Sul numero 39 del 2006 di UN con il
titolo "Diserzione, passione, conflitto, sperimentazione" e sul numero
2 di quest'anno con il titolo "Il politico e il sociale" abbiamo
pubblicato alcuni testi dedicati al tema "Anarchici & politica".
Gli articoli sono del nostro collaboratore Salvo Vaccaro che ci aveva
proposto di iniziare un dibattito su questo tema, suddividendolo
intorno a varie aree tematiche.
Come era nostro auspicio la prima
tranche di interventi ha messo in moto la discussione. Vi proponiamo
pertanto questa riflessione critica di Walter Siri. Nel cassetto ci
sono altri pezzi di Vaccaro e un contributo di Simone Bisacca. Ci
auguriamo che altri vogliano intervenire.
Quando ho letto l'apertura al dibattito di Salvo Vaccaro
(Umanità Nova n.39/2006 del 3-12-2006) che auspica un
protagonismo politico anarchico, sono letteralmente sobbalzato sulla
sedia.
Non che le tesi di Salvo mi fossero nuove e nemmeno che questo tipo di
questioni caschino dal "cielo". Mi è capitato in più
occasioni (convegni e congressi) di fare delle filippiche contro la
politica quando compagne e compagni usavano questo termine per definire
il loro agire sociale o la loro attività di propaganda specifica.
Le aporie del marxismo portano ad adottare un gergo "gouchiste" che fa
dell'attività rivoluzionaria un'attività politica. Ma non
vi è nulla di più falso!
Sono necessarie alcune citazioni per evitare fraintendimenti.
La prima è la dichiarazione del Congresso Antiautoritario
Internazionale di Saint Imier, del 1872 che è unanimemente
considerato l'atto costitutivo del movimento anarchico internazionale:
"Il Congresso nega nel principio il diritto legislativo" [...] "In
nessun caso la maggioranza di qualsiasi Congresso potrà imporre
le sue decisioni alla minoranza" [...]"La distruzione di ogni potere
politico è il primo dovere del proletariato. Ogni organizzazione
di un potere politico cosiddetto provvisorio e rivoluzionario per
portare questa distruzione non può essere che un inganno
ulteriore e sarebbe per il proletariato altrettanto pericoloso quanto
tutti i governi esistenti oggi". (Congresso Antiautoritario
Internazionale di Saint Imier, 1872)"
Questo congresso si teneva proprio contro l'azione e la prospettiva
politica del V° congresso dell'Internazionale (Aja 1872) che
ratificava le posizioni di Marx ed Engels già presentate alla
conferenza internazionale di Londra del 1871.
Dal 1872, per il proletariato internazionale "fare politica" ha
significato percorrere la strada della socialdemocrazia e del
socialismo e del comunismo autoritari.
Ma oltre a questa citazione storica leggiamo cosa significa, nel
linguaggio contemporaneo, il termine politica: "Volendo tentare una
definizione potremmo dire che la politica è
quell'attività umana, che si esplica in una collettività,
il cui fine ultimo - da attuarsi mediante la conquista e il
mantenimento del potere - è incidere sulla distribuzione delle
risorse materiali e immateriali. Altre definizioni, che si basano su
aspetti peculiari della politica, sono state date da numerosi teorici:
per Max Weber la politica non è che aspirazione al potere e
monopolio legittimo dell'uso della forza; per David Easton essa
è la allocazione di valori imperativi (cioè di decisioni)
nell'ambito di una comunità; per Giovanni Sartori la politica
è la sfera delle decisioni collettive sovrane."
"Secondo un'antica definizione scolastica, la politica è l'Arte
di governare le società. Il termine, di derivazione greca (da
polis "πολις", città), si applica
tanto alla attività di coloro che si trovano a governare (per
scelta popolare in democrazia, o per altre ragioni in altri sistemi),
quanto al confronto ideale finalizzato all'accesso all'attività
di governo o di opposizione."
Quando inveisco contro la politica, compagne e compagni mi ricordano
sempre il programma anarchico; ne riprendo il passo: "Dalla lotta
economica bisogna passare alla lotta politica, cioè alla lotta
contro il governo; ed invece di opporre ai milioni dei capitalisti gli
scarsi centesimi a stento accumulati dagli operai, bisogna opporre ai
fucili ed ai cannoni che difendono la proprietà, quei mezzi
migliori che il popolo potrà trovare per vincere la forza con la
forza.
Per la lotta politica intendiamo la lotta contro il governo. Governo
è l'insieme di quegl'individui che detengono il potere, comunque
acquistato, di far la legge ed imporla ai governanti, cioè al
pubblico.
Conseguenza dello spirito di dominio e della violenza con cui alcuni
uomini si sono imposti agli altri, esso è, nello stesso tempo,
creatore e creatura del privilegio e suo difensore naturale.
Erroneamente si dice che il governo compie oggi la funzione di
difensore del capitalismo, ma che abolito il capitalismo esso
diventerebbe rappresentante e gerente degli interessi generali. Prima
di tutto il capitalismo non si potrà distruggere se non quando i
lavoratori, cacciato il governo, prendano possesso della ricchezza
sociale ed organizzino la produzione ed il consumo nell'interesse di
tutti, da loro stessi, senza aspettare l'opera di un governo il quale,
anche a volerlo, non sarebbe capace di farlo.
Ma v'è di più: se il capitalismo fosse distrutto e si
lasciasse sussistere un governo, questo, mediante la concessione di
ogni sorta di privilegi lo creerebbe di nuovo poiché non potendo
accontentar tutti avrebbe bisogno di una classe economicamente potente
che lo appoggi in cambio della protezione legale e materiale che ne
riceve.
Per conseguenza, non si può abolire il privilegio e stabilire
solidamente e definitivamente la libertà e l'uguaglianza sociale
se non abolendo il governo, non questo o quel governo, ma l'istituzione
stessa del governo. (...)
L'insurrezione vittoriosa è il fatto più efficace per
l'emancipazione popolare, poiché il popolo, scosso il giogo,
diventi libero di darsi a quelle istituzioni che egli crede migliori, e
la distanza che passa tra la legge, sempre in ritardo, ed il grado di
civiltà a cui è arrivata la massa della popolazione,
è varcata d'un salto. L'insurrezione determina la rivoluzione,
cioè il rapido attuarsi delle forze latenti accumulate durante
la precedente evoluzione. (...)
Noi dovremmo spingere il popolo ad espropriare i proprietari e mettere
in comune la roba, ed organizzare la vita sociale da sé stesso,
mediante associazioni liberamente costituite, senza aspettare gli
ordini di nessuno e rifiutando di nominare o riconoscere qualsiasi
governo, qualsiasi corpo costituito, che sotto un nome qualunque
(costituente, dittatura, ecc.) si attribuisca, sia pure a titolo
provvisorio, il diritto di far la legge ed imporre agli altri con la
forza la propria volontà. (...)
E comunque vadano le cose continuare sempre a lottare, senza un istante
di interruzione, contro i proprietari e contro i governanti avendo
sempre in vista la emancipazione completa, economica, politica e morale
di tutta quanta l'umanità. "
Bene. Detto che il termine politica è storicamente avversato
dall'anarchismo ma anche, contraddittoriamente, usato per definire la
lotta contro il potere costituito, possiamo mettere i piedi nel piatto.
Se prendiamo una definizione "neutra" e sicuramente non malevola come
quella pubblicata da Wikipedia, ritorniamo alla politica come sfera
della lotta per il governo.
Nella contemporaneità, le tendenze politiche dei movimenti di
lotta di emancipazione, sono proprio quelle tendenze che vogliono
portare i movimenti a rendersi compatibili con il sistema vigente,
proprio per, come dice Salvo, "sostituzione di èlite al potere".
Quella di "movimento politico" è l'autodefinizione delle
componenti più autoritarie del pensiero moderno, dove destra e
sinistra si fondono nel delirio di potenza.
Infatti, sempre storicamente, ma anche contingentemente, l'azione degli
anarchici e dei movimenti di massa ad orientamento libertario, si
caratterizza per l'auspicata "rivoluzione sociale" e non già per
una "rivoluzione politica" che è cavallo di battaglia delle
destre o delle sinistre socialdemocratiche (per quanto radicali possano
essere).
Ma anche in una prospettiva "construens", non so fino a che punto
sarebbe opportuno, utile, corretto, usare il termine politica per
definire le forme organizzate dell'autogestione.
Sono proprio i movimenti contemporanei a mettere in evidenza, là
dove si danno spazi di reale autonomia dal potere costituito (sia nelle
dimensioni conflittuali che nelle sperimentazioni "separate"), come i
metodi e gli stessi concetti della politica non siano adatti a
promuovere la partecipazione e l'orizzontalità dei processi
decisionali. Per non parlare poi della libertà degli individui
che si determina sempre in una dimensione antipolitica.
D'altra parte, e ricorro ancora alla storia, se vi fosse stato uno
spazio emancipatore nella politica avrebbe sbagliato il nostro Proudhon
a superare, criticandole, le rivoluzioni democratiche della metà
dell'ottocento per porre all'ordine del giorno l'anarchia come unica
soluzione alla questione sociale.
È nella lucida critica Proudhoniana ai limiti della politica che
si sostanzia la portata rivoluzionaria (ma forse anche questo termine
è limitativo) dell'anarchismo. La società anarchica
và ben oltre la più celestiale configurazione della
politica: ne fa a meno.
Forse il discorso di Salvo si riconnette a quell'esperienza
dell'anarchismo che lo ha visto come componente dei movimenti di
opposizione al potere costituito. Certo. Nella ormai secolare lotta per
la libertà, l'uguaglianza e la giustizia sociale, l'anarchismo
ha avuto molti "compagni di strada"; molti di questi sono diventati
delle vere e proprie "serpi in seno", tutti, comunque, una volta
raggiunto il loro obiettivo (che per noi al massimo era un obiettivo
intermedio) si sono rivelati nemici dell'anarchismo.
È probabile che nella prospettiva delle alleanze per la
rivoluzione vadano lette sia le tesi politiche di Bakunin che il
già citato "lotta politica" del programma anarchico malatestiano.
Non credo si possa però definire politica "offrire un senso di
orientamento alla libera sperimentazione dei mondi possibili su questa
terra nell'unica vita di cui disponiamo ...".
Questa io la definisco azione specifica degli anarchici. E non sono il
solo. Non è un caso che sulla questione della definizione del
nostro spazio collettivo e di organizzazione noi non usiamo i termini
della politica e definiamo le nostre organizzazioni come "specifiche
anarchiche".
In sostanza il tema del dibattito proposto da Salvo, mi sembra, ri-apre
una discussione su come e cosa fare, nella contemporaneità, per
rendere più incisiva l'azione degli anarchici e delle anarchiche.
Immagino che questo dibattito si prolungherà ed avremo quindi modo di riprendere temi e concetti per precisarli meglio.
Io, per concludere, penso che, come si suole dire, l'azione degli
anarchici è efficace sia nella sua funzione distruttiva (contro
ogni forma di dominazione e contro ogni gerarchia) che in quella
costruttiva (affermare e realizzare spazi sociali di libertà).
Che in questa azione l'anarchismo si confronta con la politica (sia
delle forze al potere che di quelle che vi vogliono andare) ma che non
la pratica e che anzi, la sua specificità, sia proprio questa.
Walter Siri