Nel 1998 entrò in vigore la Legge 40 sull'immigrazione, meglio
conosciuta come Turco-Napolitano dal nome dei suoi due estensori.
Questa legge servì a disciplinare l'ingresso e il trattamento degli stranieri extracomunitari in Italia.
Per "extracomunitario" si intende il cittadino che non risiede all'interno dell'Unione Europea.
Questa legge rispondeva all'esigenza di adeguare la normativa vigente
in Italia a quelle che erano le disposizioni della UE in materia di
flussi migratori.
La politica europea, già particolarmente restrittiva, ha trovato
il suo apice nel trattato di Schengen: in seguito a questo trattato,
l'Europa è diventata una specie di "fortezza" dai confini
invalicabili all'interno della quale è garantita la libera
circolazione delle merci e delle persone (purché cittadini
europei), mentre viene inesorabilmente negato il diritto all'ingresso a
tutti quegli stranieri non europei che non possono dare garanzie in
termini di identità, reddito e status sociale.
Per ottemperare a questa urgenza, un governo di Centrosinistra con
l'appoggio del Partito della Rifondazione Comunista varò la
Turco-Napolitano istituendo per la prima volta i "Centri di Permanenza
e assistenza Temporanea" (CPT).
I CPT sono dei "non-luoghi" in cui le persone che arrivano in Italia
vengono trattenute: non è necessario che la persona si sia resa
colpevole di un delitto o di un reato. È sufficiente essere un
clandestino, cioè uno straniero che non ha i documenti o non ce
li ha in regola. Per chi non ha i documenti in regola infatti, scatta
il "decreto di espulsione", cioè il rimpatrio. Per far
ciò è necessario sapere la provenienza dell'immigrato: in
attesa di questa procedura di identificazione, lo straniero viene
trattenuto per sessanta giorni all'interno del CPT.
Formalmente il CPT non è un carcere, ma lo è
concretamente. La mostruosità giuridica che sta dietro la
creazione di questi lager del nuovo millennio risiede tutta nella
coercizione, cioè nel trattenimento forzato di persone (soggetti
giuridici a pieno titolo) che non hanno commesso reati di tipo penale,
ma vengono illegittimamente trattenute per un'infrazione di tipo
amministrativo.
Si viene rinchiusi in una cella per un certo periodo non perché
si sia fatto qualcosa di male, ma a causa del proprio status giuridico,
quello di uno straniero "irregolare".
Gli stati recuperano un concetto sostanziale: il confine, la frontiera.
Le politiche neoliberiste favoriscono gli scambi commerciali,
aboliscono dazi e dogane, rendono meno difficoltosi gli spostamenti di
merci e capitali. Ma quando a volersi spostare sono donne e uomini, le
frontiere tornano a erigersi. È per questo che lo straniero, il
povero, l'indesiderato, nella democraticissima Europa non può
avere gli stessi diritti e le stesse libertà di un cittadino
europeo.
La cosa forse più aberrante di questa legge sta nel nesso che
viene creato tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro.
Non si può ottenere il permesso di soggiorno se non si
garantisce - prima di fare ingresso in Italia - di avere già
sottoscritto un contratto di lavoro in Italia.
La possibilità di entrare in Italia dipende dunque dalla
produttività dello straniero: se produci entri, se no fuori.
Evidentemente, tale disposizione ha dell'assurdo poiché la gente
è spinta dal bisogno di trovare un lavoro, e chi viene nel
nostro paese il lavoro lo deve ancora cercare.
Cerchiamo di capire l'esperienza-tipo di un immigrato.
Una persona desidera trovare lavoro in Italia perché nel suo
paese non ci sono le condizioni per vivere dignitosamente. Con
più lavori riesce a raggranellare la cifra necessaria per pagare
chi lo potrà portare in Italia con un gommone, una barchetta, o
una grossa nave insieme a tante altre persone nelle sue stesse
condizioni.
Pagherà lo scafista duemila, tremila euro: il frutto del lavoro di uno, due, tre anni.
Si parte, si spera che il tempo sia buono. A questo punto può succedere che:
A) La barca/gommone/nave affonda e l'immigrato chiude gli occhi per
sempre: verrà (forse) ripescato casualmente un anno dopo da un
peschereccio.
Oppure:
B) L'immigrato arriva stremato sulla costa (spesso siciliana). Al suo
arrivo gli chiedono i documenti: non ce li ha, e per lui scatta il
decreto di espulsione.
C) In attesa di accertamento della sua identità, il migrante viene trasferito nel CPT.
D) Allo scadere dei sessanta giorni - se non c'è stata
identificazione - gli si danno 5 giorni per lasciare l'Italia (foglio
di via)
E) Questa persona non lascerà l'Italia né ora e né
mai, e comincerà a cercarsi un lavoro (sottopagato) per tirare a
campare. Da questo momento è un clandestino.
F) I poliziotti beccano questa persona alcune settimane (o mesi o anni)
dopo: è un clandestino, quindi va riportato al CPT. Altri
sessanta giorni.
G) Dopo essere stato rilasciato, l'immigrato viene rimesso in
libertà: se lo beccano ancora dovrà farsi il carcere e
poi - se identificato - verrà accompagnato alla frontiera e
scaricato sulla prima nave o sul primo aereo diretto a quello che
dovrebbe essere il suo paese ma che spesso non è: infatti, negli
ultimi anni centinaia di immigrati sono stati deportati in paesi terzi
(come la Libia) che non garantiscono nessuna tutela umanitaria e che,
anzi, si sbarazzano senza troppi problemi di queste persone
"indesiderate" mandandole a morire nel deserto.
Inutile dire che in questa storia "tipo" possono intervenire tutte le
varianti del caso: tentativi di fuga dal CPT andati a vuoto, punizioni
esemplari da parte degli agenti delle forze dell'ordine, reati penali
commessi durante il periodo di libertà "clandestina", tentati
suicidi o suicidi veri e propri, ecc.
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