Umanità Nova, n 39 del 3 dicembre 2006, anno 86

Nostalgie craxiane nel centrosinistra
Quando c'era Lui


Non perde occasione Piero Fassino, segretario dei Democratici di sinistra e affannato promotore del "Partito Democratico", per commemorare con devozione Bettino Craxi: tra i dirigenti della sinistra parlamentare degli ultimi decenni, forse, quello che più sfacciatamente di tutti intrecciò i propri interessi di potere con gli affari della grande criminalità organizzata nazionale e internazionale, si rese responsabile dell'enorme tributo di morte e terrore che questa scelta comportò, e contribuì, in tandem con l'allora presidente della repubblica Francesco Cossiga, a riportare in auge e rinforzare l'anima più fascista dello Stato italiano, con le sue tante strutture "segrete", o parallele.
Già nelle sue preziose memorie (2003), come poi all'ultimo congresso DS (2005), e nuovamente in questi giorni, Fassino ha ricordato Craxi come colui che "intuì e colse, molto prima di altri, le domande di modernizzazione poste dalla società italiana alla fine degli anni '70".
Non stupisce che il segretario DS, la cui maggioranza nel partito dipende in larga misura dal favore delle due componenti interne eredi dei "miglioristi", ovvero della corrente più esplicitamente filocapitalista, e filocraxiana dell'ex PCI, guardi oggi al dirigente socialista di quegli anni come ad una figura di riferimento. Ciò torna utile, in primo luogo, ad interessi contingenti della segreteria diessina, impegnata nell'improbabile tentativo di traghettare anche la Margherita verso un'adesione all'internazionale socialista, e interessata ad attirare nel vagheggiato partito democratico anche gli attuali eredi del potere craxiano, sempre ondeggianti e divisi fra centrodestra e centrosinistra. Per altri versi, la riabilitazione di Craxi e l'ossequio postumo a lui rivolti rappresentano una ennesima dichiarazione di totale asservimento all'economia capitalista, ai sistemi di dominio che la incarnano, alle brutalità sistematiche che essa comporta, che la classe dirigente erede del PCI sente il bisogno di ripetere eternamente come un mantra, una preghiera di espiazione, volta a sciogliere le diffidenze e le freddezze che i poteri forti del capitale nazionale e mondiale, talvolta, ancora gli riservano.
Tale operazione richiede, tuttavia, da parte di coloro che dalle file del centrosinistra, in perfetta consonanza con la retorica berlusconiana, la portano avanti, un altissimo livello di rimozione, cancellazione e contraffazione della realtà storica, sociale e politica degli anni Ottanta, e del ruolo che in essa ebbero l'ascesa e l'egemonia del PSI di Bettino Craxi.

Ricordo gli anni dello strapotere craxiano, vissuti e visti da un quartiere degradato di Napoli, come Poggioreale. Rammento il fiorire di sezioni socialiste in quasi tutti i luoghi e locali ben noti, agli abitanti della zona, come posti di ritrovo della camorra locale. Ricordo che, nei periodi di campagna elettorale, ogni singolo "camorristiello" del quartiere era coinvolto febbrilmente in attività di attacchinaggio e promozione, e non scordo di averli visti fare a botte, e metter mano alle armi, perché, sullo stesso muro, volevano incollare i manifesti di due diversi candidati socialisti.
Il reclutamento dei dirigenti avveniva con i medesimi criteri usati per il reperimento della manovalanza. Bastava essere affiliato, sia pur debolmente, alla camorra, privo di scrupoli, e capace di imbastire quattro chiacchiere, per aprirsi una carriera politica. Ricordo l'arroganza che questo stato di cose risvegliò nella malavita rionale e cittadina. Una consapevolezza di impunità, un sapere di potersi concedere anche la violenza gratuita, che non hanno mai smesso di diffondersi in questi ambienti, anche negli anni successivi all'epoca craxiana, caratterizzati, a livello nazionale, dal berlusconismo e dalla totale subalternità del centrosinistra alle sue logiche, e sul piano locale dall'inerzia e dalla collusione delle amministrazioni di centrosinistra con i potentati locali. Scelte istituzionali e politiche che nessuna discontinuità hanno espresso, rispetto agli anni del malaffare e degli sperperi democristiani e socialisti.

Val la pena richiamare alcuni tra i tanti passaggi nefasti di quella fase:
Il congresso socialista di Palermo, del 1981, segnava l'avvio del controllo totale di Craxi su un partito, già da decenni, coinvolto nella spartizione del potere con la DC e con i suoi satelliti: si imponeva la linea della "modernità" intesa come gestione spregiudicata del potere e degli affari. Nello stesso anno, Forlani, capo del governo, rendeva pubbliche le liste della loggia P2, che includevano 35 socialisti, e Guido Calvi confessava ai giudici di Milano di avere versato una tangente di 21 milioni di dollari al PSI.
Il governo craxiano nasce, nel 1983, nel segno degli scandali per le tangenti di Torino e Savona, esordisce con il condono edilizio, e mette subito mano alle grandi lottizzazioni: i partiti di governo si spartiscono BNL, COMIT, Credito Italiano, le Casse di risparmio di Roma e Torino, ed enti come ENI, AGIP, IRI, STET, SIP, ENEL, FINSIDER, INA, ENEA, oltre che la Cassa del mezzogiorno e, naturalmente, la Rai.
In quegli anni, un alleato chiave di Craxi, e dei governi da lui presieduti, è Silvio Berlusconi. Le televisioni del Cavaliere, oscurate da tre pretori, possono riprendere a trasmettere grazie ad un provvedimento del Consiglio dei ministri, che Giuliano Amato convertirà poi in tre distinti decreti legge. Il deficit pubblico giunge prossimo al milione di miliardi di lire.
Ma l'anno cruciale, per il radicamento e l'estensione del potere craxiano, è il 1986. La situazione è favorevole: il maxiprocesso in corso rende la mafia siciliana particolarmente bisognosa di appoggi legislativi, giudiziari e politici; il leader socialista presiede il suo secondo governo, sostenuto da DC, PSI, PSDI, PRI e PLI, e a giugno si svolgono le elezioni in Sicilia. Queste ultime danno il segnale più eclatante di un nuovo equilibrio di poteri all'interno del pentapartito: molte città e ampie zone della regione siciliana, tradizionali roccaforti di un voto mafioso che aveva nella DC, e nella corrente andreottiana in particolare, il suo principale referente politico, spostano, di colpo, e in blocco, le proprie preferenze verso il PSI. Fenomeni analoghi, con consistenti travasi di pacchetti di voti, avverranno, in quegli anni, anche nelle altre regioni ad alta densità camorristica e mafiosa, e in varie città del Nord. Milano è centro di un potere socialista che ha sottoscritto un patto di ferro con le grandi cupole criminali del sud della penisola. Il gioco durerà fino alla fine degli anni Ottanta; l'inizio del decennio successivo vedrà la decadenza e gli ultimi colpi di coda del leader socialista che, nel 1993, per sfuggire a varie condanne definitive, si rifugerà ad Hammamet, latitante privilegiato.

Non è un caso che Fassino si ricolleghi, oggi, a questa storia, la rivendichi e la usi in funzione di una propria legittimazione a promotore e possibile leader del futuro partito democratico: se il 1986 segna il culmine del potere craxiano, e della sua alleanza con le mafie, le camorre e i loro referenti politici, il 1987 indica l'inizio della definitiva conversione del PCI alla lezione craxiana. Un percorso ed un esito di cui l'attuale dirigenza DS, da D'Alema a Fassino, è l'espressione più compiuta. Fino al 1986, infatti, il PCI aveva messo in atto, nei confronti dei partiti governativi e del sistema di tangenti su cui essi basavano larga parte del proprio finanziamento, una strategia di reciproca tolleranza: il partito non partecipava in modo sistematico alla spartizione delle tangenti, ma chiudeva un occhio su tale sistema, ricevendo in cambio altrettanta bonaria cecità sui finanziamenti illeciti alle cooperative "rosse". Numerosi riscontri e testimonianze portano, tuttavia, a ritenere che, proprio a partire dal 1987, sotto la pressione delle componenti miglioriste, e in particolare dell'area milanese, "anche il PCI entrò a far parte in maniera continuativa e organizzata del sistema delle tangenti". Parallelamente, le cooperative legate al partito comunista entravano nel cosiddetto "sistema Natali", gestito da Antonio Natali, presidente socialista della metropolitana milanese, e basato sulla "aggiudicazione di appalti attraverso il pagamento ai partiti di una quota percentuale", proporzionata al valore della commessa.
Questi aggiustamenti, che avvenivano, sotto la dirigenza politica di Occhetto, e in una fase in cui "tutte le questioni riguardanti il finanziamento erano coordinate dall'allora vicesegretario Massimo D'Alema", rappresentarono premesse necessarie per la trasformazione del PCI in PDS, e poi in DS. Rievocare tale percorso, edulcorandolo, ovvero, presentandolo come un positivo superamento di rigidità ideologiche ormai insostenibili, come oggi la dirigenza DS torna a fare, significa, nel contempo, falsificare completamente la realtà storica, ma anche preparare una svolta ulteriore che liberi definitivamente il partito, e il suo nome, da quella S, così imbarazzante, in quanto ancora costringe una classe dirigente di vocazione puramente centrista, e interessata esclusivamente ad accreditarsi come portavoce affidabile del libero mercato più aggressivo e rampante, a fingere di tanto in tanto, per motivi elettorali, di aderire ad una cultura sociale e politica "di sinistra".
Un suggerimento: converrebbe ai Democratici di Sinistra approfittare del fatto che la stella di Storace è in declino, cooptarlo nel partito e accordarsi con lui per appropriarsi del nome di quella corrente di Alleanza Nazionale di cui l'ex presidente della Regione Lazio era, fino a poco tempo fa, un osannato esponente: Destra sociale. Conserverebbero la loro sigla (DS) e introdurrebbero, nella politica italiana, un elemento di chiarezza.


M@rcos

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