Umanità Nova, n.1 del 14 gennaio 2007, anno 87

Lo sguardo osceno del potere
Lo spettacolo del corpi

 
Il bombardamento mediatico dei corpi non ha posa. Nel senso che i corpi vengono usati come bombe e i corpi sono bersagli. Corpi bombardati da corpi. Quel che si imprime nella retina dura più che tante letture e cose udite: l'inconscio è lì anche a dirci questo. Ci parla attraverso immagini che forse mai "vedemmo", ma che certo i nostri occhi colpirono. C'è qualcosa di involontario nel nostro recepire ciò che ci circonda. E su questo scarto, su questo resto, lavora chi immagini produce e sa che dalla loro ricezione vengono molte delle scelte che crediamo consce.
Gli ultimi anni, dopo l'11 settembre, ci hanno dato molto, da questo punto di vista. La plasticità stessa degli aerei che si schiantano e delle torri che crollano, sapendo che dentro gli aerei e dentro alle torri, ci sono corpi che sono bombe e bersagli. Poi solo traccianti verdi nella notte ed esplosioni, finché le teste non son cadute quasi in diretta televisiva: chi vuoi eliminare? Più che un reality, oltre il reality è la realtà da rivedere come un film di culto. Poi Abu Graib e Guantanamo, Uomo Albero di Natale contro Tuta Arancione, come in un B movie: chi sarà più gettonato? Dei marines che muoiono restano gli stivali, l'elmetto e il fucile piantato nella terra, non più che un uomo disegnato da un bambino: la testa, il corpo, i piedi. Degli iracheni che muoiono non resta che il numero, forse non sono mai esistiti ed è la statistica a dar loro corpo, i loro corpi sono una statistica. Finché va in scena l'impiccagione di Saddam, altra edizione del gioco: chi vuoi eliminare? I corpi appaiono, i corpi scompaiono.
Gronda sangue invece il cinema di Mel Gibson, figlio di pastore protestante, ossessionato dal fatto che il corpo debba soffrire ed espiare. Bestiali sono loro, i maya da fumetto splatter, mentre gli spagnoli ieratici sbarcano sulla spiaggia a portare la civiltà. Non è ingiusto ammazzare le bestie che uccidono come bestie, dice il film. E, sopratutto, che non bisogna fermarsi davanti al fatto che i corpi zampillino sangue, perché questo fanno.
Come in un meccanismo catartico, la violenza della realtà sfuma nelle immagini in cui alla fine non si vede il sangue, mentre è lo schermo di un film ad essere imbrattato di sangue che cola. La violenza dei corpi sui corpi abita il nostro oggi e abitua lo sguardo e quindi la mente al macello che si fa dell'altro, la bestia priva di identità che non vuole che il male e che quindi pare giusto uccidere e massacrare.
Passa dalla retina tanto esercizio del potere e tanta lotta per la libertà, dallo sguardo, dalla sua volontarietà ed involontarietà. La violenza esibita , accennata, sublimata, un invito a prendere le armi e a scannare la bestia che ci dà la caccia e non vuole che viviamo pacificamente. Non solo. Come nella Roma dei Cesari, al popolo si deve il pane ed il circo, il sangue del circo. Il popolo va nutrito di consumo e di sangue, di farina e forca, oltre che, all'uopo, di festa. Maggiore lo strazio dei corpi, maggiore l'anestetico offerto a coscienze dimentiche della loro umanità. Con un movimento a spirale si sprofonda nel sempre peggio.
Sottrarre lo sguardo è già qualcosa. Indirizzare gli occhi e la mente a quanto ogni giorno accade davvero, senza il filtro che detta una trama non nostra. Riappropriarsi in primo luogo dello sguardo e scandire i tempi e le immagini del nostro quotidiano. Cambiare il punto di vista, per muovere il nostro passo in spazi liberati dagli ologrammi del potere. Vedere, prima che pensare, il nostro mondo liberato, disertare l'immagine che del mondo il potere ci offre, narrare un'altra storia che nessuno ha mai raccontato.

W.B.

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