Umanità Nova, n 39 del 3 dicembre 2006, anno 86

L'odissea di un migrante


Nel 1998 entrò in vigore la Legge 40 sull'immigrazione, meglio conosciuta come Turco-Napolitano dal nome dei suoi due estensori.
Questa legge servì a disciplinare l'ingresso e il trattamento degli stranieri extracomunitari in Italia.
Per "extracomunitario" si intende il cittadino che non risiede all'interno dell'Unione Europea.
Questa legge rispondeva all'esigenza di adeguare la normativa vigente in Italia a quelle che erano le disposizioni della UE in materia di flussi migratori.
La politica europea, già particolarmente restrittiva, ha trovato il suo apice nel trattato di Schengen: in seguito a questo trattato, l'Europa è diventata una specie di "fortezza" dai confini invalicabili all'interno della quale è garantita la libera circolazione delle merci e delle persone (purché cittadini europei), mentre viene inesorabilmente negato il diritto all'ingresso a tutti quegli stranieri non europei che non possono dare garanzie in termini di identità, reddito e status sociale.
Per ottemperare a questa urgenza, un governo di Centrosinistra con l'appoggio del Partito della Rifondazione Comunista varò la Turco-Napolitano istituendo per la prima volta i "Centri di Permanenza e assistenza Temporanea" (CPT).
I CPT sono dei "non-luoghi" in cui le persone che arrivano in Italia vengono trattenute: non è necessario che la persona si sia resa colpevole di un delitto o di un reato. È sufficiente essere un clandestino, cioè uno straniero che non ha i documenti o non ce li ha in regola. Per chi non ha i documenti in regola infatti, scatta il "decreto di espulsione", cioè il rimpatrio. Per far ciò è necessario sapere la provenienza dell'immigrato: in attesa di questa procedura di identificazione, lo straniero viene trattenuto per sessanta giorni all'interno del CPT.
Formalmente il CPT non è un carcere, ma lo è concretamente. La mostruosità giuridica che sta dietro la creazione di questi lager del nuovo millennio risiede tutta nella coercizione, cioè nel trattenimento forzato di persone (soggetti giuridici a pieno titolo) che non hanno commesso reati di tipo penale, ma vengono illegittimamente trattenute per un'infrazione di tipo amministrativo.
Si viene rinchiusi in una cella per un certo periodo non perché si sia fatto qualcosa di male, ma a causa del proprio status giuridico, quello di uno straniero "irregolare".
Gli stati recuperano un concetto sostanziale: il confine, la frontiera.
Le politiche neoliberiste favoriscono gli scambi commerciali, aboliscono dazi e dogane, rendono meno difficoltosi gli spostamenti di merci e capitali. Ma quando a volersi spostare sono donne e uomini, le frontiere tornano a erigersi. È per questo che lo straniero, il povero, l'indesiderato, nella democraticissima Europa non può avere gli stessi diritti e le stesse libertà di un cittadino europeo.
La cosa forse più aberrante di questa legge sta nel nesso che viene creato tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro.
Non si può ottenere il permesso di soggiorno se non si garantisce - prima di fare ingresso in Italia - di avere già sottoscritto un contratto di lavoro in Italia.
La possibilità di entrare in Italia dipende dunque dalla produttività dello straniero: se produci entri, se no fuori. Evidentemente, tale disposizione ha dell'assurdo poiché la gente è spinta dal bisogno di trovare un lavoro, e chi viene nel nostro paese il lavoro lo deve ancora cercare.

Cerchiamo di capire l'esperienza-tipo di un immigrato.
Una persona desidera trovare lavoro in Italia perché nel suo paese non ci sono le condizioni per vivere dignitosamente. Con più lavori riesce a raggranellare la cifra necessaria per pagare chi lo potrà portare in Italia con un gommone, una barchetta, o una grossa nave insieme a tante altre persone nelle sue stesse condizioni.
Pagherà lo scafista duemila, tremila euro: il frutto del lavoro di uno, due, tre anni.
Si parte, si spera che il tempo sia buono. A questo punto può succedere che:
A) La barca/gommone/nave affonda e l'immigrato chiude gli occhi per sempre: verrà (forse) ripescato casualmente un anno dopo da un peschereccio.
Oppure:
B) L'immigrato arriva stremato sulla costa (spesso siciliana). Al suo arrivo gli chiedono i documenti: non ce li ha, e per lui scatta il decreto di espulsione.
C) In attesa di accertamento della sua identità, il migrante viene trasferito nel CPT.
D) Allo scadere dei sessanta giorni - se non c'è stata identificazione - gli si danno 5 giorni per lasciare l'Italia (foglio di via)
E) Questa persona non lascerà l'Italia né ora e né mai, e comincerà a cercarsi un lavoro (sottopagato) per tirare a campare. Da questo momento è un clandestino.
F) I poliziotti beccano questa persona alcune settimane (o mesi o anni) dopo: è un clandestino, quindi va riportato al CPT. Altri sessanta giorni.
G) Dopo essere stato rilasciato, l'immigrato viene rimesso in libertà: se lo beccano ancora dovrà farsi il carcere e poi - se identificato - verrà accompagnato alla frontiera e scaricato sulla prima nave o sul primo aereo diretto a quello che dovrebbe essere il suo paese ma che spesso non è: infatti, negli ultimi anni centinaia di immigrati sono stati deportati in paesi terzi (come la Libia) che non garantiscono nessuna tutela umanitaria e che, anzi, si sbarazzano senza troppi problemi di queste persone "indesiderate" mandandole a morire nel deserto.
Inutile dire che in questa storia "tipo" possono intervenire tutte le varianti del caso: tentativi di fuga dal CPT andati a vuoto, punizioni esemplari da parte degli agenti delle forze dell'ordine, reati penali commessi durante il periodo di libertà "clandestina", tentati suicidi o suicidi veri e propri, ecc.

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