Umanità Nova, n.1 del 14 gennaio 2007, anno 87

Pensioni
Schermaglie prima del colpo

 
Mentre il buon popolo attende di verificare gli effetti della legge finanziaria sul proprio reddito e su quanto resta del welfare, il governo e la maggioranza che lo sostiene discute, si divide, polemizza sulla "riforma delle pensioni".
In particolare, sulla questione, la maggioranza si divide fra "riformisti" e "massimalisti" con il singolare effetto che si definiscono massimalisti i settori della maggioranza che temono un aggravarsi dell'attuale rottura fra maggioranza parlamentare e suo blocco sociale di riferimento e cioè coloro che, a rigore, sarebbero dei moderati mentre sarebbero riformisti coloro che intendono proseguire sulla via del rigore contro coloro che pretendono di rappresentare e che sarebbero, quindi, degli estremisti.
Non posso fare a meno di pensare allo stupore che coglierebbe un socialista di un secolo addietro trasportato nei tempi nostri che, abituato a pensare ai riformisti come fautori di graduali conquiste a favore della working class ed ai massimalisti come rivoluzionari, magari un po' parolai e molto parlamentari, scoprisse il radicale cambiamento di significato dei due termini.
D'altro canto, come ben sapeva Orwell, la manipolazione del linguaggio è uno straordinario strumento di potere.
Per di più, la neolingua unionista, ha il pregio, dal punto di vista della classe dominante, di spostare l'asse del discorso in misura tale da rendere quasi indicibile e, quindi, impensabile la semplice considerazione che, quando si parla di pensioni, ci si riferisce ad una parte del salario e che quando si tratta di salario si tratta di potere e di rapporti di forza fra le classi.
Tornando alla contingenza, può essere utile provare a disegnare il quadro delle contraddizioni che caratterizzano la politica del governo, contraddizione che si danno anche se prescindiamo dalla mobilitazione dei lavoratori.
Come è sin troppo noto, la riforma delle pensioni già in vigore è stata imposta da un governo di sinistra e ritoccata, in peggio questo va da sé, da un governo di destra sulla base di una logica stringente:
- si è denunciata la situazione catastrofica della previdenza pubblica e dichiarato che il taglio delle pensioni era una condizione ineludibile per garantire le pensioni stesse dimenticando, diciamo così, che le difficoltà del sistema previdenziale non derivano da una sorte cinica e bara ma da precise scelte delle classi dominanti quali l'uso della previdenza a fini clientelari.
- mediante la precarizzazione del lavoro si è ulteriormente indebolito il sistema previdenziale determinando una riduzione delle entrate e la creazione di una massa di lavoratori che deve attendersi pensioni miserabili nella migliore delle ipotesi.
- si sono divisi i lavoratori per fascia d'età colpendo i più giovani in misura seccamente più che proporzionale al fine di impedire una mobilitazione generale della rilevanza di quella che ha contribuito a far cadere il primo governo della destra e di rinviare le contraddizioni sociali che la riforma di oltre un decennio addietro comportava. D'altro canto gli anni sono passati e le questioni allora accantonate sono oggi sotto gli occhi di tutti ed hanno caratteri di urgenza;
- simili ad un medico che cura le malattie che ha provveduto a diffondere, governo e sindacati concertativi, stanno promovendo i fondi pensione come soluzione all'immiserimento dei pensionati. Per usare un'immagine un po' cruda che ho sentito usare da un compagno della Fiat "Ti tagliano una gamba e ti vendono una protesi"

Perché, allora, un governo in crisi dal punto di vista del consenso pone all'ordine del giorno una misura, per usare un eufemismo, impopolare?
Prendendo sul serio la vulgata unionista, si tratterebbe di una medicina dolorosa ma che permetterebbe, come la legge finanziaria, un risanamento dell'economia con il conseguente rilancio dell'accumulazione e la possibilità di garantire miglioramenti ai lavoratori.
Visto che decenni di analoghe misure non hanno affatto comportato gli effetti positivi promessi, è lecito il dubbio che si tratti di pura propaganda ma tant'è la propaganda esistente non possiamo abolirla a meno che non si aboliscano coloro che la praticano e questo, con ogni evidenza, è un altro discorso rispetto a quello che stiamo affrontando.
Resta, allora, l'unica spiegazione sensata: si tratta di sottrarre un'ulteriore quota del monte salari per garantire finanziamenti alle imprese, all'apparato statale, alle corporazioni dominanti e per favorire ulteriormente il mercato dei fondi pensione. Nulla di più e nulla di meno.
È, però, evidente che siamo di fronte ad un terreno di scontro rilevantissimo e che la sensibilità dei lavoratori su questo tema è alto.
Nella stessa maggioranza, i settori si sinistra si trovano in un crescente imbarazzo e sono costretti ad inventare argomenti di vario tipo per scampare uno scontro sociale che faticherebbero a reggere.
In sintesi, costoro, hanno individuato, trovando una certa disponibilità dello stesso Prodi, alcune linee di difesa:
- la terza riforma delle pensioni sarà possibile solo con l'accordo di CGIL-CISL-UIL. È evidente che la discesa in campo dell'apparato sindacale non garantisce nulla ai lavoratori ma rafforza il carattere corporativo dell'attuale governo ed apre la via a meccanismi di scambio volti a garantire il potere sindacale.
- si dovrà tenere conto dei lavori usuranti, cosa di per sé ragionevolissima, con l'effetto di creare una nuova divisione fra lavoratori e la corsa a farsi attestare il carattere usurante dl proprio lavoro. È evidente che, nel merito, sarà ancora una volta la burocrazia sindacale a giocare un ruolo centrale in dialettica con le imprese desiderose di liberarsi dei lavoratori anziani ed in cattive condizioni di salute.
- la nuova riforma dovrà garantire un po' di più gli anziani rispetto ai giovani. Ancora una volta si punta sulla divisione fra lavoratori e sul rinvio dell'emergere delle tensioni sociali che la riforma comporterebbe. Nulla di nuovo ma sappiamo bene come chi esercita il potere non ha l'esigenza di essere troppo originale.
È chiaro che quest'ipotesi viene vista male dai settori più modernizzanti della maggioranza desiderosi di esercitarsi con piglio decisionista nel governo dall'alto delle contraddizioni sociali e di compiacere il grande capitale nazionale ed internazionale.
Detto ciò e riservandomi di tornare sull'argomento, si tratta di agire per porre al centro la questione del salario anche utilizzando le contraddizioni dell'avversario ma operare in questa direzione è possibile solo grazie alla mobilitazione diretta dei lavoratori.
La campagna contro lo scippo del TFR che già si sta sviluppando sarà, quindi, una straordinaria occasione per affrontare l'assieme delle questioni che abbiamo di fronte. La limitata esperienza che ha, a questo proposito, chi scrive induce ad un ragionevole ottimismo.

Cosimo Scarinzi

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