Umanità Nova, n.2 del 21 gennaio 2007, anno 87

Profughi. Il miraggio dell'asilo

 
Fra i tanti avvenimenti che hanno contraddistinto la storia dell'umanità, alcuni dei più ricorrenti e drammatici vanno riferiti agli esodi forzati che hanno avuto per protagonisti milioni e milioni di individui, costretti a lasciare i loro rispettivi paesi d'origine per motivi politici, etnici e religiosi. Ancora oggi, la frequenza con cui scoppiano i conflitti in molte aree del mondo costringe migliaia di persone a fuggire. Perdere la casa, la famiglia, tutto ma restare vivi. Scappare da guerre, violenze e persecuzioni e arrivare in un paese straniero. In Italia, dopo aver cercato scampo dalle rovine e dalle catastrofi della guerra, molti profughi restano in una condizione assolutamente precaria, andando anch'essi incontro a una clandestinizzazione forzata e provocata dalle normative vigenti.
Nel 2005 sono state presentate 9.350 domande. Nel 2006 i numeri sono rimasti invariati, anche se non ancora ufficiali. Si tratta di un progressivo crollo: negli ultimi 5 anni si è registrato un calo del 40% della presentazione delle domande di asilo nel mondo, percentuale che sale al 46% in Europa (ad eccezione dei nuovi stati membri). I rifugiati nel nostro paese sono circa 20 mila. Ma a fronte di numeri così piccoli, la questione dell'accoglienza rimane un tabù.
Per i richiedenti asilo che non possono vantare un'adeguata rete di relazioni e di sostegno (in buona sostanza la maggior parte di loro) i tempi sono molto incerti e, soprattutto, chi entra illegalmente deve passare da un centro di identificazione, una variante del Centro di permanenza temporanea, nel quale l'immigrato è costretto a restare in attesa del pronunciamento della Commissione competente per territorio a rilasciare il permesso di soggiorno per motivi umanitari o il vero e proprio status di rifugiato. Ma l'esperienza ci dice che questi centri d'identificazione costituiscono delle zone grigie usate a discrezione delle prefetture come surrogati dei CPT. Vale la pena ricordare che in Italia manca una legge organica sul diritto d'asilo e questa lacuna viene in qualche modo tamponata da un sistema di accoglienza per i rifugiati e i richiedenti asilo basato sulla capacità di integrare risorse provenienti da fondi diversi (nazionali e europei) e sulla collaborazione tra associazioni, enti locali e stato centrale. Questo Sistema nazionale per la protezione dei rifugiati (Sprar) funziona a macchia di leopardo e con discontinuità soprattutto per la mancata erogazione di fondi che richiedono anche una certa puntualità. Nel 2005 quasi il 70% dei beneficiari (su un totale di 4.564 persone) erano africani, prevalentemente somali, etiopi e eritrei, mentre il 17,6% proveniva dall'Europa orientale. Seguivano Asia (12,4%) e America Latina. Chi riesce ad accaparrarsi un posto, non trova soltanto vitto e alloggio, ma spesso servizi integrati, che vanno dall'orientamento legale, all'inserimento scolastico dei minori, all'inserimento lavorativo e alla formazione. Nel 2005 il 51% è stato dimesso dal progetto Sprar dopo aver raggiunto un sufficiente grado di integrazione, il 22% se ne è andato volontariamente (spesso per spostarsi in altri territori), mentre il 19,9% se ne è andato per scadenza dei termini. In un centro dello Sprar si può stare, infatti, per sei mesi al massimo. E non tutti riescono a trovare casa, lavoro e a imparare la lingua in così poco tempo.
Bisogna sempre tenere presente che accedono ai servizi solo quei pochi fortunati che si vedono riconosciuta la domanda di asilo. Le Commissioni territoriali infatti attuano procedure di identificazione e di controllo che in più dell'80% dei casi danno esiti negativi a causa della difficoltà che hanno gli immigrati di portare documentazioni e prove inoppugnabili. Il principio da cui si parte per il conferimento dello status di rifugiato è la valutazione della condizione strettamente personale e difficilmente si ha un'interpretazione "estensiva" del pericolo di persecuzione nel proprio paese. Inoltre, il dibattito è piuttosto acceso anche sulla definizione stessa di rifugiato. Per molti, infatti, anche la semplice precarietà economica sofferta da chi proviene da un paese in via di sviluppo può essere considerata di per sé motivo di fuga. Ciò implicherebbe un allargamento del ventaglio di soggetti che a buon diritto potrebbero avanzare richiesta di asilo e, ovviamente, i legislatori italiani ed europei non sembrano voler recepire questo approccio per non pregiudicare gli interessi che stanno dietro alla chiusura delle frontiere. L'immigrato che riceve il diniego della propria richiesta di asilo può sicuramente fare ricorso, ma i tempi sono sufficientemente lunghi da farlo piombare nella clandestinità e, dunque, nelle maglie della repressione istituzionale fatta di CPT, espulsioni e deportazioni.

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