Il bombardamento mediatico dei corpi non ha posa. Nel senso che i corpi
vengono usati come bombe e i corpi sono bersagli. Corpi bombardati da
corpi. Quel che si imprime nella retina dura più che tante
letture e cose udite: l'inconscio è lì anche a dirci
questo. Ci parla attraverso immagini che forse mai "vedemmo", ma che
certo i nostri occhi colpirono. C'è qualcosa di involontario nel
nostro recepire ciò che ci circonda. E su questo scarto, su
questo resto, lavora chi immagini produce e sa che dalla loro ricezione
vengono molte delle scelte che crediamo consce.
Gli ultimi anni, dopo l'11 settembre, ci hanno dato molto, da questo
punto di vista. La plasticità stessa degli aerei che si
schiantano e delle torri che crollano, sapendo che dentro gli aerei e
dentro alle torri, ci sono corpi che sono bombe e bersagli. Poi solo
traccianti verdi nella notte ed esplosioni, finché le teste non
son cadute quasi in diretta televisiva: chi vuoi eliminare? Più
che un reality, oltre il reality è la realtà da rivedere
come un film di culto. Poi Abu Graib e Guantanamo, Uomo Albero di
Natale contro Tuta Arancione, come in un B movie: chi sarà
più gettonato? Dei marines che muoiono restano gli stivali,
l'elmetto e il fucile piantato nella terra, non più che un uomo
disegnato da un bambino: la testa, il corpo, i piedi. Degli iracheni
che muoiono non resta che il numero, forse non sono mai esistiti ed
è la statistica a dar loro corpo, i loro corpi sono una
statistica. Finché va in scena l'impiccagione di Saddam, altra
edizione del gioco: chi vuoi eliminare? I corpi appaiono, i corpi
scompaiono.
Gronda sangue invece il cinema di Mel Gibson, figlio di pastore
protestante, ossessionato dal fatto che il corpo debba soffrire ed
espiare. Bestiali sono loro, i maya da fumetto splatter, mentre gli
spagnoli ieratici sbarcano sulla spiaggia a portare la civiltà.
Non è ingiusto ammazzare le bestie che uccidono come bestie,
dice il film. E, sopratutto, che non bisogna fermarsi davanti al fatto
che i corpi zampillino sangue, perché questo fanno.
Come in un meccanismo catartico, la violenza della realtà sfuma
nelle immagini in cui alla fine non si vede il sangue, mentre è
lo schermo di un film ad essere imbrattato di sangue che cola. La
violenza dei corpi sui corpi abita il nostro oggi e abitua lo sguardo e
quindi la mente al macello che si fa dell'altro, la bestia priva di
identità che non vuole che il male e che quindi pare giusto
uccidere e massacrare.
Passa dalla retina tanto esercizio del potere e tanta lotta per la
libertà, dallo sguardo, dalla sua volontarietà ed
involontarietà. La violenza esibita , accennata, sublimata, un
invito a prendere le armi e a scannare la bestia che ci dà la
caccia e non vuole che viviamo pacificamente. Non solo. Come nella Roma
dei Cesari, al popolo si deve il pane ed il circo, il sangue del circo.
Il popolo va nutrito di consumo e di sangue, di farina e forca, oltre
che, all'uopo, di festa. Maggiore lo strazio dei corpi, maggiore
l'anestetico offerto a coscienze dimentiche della loro umanità.
Con un movimento a spirale si sprofonda nel sempre peggio.
Sottrarre lo sguardo è già qualcosa. Indirizzare gli
occhi e la mente a quanto ogni giorno accade davvero, senza il filtro
che detta una trama non nostra. Riappropriarsi in primo luogo dello
sguardo e scandire i tempi e le immagini del nostro quotidiano.
Cambiare il punto di vista, per muovere il nostro passo in spazi
liberati dagli ologrammi del potere. Vedere, prima che pensare, il
nostro mondo liberato, disertare l'immagine che del mondo il potere ci
offre, narrare un'altra storia che nessuno ha mai raccontato.
W.B.