L'autunno 2006 è stato il più caldo da 150 anni a questa
parte, vale a dire da quando si è cominciata a misurare la
temperatura. Fra qualche tempo, probabilmente, ci diranno che anche
l'inverno 2007 è stato il più caldo. Così mentre
nel centro-nord Europa si scatena l'uragano Kyrill, il più
violento degli ultimi vent'anni, in Italia e negli altri paesi
mediterranei si sta vivendo questo strano inverno con temperature anche
di venti gradi superiori alla media stagionale. Fino a qualche tempo fa
si diceva "non ci sono più le mezze stagioni" fra qualche anno
diremo "non c'è più l'inverno"?
Effetto serra come una guerra nucleare
La comunità scientifica internazionale concorda quasi
unanimemente nel rilevare come i cambiamenti climatici siano l'effetto
più evidente del riscaldamento del pianeta. Questo
"riscaldamento" provoca un impatto sulla natura e sulla popolazione che
diventerà tanto più devastante nel futuro se l'effetto
serra continuerà ad aumentare. Gli scienziati prevedono fenomeni
atmosferici estremi, con ondate di caldo roventi e più
frequenti, una maggiore piovosità generalizzata ma
contemporaneamente anche un aumento del rischio di siccità nelle
aree dell'entroterra durante le estati calde. Si prevedono più
alluvioni dovute ad uragani e all'aumento del livello dei mari.
Giustamente qualcuno ha osservato che solo la minaccia di guerra
nucleare può essere equiparata a quella dei cambiamenti
climatici. Ma esiste una differenza fondamentale: mentre la minaccia
nucleare può essere evitata anche all'ultimo secondo, quella dei
cambiamenti climatici avanza inesorabilmente; quello che le
attività umane hanno fatto nel passato sta provocando gli
sconquassi odierni ma quello che stiamo facendo oggi provocherà
sconquassi ancora maggiori nel prossimo futuro! Se vogliamo evitare la
catastrofe annunciata in un recente libro dallo scienziato inglese
James Lovelock ("Prima della fine di questo secolo, miliardi di noi
moriranno e le ultime persone che sopravvivranno si troveranno
nell'Artico, dove il clima resterà tollerabile") dobbiamo
drasticamente limitare l'emissione di gas serra e prepararci, comunque,
a vivere nei prossimi 20/30 anni in un mondo che dovrà far
fronte alle scelte sconsiderate fatte soprattutto nella seconda
metà del secolo scorso.
Il Rapporto Stern: capitalismo uguale disastro ambientale
Di fronte all'emergenza ambientale, da almeno trent'anni denunciata dal
movimento ecologista, il sistema statale e capitalistico sembra
incapace di risposta: negli ultimi quindici anni si sono moltiplicate
le conferenze internazionali, i summit G8, G7 ecc. sull'ambiente, le
risoluzioni e i buoni propositi ma dietro tutto quest'attivismo si
nasconde solo una scomoda verità: il mondo capitalista è
impotente a trovare una soluzione ai danni climatici... visto che ne
è il primo responsabile.
Nel novembre 2006 il rapporto di un ex-capo economista della Banca
Mondiale (Rapporto Stern, commissionato dal governo britannico)
è sembrato quasi un pugno nello stomaco del sistema. Senza fare
tanti discorsi ecologisti Stern analizza in 700 pagine ricche di dati e
cifre "l'impatto del riscaldamento globale sui vari comparti produttivi
da oggi al 2100, e lo scenario che emerge è impressionante.
Nella migliore delle ipotesi il 5% del prodotto lordo dovrà
essere speso per riparare i danni prodotti dal nuovo clima, ma nello
scenario peggiore si arriverà al 20%, cioè a 5,5 trilioni
di euro. L'effetto combinato dall'aumento dei fenomeni estremi
(siccità, alluvioni, uragani), del collasso di interi settori
agricoli e dell'aumento del livello dei mari costituisce un pericolo
gravissimo per la capacità di tenuta dell'economia mondiale e
per gli equilibri politici" (Repubblica, 2/11/2006). Insomma: il
sistema capitalistico va incontro ad una crisi economica epocale che
avrà effetti devastanti sui già delicatissimi equilibri
politici mondiali, basti pensare ai 200 milioni di persone che a causa
dell'inaridimento di interi paesi sarebbero costrette a mettersi in
marcia per cercare un luogo dove sopravvivere! A Stern non gliene
importa un fico secco del destino del pianeta, a lui interessa il
futuro del sistema capitalistico ed è solo per questo che gente
come lui si muove oggi chiudendo la stalla dopo che i buoi sono
già scappati, come direbbe qualcuno dotato di sana cultura
contadina.
Il "tanto peggio, tanto meglio" dei neocons
Il sistema capitalistico si dimostra però incapace di prendere
provvedimenti seri per bloccare l'effetto serra. Gli Stati Uniti, che
conoscono bene la situazione, pensano di sfruttarla a loro vantaggio.
"La sprezzante attitudine di Washington nei confronti del protocollo di
Kyoto – ha ipotizzato Mike Davis - potrebbe poi non essere
così arcaica e miope come appare: è certo che
l'amministrazione Bush è in possesso di uno staff aggiornato e
perfettamente consapevole delle possibili conseguenze del riscaldamento
climatico sulla terra. Dobbiamo forse pensare che esista un disegno
strategico che spiega l'equanimità americana nei confronti del
catastrofico cambio ambientale? Dal momento che molti studi
preannunciano che il mutamento climatico potrebbe, di fatto, produrre
un beneficio per la produzione agricola Nordamericana, mentre
causerebbe un impatto disastroso sulla Russia ed altri paesi
euro-asiatici, temo che qualcuno all'interno del regime possa di fatto
vedere nel riscaldamento globale della terra una ulteriore risorsa per
l'egemonia geopolitica Americana. " (Ciberzone, n. 20/2006)
I programmi minimi dell'Unione Europea
Dal canto suo l'Unione europea, che dice di sostenere gli obiettivi del
protocollo di Kyoto, ha proposto lo scorso 10 gennaio un piano per
limitare il "riscaldamento". Secondo la Commissione dell'UE, che ha
redatto il documento, i costi economici del riscaldamento climatico
potrebbero essere sopportabili dall'economia europea se l'aumento della
temperatura media globale fosse inferiore a 2°C (rispetto alla
metà del XIX secolo). Secondo la Commissione entro questo limite
di riscaldamento, le conseguenze negative dei cambiamenti climatici,
pur se terrificanti, sarebbero ancora gestibili e controllabili e non
ancora gravi ed irreversibili. I paesi membri dell'UE potrebbero
affrontarli e gestirli a costi accettabili con idonee strategie di
adattamento. La Commissione ha previsto due scenari da realizzare entro
il 2050, scartando però lo scenario in cui le emissioni globali
in futuro cresceranno molto lentamente (scenario che implicherebbe una
forte riduzione delle emissioni di gas serra ed un uso massiccio di
fonti energetiche alternative ai combustibili fossili). Secondo le
previsioni della Commissione, che nei prossimi giorni dovranno essere
vagliate dai paesi dell'UE, entro il 2050 si dovranno diminuire le
emissioni di gas serra di almeno il 60% rispetto al 1990 (del 20/30%
entro il 2030).
Una strategia, quella proposta dal documento europeo, molto ambiziosa
perché pretenderebbe di salvare il mondo dalla catastrofe senza
cambiare sostanzialmente niente ma facendo un semplice "maquillage" al
sistema. È scandaloso osservare che anche rispettando questi
obiettivi minimi gli effetti previsti dalla commissione sono egualmente
impressionanti (vedi riquadro).
Un avvenimento decisivo: l'esaurimento delle risorse
Tragico paradosso: la situazione sembra destinata a peggiorare: il
governo USA continua ad ignorare i segnali d'allarme, l'Unione Europea
vara ipocriti piani che non verranno rispettati (dal 1990 al 2004,
l'Italia ha aumentato le emissioni di gas serra del 12,4%, altri hanno
fatto un po' meglio ma sempre lontani dall'obiettivo Kyoto), le potenze
emergenti, Cina e India, aumentano ad un ritmo vertiginoso le loro
emissioni di gas serra. E allora: che fare? È tutto perduto e
non ci resta che vivere da cicale in attesa di consegnare alle
generazioni future un cadavere?
Ritengo che nonostante tutto ci siano ancora margini di manovra per una
lotta ecologista che non si riduca all'elemosina del meno peggio
(specialità, come sappiamo, di Legambiente e WWF).
L'emissione dei gas serra che provocano i cambiamenti climatici
è dovuta in gran parte ai combustibili fossili: petrolio, gas e
carbone. Sappiamo che petrolio e gas sono in via esaurimento più
o meno rapido. Secondo alcuni siamo molto vicini al picco della
produzione di petrolio e gas e questo renderebbe meno drammatiche le
previsioni del cambiamento climatico. Il ragionamento è
semplice: le previsioni delle emissioni di gas serra derivano da
proiezioni ottimistiche dell'IEA (Agenzia Internazionale dell'Energia)
sulla disponibilità di gas e petrolio. Poiché gas e
petrolio finiranno molto prima di quanto preveda l'IEA anche
l'emissione di gas serra dovranno diminuire perché il sistema
non avrà più a disposizione petrolio e gas a buon
mercato. Potrebbe essere aperta la strada verso una vera rivoluzione
energetica con l'utilizzo delle fonti rinnovabili ed un uso efficiente
delle risorse. C'è però un duplice problema: da una parte
si risveglieranno gli appetiti dei nuclearisti e dall'altra si
cercherà di far ricorso al carbone che sarà disponibile
per molti anni ancora. La battaglia ecologista si deve incentrare nella
lotta all'uso di petrolio e gas ma soprattutto del carbone e del
nucleare.
I movimenti popolari che in Italia si stanno battendo contro la
costruzione di nuove centrali a gas, contro i rigassificatori, contro
la riconversione a carbone degli impianti oggi funzionanti ad olio
combustibile, si stanno battendo non per difendere il loro orticello
(la famigerata "sindrome di Nimby") ma per imporre a Stato e padroni
scelte che salvaguardino le nostre condizioni di vita ma anche quelle
delle generazioni future. Sono loro i portatori degli interessi
generali e non lo Stato che difendendo gli interessi dei capitalisti,
difende, come sempre, gli interessi particolari di chi antepone a tutto
la ricerca del profitto.
Contro Stato e padroni per l'autogestione generalizzata della società!
Deve essere chiaro per tutti, e noi lo proclamiamo a gran voce, che
sono lo Stato e il capitalismo che provocano il degrado che sta
rendendo invivibile il pianeta. I finanzieri e gli industriali
conducono i loro progetti con il sostegno della mano armata dello Stato
nascosta dal guanto di velluto dell'ideologia dello sviluppo infinito e
del progresso economico. I leader delle organizzazioni operaie
stataliste, da parte loro, hanno veicolato e continuano a veicolare
un'ideologia produttiva inseparabile dallo sfruttamento del lavoro
umano e dell'ambiente. Allo stesso modo, benché critici su
alcuni aspetti dell'ideologia produttiva, gli ecologisti più o
meno liberali o socialdemocratici lasciano senza risposta la soluzione
radicale delle questioni ecologiche facendo credere che semplici
rimaneggiamenti successivi, guidati dagli Stati, permetteranno di
cambiare le mentalità, mentre occorrerebbe per lo meno
rivendicare la centralità delle popolazioni nelle scelte che le
riguardano: sono le popolazioni che devono valutare l'utilità
sociale delle attività produttive, di qualsiasi genere esse
siano.
Per concludere: solo un forte movimento dal basso potrà imporre
la riconversione verso fonti rinnovabili, il risparmio energetico e
l'utilizzo di sistemi energetici efficienti, cioè verso una
società autogestita in cui l'uomo possa vivere in armonia e non
in conflitto con l'ambiente che lo circonda.
Indagator
Nota: Questo articolo è stato redatto prima che i quotidiani
pubblicassero anticipazioni del "Quarto rapporto sui cambiamenti
climatici" curato dal Intergovernmental Panel on Climate change -IPCC