Mentre il buon popolo attende di verificare gli effetti della legge
finanziaria sul proprio reddito e su quanto resta del welfare, il
governo e la maggioranza che lo sostiene discute, si divide, polemizza
sulla "riforma delle pensioni".
In particolare, sulla questione, la maggioranza si divide fra
"riformisti" e "massimalisti" con il singolare effetto che si
definiscono massimalisti i settori della maggioranza che temono un
aggravarsi dell'attuale rottura fra maggioranza parlamentare e suo
blocco sociale di riferimento e cioè coloro che, a rigore,
sarebbero dei moderati mentre sarebbero riformisti coloro che intendono
proseguire sulla via del rigore contro coloro che pretendono di
rappresentare e che sarebbero, quindi, degli estremisti.
Non posso fare a meno di pensare allo stupore che coglierebbe un
socialista di un secolo addietro trasportato nei tempi nostri che,
abituato a pensare ai riformisti come fautori di graduali conquiste a
favore della working class ed ai massimalisti come rivoluzionari,
magari un po' parolai e molto parlamentari, scoprisse il radicale
cambiamento di significato dei due termini.
D'altro canto, come ben sapeva Orwell, la manipolazione del linguaggio è uno straordinario strumento di potere.
Per di più, la neolingua unionista, ha il pregio, dal punto di
vista della classe dominante, di spostare l'asse del discorso in misura
tale da rendere quasi indicibile e, quindi, impensabile la semplice
considerazione che, quando si parla di pensioni, ci si riferisce ad una
parte del salario e che quando si tratta di salario si tratta di potere
e di rapporti di forza fra le classi.
Tornando alla contingenza, può essere utile provare a disegnare
il quadro delle contraddizioni che caratterizzano la politica del
governo, contraddizione che si danno anche se prescindiamo dalla
mobilitazione dei lavoratori.
Come è sin troppo noto, la riforma delle pensioni già in
vigore è stata imposta da un governo di sinistra e ritoccata, in
peggio questo va da sé, da un governo di destra sulla base di
una logica stringente:
- si è denunciata la situazione catastrofica della previdenza
pubblica e dichiarato che il taglio delle pensioni era una condizione
ineludibile per garantire le pensioni stesse dimenticando, diciamo
così, che le difficoltà del sistema previdenziale non
derivano da una sorte cinica e bara ma da precise scelte delle classi
dominanti quali l'uso della previdenza a fini clientelari.
- mediante la precarizzazione del lavoro si è ulteriormente
indebolito il sistema previdenziale determinando una riduzione delle
entrate e la creazione di una massa di lavoratori che deve attendersi
pensioni miserabili nella migliore delle ipotesi.
- si sono divisi i lavoratori per fascia d'età colpendo i
più giovani in misura seccamente più che proporzionale al
fine di impedire una mobilitazione generale della rilevanza di quella
che ha contribuito a far cadere il primo governo della destra e di
rinviare le contraddizioni sociali che la riforma di oltre un decennio
addietro comportava. D'altro canto gli anni sono passati e le questioni
allora accantonate sono oggi sotto gli occhi di tutti ed hanno
caratteri di urgenza;
- simili ad un medico che cura le malattie che ha provveduto a
diffondere, governo e sindacati concertativi, stanno promovendo i fondi
pensione come soluzione all'immiserimento dei pensionati. Per usare
un'immagine un po' cruda che ho sentito usare da un compagno della Fiat
"Ti tagliano una gamba e ti vendono una protesi"
Perché, allora, un governo in crisi dal punto di vista del
consenso pone all'ordine del giorno una misura, per usare un eufemismo,
impopolare?
Prendendo sul serio la vulgata unionista, si tratterebbe di una
medicina dolorosa ma che permetterebbe, come la legge finanziaria, un
risanamento dell'economia con il conseguente rilancio
dell'accumulazione e la possibilità di garantire miglioramenti
ai lavoratori.
Visto che decenni di analoghe misure non hanno affatto comportato gli
effetti positivi promessi, è lecito il dubbio che si tratti di
pura propaganda ma tant'è la propaganda esistente non possiamo
abolirla a meno che non si aboliscano coloro che la praticano e questo,
con ogni evidenza, è un altro discorso rispetto a quello che
stiamo affrontando.
Resta, allora, l'unica spiegazione sensata: si tratta di sottrarre
un'ulteriore quota del monte salari per garantire finanziamenti alle
imprese, all'apparato statale, alle corporazioni dominanti e per
favorire ulteriormente il mercato dei fondi pensione. Nulla di
più e nulla di meno.
È, però, evidente che siamo di fronte ad un terreno di
scontro rilevantissimo e che la sensibilità dei lavoratori su
questo tema è alto.
Nella stessa maggioranza, i settori si sinistra si trovano in un
crescente imbarazzo e sono costretti ad inventare argomenti di vario
tipo per scampare uno scontro sociale che faticherebbero a reggere.
In sintesi, costoro, hanno individuato, trovando una certa disponibilità dello stesso Prodi, alcune linee di difesa:
- la terza riforma delle pensioni sarà possibile solo con
l'accordo di CGIL-CISL-UIL. È evidente che la discesa in campo
dell'apparato sindacale non garantisce nulla ai lavoratori ma rafforza
il carattere corporativo dell'attuale governo ed apre la via a
meccanismi di scambio volti a garantire il potere sindacale.
- si dovrà tenere conto dei lavori usuranti, cosa di per
sé ragionevolissima, con l'effetto di creare una nuova divisione
fra lavoratori e la corsa a farsi attestare il carattere usurante dl
proprio lavoro. È evidente che, nel merito, sarà ancora
una volta la burocrazia sindacale a giocare un ruolo centrale in
dialettica con le imprese desiderose di liberarsi dei lavoratori
anziani ed in cattive condizioni di salute.
- la nuova riforma dovrà garantire un po' di più gli
anziani rispetto ai giovani. Ancora una volta si punta sulla divisione
fra lavoratori e sul rinvio dell'emergere delle tensioni sociali che la
riforma comporterebbe. Nulla di nuovo ma sappiamo bene come chi
esercita il potere non ha l'esigenza di essere troppo originale.
È chiaro che quest'ipotesi viene vista male dai settori
più modernizzanti della maggioranza desiderosi di esercitarsi
con piglio decisionista nel governo dall'alto delle contraddizioni
sociali e di compiacere il grande capitale nazionale ed internazionale.
Detto ciò e riservandomi di tornare sull'argomento, si tratta di
agire per porre al centro la questione del salario anche utilizzando le
contraddizioni dell'avversario ma operare in questa direzione è
possibile solo grazie alla mobilitazione diretta dei lavoratori.
La campagna contro lo scippo del TFR che già si sta sviluppando
sarà, quindi, una straordinaria occasione per affrontare
l'assieme delle questioni che abbiamo di fronte. La limitata esperienza
che ha, a questo proposito, chi scrive induce ad un ragionevole
ottimismo.
Cosimo Scarinzi