin, abbia scatenato a Vicenza larghe e diffuse proteste tra gli
abitanti, dando vita ad un'importante esperienza di autorganizzazione
sociale che, articolata in comitati dei cittadini e assemblee popolari,
per certi aspetti ricorda le dinamiche della lotta contro il Tav in Val
di Susa.
Eppure, questa opposizione in apparenza "localistica" non riguarda
soltanto il territorio vicentino, ma immediatamente ha una proiezione
internazionale, in quanto la nuova Ederle sarebbe la più
importante base operativa statunitense in Europa dato che, con lo
spostamento a Sud delle strategie Usa e Nato, alcune grandi strutture
militari in Germania sono state dismesse o ridimensionate.
Tale progetto, tenuto semi nascosto per anni, se da un lato è
passato sulla testa dei diretti interessati, ossia dei cittadini di
Vicenza e dei comuni limitrofi, che già devono convivere con una
pesante militarizzazione della e sulla loro vita, nonché con le
conseguenze dell'impatto ambientale delle diverse servitù
militari, dall'altro vede con tutta evidenza la diretta
responsabilità di governo sia del centrodestra che del
centrosinistra. Non è infatti pensabile che l'amministrazione
statunitense abbia deliberato stanziamenti di miliardi di dollari,
spostamenti di truppe e progettazioni, senza avere la sicurezza
preventiva di poter realizzare tale intento.
Adesso, infatti, stanno emergendo le prove inconfutabili di questa
scontata complicità, tanto che sul sito web dell'Us.Navy
è comparso persino il capitolato d'appalto con la data prevista
per l'avvio dei lavori: 6 giugno 2007.
D'altra parte, tutto quello che riguarda i rapporti politici e militari
tra stato italiano e Stati Uniti da oltre mezzo secolo appare
perennemente secretato e fuori da ogni possibile controllo civile: non
solo, ad esempio, sono noti soltanto 120 dei complessivi 130 siti
militari Usa sul suolo italiano, ma non si conosce neppure il numero e
la dislocazione delle armi nucleari, batteriologiche e chimiche
statunitensi che vi permangono, a rischio dell'intera
collettività che, invece, si allarma per la propria sicurezza
solo in relazione alle minacce terroristiche.
La giusta rivolta contro l'occupazione neocoloniale a stelle strisce,
con le sue ricadute economiche al negativo (circa il 37% delle spese di
stazionamento dei militari Usa sono pagate dai contribuenti italiani),
non può d'altra parte far dimenticare l'altrettanto invadente
realtà del militarismo italiano, delle mire imperialiste
dell'Europa, delle guerre in cui ci troviamo coinvolti come forze
occupanti "di pace" in Iraq, Afganistan, Libano e Balcani, né il
continuo crescere delle spese militari che i lavoratori e i senza
reddito devono sopportare (basti pensare ai 20 miliardi di euro
previsti dalla Finanziaria 2007 per armamenti e missioni all'estero, o
ai 320 milioni di euro che costa annualmente solo l'intervento italiano
in Afganistan).
Per questi motivi, la mobilitazione popolare contro la nuova
base-mostro a Vicenza, se da una parte vede la solidarietà
attiva del sindacalismo di base, impegnato già a difendere i
salari dalla Finanziaria di guerra, e il coinvolgimento di tutte le
realtà antimilitariste e antinterventiste, dall'altra deve fare
i conti, oltre che con le ambiguità e le incertezze delle
sinistre di governo, con la criminalizzazione unanime da parte di un
"partito atlantico" che, dai Ds ad Alleanza Nazionale, non ha perso
tempo a bollare come "delinquenti" e "teppisti" quanti stanno prendendo
coscienza che a Vicenza si gioca una partita in cui è evidente
la contraddizione tra militarismo ed umanità, tra capitale ed
uguaglianza sociale.
La partecipazione anarchica alla manifestazione del 2 dicembre vuole
essere dentro questa consapevolezza e a fianco di quanti hanno scelto
di non delegare più le decisioni su una questione che non
riguarda soltanto la guerra in casa nostra, ma anche le vittime delle
guerre seminate in nostro nome.
Purtroppo, dobbiamo saperlo tutti, non sarà una lotta semplice
né breve e, dopo essere scesi in piazza, sarà necessario
pensare, forti della memoria partigiana di questa provincia, a come
trasformare la protesta in resistenza.
KAS