"Possiamo vincere e vinceremo"
(Tony Blair, al vertice di Riga)
Il summit della Nato svoltosi a Riga, in Lettonia, il 28 e il 29
novembre scorsi, non passerà certo alla storia per nuove
definizioni strategiche globali, ma di certo ha confermato l'impegno
militare in Afganistan nell'ambito di quella che è considerata
"la missione prioritaria dell'Alleanza".
Attualmente, secondo gli ultimi dati ufficiali forniti dai comandi,
partecipano alla missione Isaf-Nato 11.800 militari Usa (più
altri 7.000 della missione Enduring Freedom), 6.000 britannici, 3.000
tedeschi, 2.500 canadesi, 2.000 olandesi e 1.800 italiani, oltre ad
altri 5.700 di altri 31 contingenti multinazionali, per un totale di
32.800 unità.
Alla vigilia del vertice, il segretario generale della Nato, Jaap de
Hoop Scheffer, era stato assai chiaro, sia riguardo la necessità
di disporre in Afganistan un maggior numero di truppe in
modalità "combat", superando le restrizioni operative a cui deve
attenersi ogni singolo contingente su mandato di ogni rispettivo
governo, sia sul fatto che l'intervento della Nato è "di lungo
termine" tanto da ipotizzare una durata pari a quella di una
generazione, ossia di decenni.
Alla fine del summit, il segretario può dirsi parzialmente
contento, anche se il compromesso raggiunto tra Stati Uniti (indeboliti
dalla sconfitta elettorale di medio termine della presidenza Bush) e i
diversi stati dell'Unione Europea (che forniscono circa un quarto delle
forze operative) non ha del tutto soddisfatto le sue aspettative,
così come si può evincere dalle sue dichiarazioni: "Tutti
i 26 leader dell'Alleanza Atlantica condividono lo stesso obiettivo, un
Afganistan libero e indipendente. Alcune delle restrizioni all'impiego
delle truppe sono cadute". Grazie a tali rimozioni, la mobilità
dei 32.800 soldati presenti sarà accresciuta nell'immediato sia
grazie all'arrivo di altri 2.500 militari (soprattutto polacchi) sia
attraverso una maggiore disponibilità di Germania, Spagna e
Francia a correre in aiuto, in caso d'emergenza, sul fronte sud dove si
combatte la guerra più dura e difficile, con gravi perdite tra
le truppe Usa e canadesi.
E che si sia di fronte ad una vera escalation bellica, lo conferma il
dato confermato anche dal New York Times del 17 novembre che "di fronte
alla crescente richiesta di copertura aerea da parte delle forze Nato,
l'aviazione Usa ha condotto oltre 2 mila attacchi aerei in Afganistan
negli ultimi sei mesi". Cifra questa –superiore anche alle azioni
aeree in Iraq - peraltro confermata dalle informazioni che si possono
trarre dal sito ufficiale dell'Usaf in cui trova conferma il raddoppio
delle incursioni e dei bombardamenti dall'inizio dell'estate all'inizio
di autunno.
Ribadito a Riga, unanimemente, anche il sostegno politico e militare al
corrotto e subalterno governo Karzai, compresa la decisione di
recuperare e riciclare al suo interno, oltre ai vari signori della
guerra e del narcotraffico, anche i talebani, ossia gli esponenti del
precedente famigerato regime per la cui caduta era stata dichiarata la
guerra nel 2001, ritornando così ad un passato neanche troppo
lontano in cui tra Washington e Kabul si parlava il comunque linguaggio
degli affari e del profitto.
Pochi giorni prima, ad esprimersi in tal senso, era stato il generale
italiano Gay, vicecomandante delle forze Isaf-Nato, secondo il quale
"la soluzione non è eliminare il nemico ma convincere gli
elementi antigovernativi, compresi i taleban, a rientrare nella vita
politica e sociale del paese" .
Ufficialmente, il governo italiano non sembra aver modificato niente
del proprio già rilevante impegno militare (ultimi dati
disponibili 2.388 militari, di cui 1.938 con l'Isaf, dislocati a Kabul
ed Herat; 450 imbarcati nel contesto di Enduring Freedom nell'Oceano
Indiano e nel Mediterraneo), ed ha ancora assicurato la propria
disponibilità, purché con preavviso, ad intervenire anche
nelle province meridionali (Kandahar, Uruzgan, Helmand, Zabul) nel caso
gli alleati si trovino nella condizione di non poter far fronte agli
"insorgenti"; circostanza questa ormai all'ordine del giorno. Per tale
funzione di supporto rapido, sono già sul campo - ossia
nell'area d'impiego comprendente le province di Herat, Ghor, Baghdis e
Farah - gli effettivi di un task group composto da reparti speciali
italiani (Gruppo Operativo Incursori della Marina e reggimento
paracadutisti d'assalto Col Moschin). Tale disponibilità era
stata concessa un anno fa, in ambito Nato, dall'allora ministro della
Difesa Antonio Martino, quindi confermata dall'attuale ministro Parisi.
Dopo che il governo di centrosinistra aveva cercato di far passare
sotto silenzio e di minimizzare la cosa, considerato il carattere
offensivo di tale distaccamento, lo scorso 8 settembre alcuni di questi
militari sono rimasti feriti in un attentato a Farah facendo
definitivamente emergere questo segreto di Pulcinella.
In fondo, la guerra moderna è roba per professionisti.
Di morte.
U. F.