Umanità Nova, n.3 del 28 gennaio 2007, anno 87

Anarchici & Politica-3
Più società meno politica

 
Sul numero 39 del 2006 di UN con il titolo "Diserzione, passione, conflitto, sperimentazione" e sul numero 2 di quest'anno con il titolo "Il politico e il sociale" abbiamo pubblicato alcuni testi dedicati al tema "Anarchici & politica". Gli articoli sono del nostro collaboratore Salvo Vaccaro che ci aveva proposto di iniziare un dibattito su questo tema, suddividendolo intorno a varie aree tematiche.
Come era nostro auspicio la prima tranche di interventi ha messo in moto la discussione. Vi proponiamo pertanto questa riflessione critica di Walter Siri. Nel cassetto ci sono altri pezzi di Vaccaro e un contributo di Simone Bisacca. Ci auguriamo che altri vogliano intervenire.

Quando ho letto l'apertura al dibattito di Salvo Vaccaro (Umanità Nova n.39/2006 del 3-12-2006) che auspica un protagonismo politico anarchico, sono letteralmente sobbalzato sulla sedia.
Non che le tesi di Salvo mi fossero nuove e nemmeno che questo tipo di questioni caschino dal "cielo". Mi è capitato in più occasioni (convegni e congressi) di fare delle filippiche contro la politica quando compagne e compagni usavano questo termine per definire il loro agire sociale o la loro attività di propaganda specifica.
Le aporie del marxismo portano ad adottare un gergo "gouchiste" che fa dell'attività rivoluzionaria un'attività politica. Ma non vi è nulla di più falso!
Sono necessarie alcune citazioni per evitare fraintendimenti.
La prima è la dichiarazione del Congresso Antiautoritario Internazionale di Saint Imier, del 1872 che è unanimemente considerato l'atto costitutivo del movimento anarchico internazionale: "Il Congresso nega nel principio il diritto legislativo" [...] "In nessun caso la maggioranza di qualsiasi Congresso potrà imporre le sue decisioni alla minoranza" [...]"La distruzione di ogni potere politico è il primo dovere del proletariato. Ogni organizzazione di un potere politico cosiddetto provvisorio e rivoluzionario per portare questa distruzione non può essere che un inganno ulteriore e sarebbe per il proletariato altrettanto pericoloso quanto tutti i governi esistenti oggi". (Congresso Antiautoritario Internazionale di Saint Imier, 1872)"
Questo congresso si teneva proprio contro l'azione e la prospettiva politica del V° congresso dell'Internazionale (Aja 1872) che ratificava le posizioni di Marx ed Engels già presentate alla conferenza internazionale di Londra del 1871.
Dal 1872, per il proletariato internazionale "fare politica" ha significato percorrere la strada della socialdemocrazia e del socialismo e del comunismo autoritari.
Ma oltre a questa citazione storica leggiamo cosa significa, nel linguaggio contemporaneo, il termine politica: "Volendo tentare una definizione potremmo dire che la politica è quell'attività umana, che si esplica in una collettività, il cui fine ultimo - da attuarsi mediante la conquista e il mantenimento del potere - è incidere sulla distribuzione delle risorse materiali e immateriali. Altre definizioni, che si basano su aspetti peculiari della politica, sono state date da numerosi teorici: per Max Weber la politica non è che aspirazione al potere e monopolio legittimo dell'uso della forza; per David Easton essa è la allocazione di valori imperativi (cioè di decisioni) nell'ambito di una comunità; per Giovanni Sartori la politica è la sfera delle decisioni collettive sovrane."
"Secondo un'antica definizione scolastica, la politica è l'Arte di governare le società. Il termine, di derivazione greca (da polis "πολις", città), si applica tanto alla attività di coloro che si trovano a governare (per scelta popolare in democrazia, o per altre ragioni in altri sistemi), quanto al confronto ideale finalizzato all'accesso all'attività di governo o di opposizione."
Quando inveisco contro la politica, compagne e compagni mi ricordano sempre il programma anarchico; ne riprendo il passo: "Dalla lotta economica bisogna passare alla lotta politica, cioè alla lotta contro il governo; ed invece di opporre ai milioni dei capitalisti gli scarsi centesimi a stento accumulati dagli operai, bisogna opporre ai fucili ed ai cannoni che difendono la proprietà, quei mezzi migliori che il popolo potrà trovare per vincere la forza con la forza.
Per la lotta politica intendiamo la lotta contro il governo. Governo è l'insieme di quegl'individui che detengono il potere, comunque acquistato, di far la legge ed imporla ai governanti, cioè al pubblico.
Conseguenza dello spirito di dominio e della violenza con cui alcuni uomini si sono imposti agli altri, esso è, nello stesso tempo, creatore e creatura del privilegio e suo difensore naturale.
Erroneamente si dice che il governo compie oggi la funzione di difensore del capitalismo, ma che abolito il capitalismo esso diventerebbe rappresentante e gerente degli interessi generali. Prima di tutto il capitalismo non si potrà distruggere se non quando i lavoratori, cacciato il governo, prendano possesso della ricchezza sociale ed organizzino la produzione ed il consumo nell'interesse di tutti, da loro stessi, senza aspettare l'opera di un governo il quale, anche a volerlo, non sarebbe capace di farlo.
Ma v'è di più: se il capitalismo fosse distrutto e si lasciasse sussistere un governo, questo, mediante la concessione di ogni sorta di privilegi lo creerebbe di nuovo poiché non potendo accontentar tutti avrebbe bisogno di una classe economicamente potente che lo appoggi in cambio della protezione legale e materiale che ne riceve.
Per conseguenza, non si può abolire il privilegio e stabilire solidamente e definitivamente la libertà e l'uguaglianza sociale se non abolendo il governo, non questo o quel governo, ma l'istituzione stessa del governo. (...)
L'insurrezione vittoriosa è il fatto più efficace per l'emancipazione popolare, poiché il popolo, scosso il giogo, diventi libero di darsi a quelle istituzioni che egli crede migliori, e la distanza che passa tra la legge, sempre in ritardo, ed il grado di civiltà a cui è arrivata la massa della popolazione, è varcata d'un salto. L'insurrezione determina la rivoluzione, cioè il rapido attuarsi delle forze latenti accumulate durante la precedente evoluzione. (...)
Noi dovremmo spingere il popolo ad espropriare i proprietari e mettere in comune la roba, ed organizzare la vita sociale da sé stesso, mediante associazioni liberamente costituite, senza aspettare gli ordini di nessuno e rifiutando di nominare o riconoscere qualsiasi governo, qualsiasi corpo costituito, che sotto un nome qualunque (costituente, dittatura, ecc.) si attribuisca, sia pure a titolo provvisorio, il diritto di far la legge ed imporre agli altri con la forza la propria volontà. (...)
E comunque vadano le cose continuare sempre a lottare, senza un istante di interruzione, contro i proprietari e contro i governanti avendo sempre in vista la emancipazione completa, economica, politica e morale di tutta quanta l'umanità. "

Bene. Detto che il termine politica è storicamente avversato dall'anarchismo ma anche, contraddittoriamente, usato per definire la lotta contro il potere costituito, possiamo mettere i piedi nel piatto.
Se prendiamo una definizione "neutra" e sicuramente non malevola come quella pubblicata da Wikipedia, ritorniamo alla politica come sfera della lotta per il governo.
Nella contemporaneità, le tendenze politiche dei movimenti di lotta  di emancipazione, sono proprio quelle tendenze che vogliono portare i movimenti a rendersi compatibili con il sistema vigente, proprio per, come dice Salvo, "sostituzione di èlite al potere".
Quella di "movimento politico" è l'autodefinizione delle componenti più autoritarie del pensiero moderno, dove destra e sinistra si fondono nel delirio di potenza.
Infatti, sempre storicamente, ma anche contingentemente, l'azione degli anarchici e dei movimenti di massa ad orientamento libertario, si caratterizza per l'auspicata "rivoluzione sociale" e non già per una "rivoluzione politica" che è cavallo di battaglia delle destre o delle sinistre socialdemocratiche (per quanto radicali possano essere).
Ma anche in una prospettiva "construens", non so fino a che punto sarebbe opportuno, utile, corretto, usare il termine politica per definire le forme organizzate dell'autogestione.
Sono proprio i movimenti contemporanei a mettere in evidenza, là dove si danno spazi di reale autonomia dal potere costituito (sia nelle dimensioni conflittuali che nelle sperimentazioni "separate"), come i metodi e gli stessi concetti della politica non siano adatti a promuovere la partecipazione e l'orizzontalità dei processi decisionali. Per non parlare poi della libertà degli individui che si determina sempre in una dimensione antipolitica.
D'altra parte, e ricorro ancora alla storia, se vi fosse stato uno spazio emancipatore nella politica avrebbe sbagliato il nostro Proudhon a superare, criticandole, le rivoluzioni democratiche della metà dell'ottocento per porre all'ordine del giorno l'anarchia come unica soluzione alla questione sociale.
È nella lucida critica Proudhoniana ai limiti della politica che si sostanzia la portata rivoluzionaria (ma forse anche questo termine è limitativo) dell'anarchismo. La società anarchica và ben oltre la più celestiale configurazione della politica: ne fa a meno.
Forse il discorso di Salvo si riconnette a quell'esperienza dell'anarchismo che lo ha visto come componente dei movimenti di opposizione al potere costituito. Certo. Nella ormai secolare lotta per la libertà, l'uguaglianza e la giustizia sociale, l'anarchismo ha avuto molti "compagni di strada"; molti di questi sono diventati delle vere e proprie "serpi in seno", tutti, comunque, una volta raggiunto il loro obiettivo (che per noi al massimo era un obiettivo intermedio) si sono rivelati nemici dell'anarchismo.
È probabile che nella prospettiva delle alleanze per la rivoluzione vadano lette sia le tesi politiche di Bakunin che il già citato "lotta politica" del programma anarchico malatestiano.
Non credo si possa però definire politica "offrire un senso di orientamento alla libera sperimentazione dei mondi possibili su questa terra nell'unica vita di cui disponiamo ...".
Questa io la definisco azione specifica degli anarchici. E non sono il solo. Non è un caso che sulla questione della definizione del nostro spazio collettivo e di organizzazione noi non usiamo i termini della politica e definiamo le nostre organizzazioni come "specifiche anarchiche".
In sostanza il tema del dibattito proposto da Salvo, mi sembra, ri-apre una discussione su come e cosa fare, nella contemporaneità, per rendere più incisiva l'azione degli anarchici e delle anarchiche.
Immagino che questo dibattito si prolungherà ed avremo quindi modo di riprendere temi e concetti per precisarli meglio.
Io, per concludere, penso che, come si suole dire, l'azione degli anarchici è efficace sia nella sua funzione distruttiva (contro ogni forma di dominazione e contro ogni gerarchia) che in quella costruttiva (affermare e realizzare spazi sociali di libertà). Che in questa azione l'anarchismo si confronta con la politica (sia delle forze al potere che di quelle che vi vogliono andare) ma che non la pratica e che anzi, la sua specificità, sia proprio questa.

Walter Siri

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