Umanità Nova, n.3 del 28 gennaio 2007, anno 87

Non c'è più tempo
Il pianeta bolle, i padroni contano i soldi

 
L'autunno 2006 è stato il più caldo da 150 anni a questa parte, vale a dire da quando si è cominciata a misurare la temperatura. Fra qualche tempo, probabilmente, ci diranno che anche l'inverno 2007 è stato il più caldo. Così mentre nel centro-nord Europa si scatena l'uragano Kyrill, il più violento degli ultimi vent'anni, in Italia e negli altri paesi mediterranei si sta vivendo questo strano inverno con temperature anche di venti gradi superiori alla media stagionale. Fino a qualche tempo fa si diceva "non ci sono più le mezze stagioni" fra qualche anno diremo "non c'è più l'inverno"?

Effetto serra come una guerra nucleare
La comunità scientifica internazionale concorda quasi unanimemente nel rilevare come i cambiamenti climatici siano l'effetto più evidente del riscaldamento del pianeta. Questo "riscaldamento" provoca un impatto sulla natura e sulla popolazione che diventerà tanto più devastante nel futuro se l'effetto serra continuerà ad aumentare. Gli scienziati prevedono fenomeni atmosferici estremi, con ondate di caldo roventi e più frequenti, una maggiore piovosità generalizzata ma contemporaneamente anche un aumento del rischio di siccità nelle aree dell'entroterra durante le estati calde. Si prevedono più alluvioni dovute ad uragani e all'aumento del livello dei mari.
Giustamente qualcuno ha osservato che solo la minaccia di guerra nucleare può essere equiparata a quella dei cambiamenti climatici. Ma esiste una differenza fondamentale: mentre la minaccia nucleare può essere evitata anche all'ultimo secondo, quella dei cambiamenti climatici avanza inesorabilmente; quello che le attività umane hanno fatto nel passato sta provocando gli sconquassi odierni ma quello che stiamo facendo oggi provocherà sconquassi ancora maggiori nel prossimo futuro! Se vogliamo evitare la catastrofe annunciata in un recente libro dallo scienziato inglese James Lovelock ("Prima della fine di questo secolo, miliardi di noi moriranno e le ultime persone che sopravvivranno si troveranno nell'Artico, dove il clima resterà tollerabile") dobbiamo drasticamente limitare l'emissione di gas serra e prepararci, comunque, a vivere nei prossimi 20/30 anni in un mondo che dovrà far fronte alle scelte sconsiderate fatte soprattutto nella seconda metà del secolo scorso.

Il Rapporto Stern: capitalismo uguale disastro ambientale
Di fronte all'emergenza ambientale, da almeno trent'anni denunciata dal movimento ecologista, il sistema statale e capitalistico sembra incapace di risposta: negli ultimi quindici anni si sono moltiplicate le conferenze internazionali, i summit G8, G7 ecc. sull'ambiente, le risoluzioni e i buoni propositi ma dietro tutto quest'attivismo si nasconde solo una scomoda verità: il mondo capitalista è impotente a trovare una soluzione ai danni climatici... visto che ne è il primo responsabile.
Nel novembre 2006 il rapporto di un ex-capo economista della Banca Mondiale (Rapporto Stern, commissionato dal governo britannico) è sembrato quasi un pugno nello stomaco del sistema. Senza fare tanti discorsi ecologisti Stern analizza in 700 pagine ricche di dati e cifre "l'impatto del riscaldamento globale sui vari comparti produttivi da oggi al 2100, e lo scenario che emerge è impressionante. Nella migliore delle ipotesi il 5% del prodotto lordo dovrà essere speso per riparare i danni prodotti dal nuovo clima, ma nello scenario peggiore si arriverà al 20%, cioè a 5,5 trilioni di euro. L'effetto combinato dall'aumento dei fenomeni estremi (siccità, alluvioni, uragani), del collasso di interi settori agricoli e dell'aumento del livello dei mari costituisce un pericolo gravissimo per la capacità di tenuta dell'economia mondiale e per gli equilibri politici" (Repubblica, 2/11/2006). Insomma: il sistema capitalistico va incontro ad una crisi economica epocale che avrà effetti devastanti sui già delicatissimi equilibri politici mondiali, basti pensare ai 200 milioni di persone che a causa dell'inaridimento di interi paesi sarebbero costrette a mettersi in marcia per cercare un luogo dove sopravvivere! A Stern non gliene importa un fico secco del destino del pianeta, a lui interessa il futuro del sistema capitalistico ed è solo per questo che gente come lui si muove oggi chiudendo la stalla dopo che i buoi sono già scappati, come direbbe qualcuno dotato di sana cultura contadina.

Il "tanto peggio, tanto meglio" dei neocons
Il sistema capitalistico si dimostra però incapace di prendere provvedimenti seri per bloccare l'effetto serra. Gli Stati Uniti, che conoscono bene la situazione, pensano di sfruttarla a loro vantaggio. "La sprezzante attitudine di Washington nei confronti del protocollo di Kyoto – ha ipotizzato Mike Davis - potrebbe poi non essere così arcaica e miope come appare: è certo che l'amministrazione Bush è in possesso di uno staff aggiornato e perfettamente consapevole delle possibili conseguenze del riscaldamento climatico sulla terra. Dobbiamo forse pensare che esista un disegno strategico che spiega l'equanimità americana nei confronti del catastrofico cambio ambientale? Dal momento che molti studi preannunciano che il mutamento climatico potrebbe, di fatto, produrre un beneficio per la produzione agricola Nordamericana, mentre causerebbe un impatto disastroso sulla Russia ed altri paesi euro-asiatici, temo che qualcuno all'interno del regime possa di fatto vedere nel riscaldamento globale della terra una ulteriore risorsa per l'egemonia geopolitica Americana. " (Ciberzone, n. 20/2006)

I programmi minimi dell'Unione Europea
Dal canto suo l'Unione europea, che dice di sostenere gli obiettivi del protocollo di Kyoto, ha proposto lo scorso 10 gennaio un piano per limitare il "riscaldamento". Secondo la Commissione dell'UE, che ha redatto il documento, i costi economici del riscaldamento climatico potrebbero essere sopportabili dall'economia europea se l'aumento della temperatura media globale fosse inferiore a 2°C (rispetto alla metà del XIX secolo). Secondo la Commissione entro questo limite di riscaldamento, le conseguenze negative dei cambiamenti climatici, pur se terrificanti, sarebbero ancora gestibili e controllabili e non ancora gravi ed irreversibili. I paesi membri dell'UE potrebbero affrontarli e gestirli a costi accettabili con idonee strategie di adattamento. La Commissione ha previsto due scenari da realizzare entro il 2050, scartando però lo scenario in cui le emissioni globali in futuro cresceranno molto lentamente (scenario che implicherebbe una forte riduzione delle emissioni di gas serra ed un uso massiccio di fonti energetiche alternative ai combustibili fossili). Secondo le previsioni della Commissione, che nei prossimi giorni dovranno essere vagliate dai paesi dell'UE, entro il 2050 si dovranno diminuire le emissioni di gas serra di almeno il 60% rispetto al 1990 (del 20/30% entro il 2030).
Una strategia, quella proposta dal documento europeo, molto ambiziosa perché pretenderebbe di salvare il mondo dalla catastrofe senza cambiare sostanzialmente niente ma facendo un semplice "maquillage" al sistema. È scandaloso osservare che anche rispettando questi obiettivi minimi gli effetti previsti dalla commissione sono egualmente impressionanti (vedi riquadro).

Un avvenimento decisivo: l'esaurimento delle risorse
Tragico paradosso: la situazione sembra destinata a peggiorare: il governo USA continua ad ignorare i segnali d'allarme, l'Unione Europea vara ipocriti piani che non verranno rispettati (dal 1990 al 2004, l'Italia ha aumentato le emissioni di gas serra del 12,4%, altri hanno fatto un po' meglio ma sempre lontani dall'obiettivo Kyoto), le potenze emergenti, Cina e India, aumentano ad un ritmo vertiginoso le loro emissioni di gas serra. E allora: che fare? È tutto perduto e non ci resta che vivere da cicale in attesa di consegnare alle generazioni future un cadavere?
Ritengo che nonostante tutto ci siano ancora margini di manovra per una lotta ecologista che non si riduca all'elemosina del meno peggio (specialità, come sappiamo, di Legambiente e WWF).
L'emissione dei gas serra che provocano i cambiamenti climatici è dovuta in gran parte ai combustibili fossili: petrolio, gas e carbone. Sappiamo che petrolio e gas sono in via esaurimento più o meno rapido. Secondo alcuni siamo molto vicini al picco della produzione di petrolio e gas e questo renderebbe meno drammatiche le previsioni del cambiamento climatico. Il ragionamento è semplice: le previsioni delle emissioni di gas serra derivano da proiezioni ottimistiche dell'IEA (Agenzia Internazionale dell'Energia) sulla disponibilità di gas e petrolio. Poiché gas e petrolio finiranno molto prima di quanto preveda l'IEA anche l'emissione di gas serra dovranno diminuire perché il sistema non avrà più a disposizione petrolio e gas a buon mercato. Potrebbe essere aperta la strada verso una vera rivoluzione energetica con l'utilizzo delle fonti rinnovabili ed un uso efficiente delle risorse. C'è però un duplice problema: da una parte si risveglieranno gli appetiti dei nuclearisti e dall'altra si cercherà di far ricorso al carbone che sarà disponibile per molti anni ancora. La battaglia ecologista si deve incentrare nella lotta all'uso di petrolio e gas ma soprattutto del carbone e del nucleare.
I movimenti popolari che in Italia si stanno battendo contro la costruzione di nuove centrali a gas, contro i rigassificatori, contro la riconversione a carbone degli impianti oggi funzionanti ad olio combustibile, si stanno battendo non per difendere il loro orticello (la famigerata "sindrome di Nimby") ma per imporre a Stato e padroni scelte che salvaguardino le nostre condizioni di vita ma anche quelle delle generazioni future. Sono loro i portatori degli interessi generali e non lo Stato che difendendo gli interessi dei capitalisti, difende, come sempre, gli interessi particolari di chi antepone a tutto la ricerca del profitto.

Contro Stato e padroni per l'autogestione generalizzata della società!
Deve essere chiaro per tutti, e noi lo proclamiamo a gran voce, che sono lo Stato e il capitalismo che provocano il degrado che sta rendendo invivibile il pianeta. I finanzieri e gli industriali conducono i loro progetti con il sostegno della mano armata dello Stato nascosta dal guanto di velluto dell'ideologia dello sviluppo infinito e del progresso economico. I leader delle organizzazioni operaie stataliste, da parte loro, hanno veicolato e continuano a veicolare un'ideologia produttiva inseparabile dallo sfruttamento del lavoro umano e dell'ambiente. Allo stesso modo, benché critici su alcuni aspetti dell'ideologia produttiva, gli ecologisti più o meno liberali o socialdemocratici lasciano senza risposta la soluzione radicale delle questioni ecologiche facendo credere che semplici rimaneggiamenti successivi, guidati dagli Stati, permetteranno di cambiare le mentalità, mentre occorrerebbe per lo meno rivendicare la centralità delle popolazioni nelle scelte che le riguardano: sono le popolazioni che devono valutare l'utilità sociale delle attività produttive, di qualsiasi genere esse siano.
Per concludere: solo un forte movimento dal basso potrà imporre la riconversione verso fonti rinnovabili, il risparmio energetico e l'utilizzo di sistemi energetici efficienti, cioè verso una società autogestita in cui l'uomo possa vivere in armonia e non in conflitto con l'ambiente che lo circonda. 

Indagator

Nota: Questo articolo è stato redatto prima che i quotidiani pubblicassero anticipazioni del "Quarto rapporto sui cambiamenti climatici" curato dal Intergovernmental Panel on Climate change -IPCC

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