Martedì 5 dicembre, giornata di notizie intrecciate. Le agenzie
di stampa riferiscono che Pier Ferdinando Casini è stato
duramente contestato a Roma dal corteo dei sindacati autonomi di
polizia, ma dopo pochi minuti d'insulti il leader dell'Udc è
riuscito a strappare alla piazza un'ovazione attaccando la proposta
parlamentare di attivare una Commissione d'inchiesta sui fatti del G8 a
Genova.
Tale proposta era stata avanzata alcuni giorni prima da alcuni
parlamentari di Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Verdi,
sull'onda delle ennesime dichiarazioni dell'ex carabiniere Mario
Placanica, ritenuto l'uccisore di Carlo Giuliani.
Riguardo l'istituzione della Commissione d'inchiesta, oltre alla
scontata contrarietà dei partiti del centro-destra, va segnalata
per la cronaca anche l'avversione di buona parte del centro-sinistra e,
in particolare, della Rosa nel Pugno e dell'Italia dei Valori.
Se queste sono le ultime notizie, ben più complesso risulta a
tutt'oggi il quadro politico e giuridico in cui va ad inserirsi la
danza macabra di rivelazioni e smentite attorno all'assassinio di Carlo
Giuliani e sulle violenze compiute dalle forze dell'ordine durante le
giornate di Genova.
Tale quadro appare ulteriormente segnato dai giochi, più o meno
segreti, che in questi mesi hanno visto al centro gli apparati italiani
di sicurezza e d'intelligence, il cui ruolo continua ad emergere
torbidamente dal 2001 ad oggi, passando per le cariche poliziesche a
Napoli del 2001, Piazza Alimonda, la morte in Iraq dell'agente del
Sismi Calipari e il rapimento a Milano dell'imam in odore di terrorismo
Abu Omar, per il quale - proprio il 5 dicembre - la procura milanese ha
chiesto il rinvio a giudizio dell'ex direttore del Sismi Pollari, e di
altre 34 persone. La richiesta riguarda 26 agenti Cia, 5 funzionari del
Sismi (tra cui lo stesso Pollari) ed un ex carabiniere del Ros, tutti
accusati di concorso in sequestro di persona, mentre è stato
chiesto il rinvio a giudizio per favoreggiamento di altri due
funzionari del Sismi e del vice direttore di "Libero", Renato Farina.
Anche per chi, come noi, non ha accesso a certi ambienti, appare chiaro
che vi è in atto una guerra interna tra settori diversi - uno
definito come il "partito americano" capeggiato dal capo della polizia
De Gennaro, tristemente noto per le responsabilità operative a
Genova - e un altro legato ad una linea più "europea" –
dell'apparato repressivo italiano.
Una guerra combattuta con ogni mezzo, lecito e illecito, che con ogni
probabilità spacca persino i rispettivi schieramenti politici,
al cui interno si possono trovare sostenitori sia dell'indirizzo
filo-Usa che europeista.
Nel mezzo di questo conflitto, tra le tante controfigure s'inserisce,
più o meno consapevolmente, l'ex carabiniere Placanica che, in
questi cinque anni, ha ripetutamente cambiato versione sui fatti, ha
taciuto e rilasciato interviste, ha eluso i processi e subito vari
strani incidenti e minacce.
Nell'ultima intervista, pubblicata sul quotidiano "CalabriaOra",
Placanica sembra aver fatto proprie alcune circostanze già da
tempo denunciate dalle varie controinchieste di movimento, ammettendo
tra l'altro che alcuni suoi commilitoni "hanno fracassato la testa con
una pietra" al povero Carlo, ormai esanime a terra, nel tentativo
maldestro d'attribuirne la morte ai manifestanti. D'altro canto, pur
sostenendo di non essere stato lui a colpire Giuliani, sembra voler
allontanare il sospetto - più volte emerso - che a sparare il
colpo mortale sia stato un quarto uomo, presumibilmente un alto grado
del Tuscania, presente nel Defender maledetto.
Secondo l'ex carabiniere di leva, infatti, il colpo sarebbe da
ricercarsi tra gli altri agenti, sia carabinieri che poliziotti,
presenti nella piazza, a poca distanza dal Defender.
Placanica ha detto anche altre cose e fatto altri nomi, inclusi alcuni
particolari raggelanti come la festa in caserma per l'assassinio di
quell'esile ragazzo genovese, auspicando l'apertura della Commissione
d'inchiesta.
Anche Vicenzo Canterini, dirigente romano della polizia di stato,
inquisito per il massacro all'interno della scuola Diaz, aveva a suo
tempo sostenuto la richiesta di una vera Commissione d'inchiesta,
probabilmente temendo di finire nel ruolo scomodo di capro espiatorio
ed infatti, dopo breve, il prefetto De Gennaro lo aveva promosso,
così come il suo collega Alessandro Perugini dirigente della
Digos, immortalato in un tristemente noto video mentre prende
ferocemente a calci un manifestante minorenne inerme ormai a terra.
Forse, neanche Placanica, già destituito - anche se prosciolto -
dall'Arma dei Carabinieri (dopo che questa lo aveva sottoposto a
procedimento disciplinare per aver affermato al TG1, già tempo
addietro, di "essere stato usato per coprire responsabilità di
altri"), vuole finire nella parte dell'agnello sacrificale, quindi sta
anticipando rivelazioni e si dichiara favorevole al raggiungimento
della verità, pur continuando a tenere una posizione ambigua.
Troppe sono infatti le circostanze che fanno pensare ad un altro
sparatore a bordo della camionetta, tra le quali: le diversità
riscontrate tra due bossoli repertati, le contraddittorie testimonianze
dei carabinieri Cavataio e Raffone presenti sul Defender, nonché
diverse immagini fotografiche e riprese video.
È presumibile, dato che, per sua stessa ammissione, anche lui
sparò, ritenere Placanica ricattato o convinto ad assumersi una
responsabilità che, col passare del tempo, si sta facendo
pesante e non abbastanza ricompensata, nonostante la lauta
sottoscrizione di "Libero" e la candidatura in Alleanza Nazionale. Ma
se davvero vuole essere attendibile dovrebbe farsi soccorrere di
più dalla sua memoria confusa.
Anche noi avevamo paura ed eravamo accecati dai gas, ma ricordiamo perfettamente tutto.
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