Due episodi con protagonisti giudici e poliziotti si sono incrociati la
scorsa settimana sulle onde della cronaca e tutti e due suggeriscono
riflessioni simili a proposito della "giustizia" e di coloro che la
amministrano e la difendono.
Il primo è il caso del cosiddetto "unabomber" che sembrava fosse
arrivato alla svolta definitiva, tanto agognata dagli inquirenti e
altrettanto pompata dai media, con la nota perizia sulle forbici che
avrebbero dovuto incastrare definitivamente l'unico accusato. Ma,
appena un'ora prima che iniziasse il vertice tra le procure di Trieste
e di Venezia, una controperizia della difesa ha fatto volar via come un
castello di carte le prove degli inquirenti portando, addirittura, ad
avanzare pesanti sospetti sul poliziotto responsabile della famosa
perizia. Da notare che, oltre alla sua, altre tre indagini (Ris,
Polizia scientifica e periti del gip) avevano confermato i risultati
raggiunti.
Adesso c'è il sospetto che la perizia sia stata "pilotata" (per
usare un eufemismo) in modo da avallare le tesi dell'accusa, il che fa
pensare almeno ad un paio di possibilità: che sia stato messo in
atto un tentativo di incastrare una persona che si ritiene colpevole
(anche senza prove certe) manipolando delle prove, come avviene spesso
nei film hollywoodiani o che il perito abbia pensato di ricavare fama e
gloria, a spese di un innocente, in un caso con un forte impatto
mediatico.
In ogni caso, appare evidente come - fin troppo spesso - le indagini in
casi difficili vengono delegate alle metodologie scientifiche
più sofisticate: dalle ormai onnipresenti analisi del DNA alle
prove di taglio di una forbice, presupponendo che tali strumenti
garantiscano una oggettività che valga sempre e comunque la vita
o la libertà di un individuo, anche in assenza di altre prove.
Ma la polizia è capace di ben altre "magie".
Anche quando esistono delle prove certe, "materiali", anche quando
queste prove sono registrate su immagini e concretamente a
disposizione, questo non basta a scrivere la parola fine in un
processo, specialmente se gli accusati vestono una divisa.
Infatti, quasi contemporaneamente alla notizia su "unabomber", si
è verificata la provvidenziale sparizione delle famose molotov
sequestrate a Genova nella scuola Diaz durante il blitz in stile cileno
del luglio 2001.
Come tutti ricorderanno, dopo l'arresto di 93 compagni e compagne, la
polizia inscenò una cialtronesca conferenza stampa nella quale
vennero mostrate le "armi" ritrovate nella Scuola dove stavano dormendo
un centinaio di persone massacrate di botte nel sonno. Tra i reperti
recuperati c'erano alcune bottiglie incendiarie che però, come
si scoprì subito dopo, erano state portate all'interno
dell'edificio dagli stessi poliziotti. Una successiva inchiesta
appurò che il ritrovamento delle molotov fu tutta una messa in
scena e alcuni poliziotti vennero rinviati a giudizio per questo
episodio.
Nel corso del processo che si sta svolgendo a Genova, i difensori dei
poliziotti hanno chiesto l'esibizione delle 2 bottiglie rimaste (le
altre furono distrutte...) che però non sono saltate fuori:
rubate (sic!), sparite, nascoste, o semplicemente dimenticate da
qualche parte? Fonti di stampa affermano che l'ultima volta sono state
avvistate nel 2002 negli uffici della polizia scientifica, come dire...
un posto sicuro.
Intanto il processo si è fermato e, se le due molotov non
salteranno di nuovo fuori, i poliziotti potranno evitare una condanna
altrimenti quasi certa. Una condanna che sarebbe davvero una palese
"ingiustizia", visto che buona parte dei protagonisti della mattanza
genovese continuano ad essere promossi a gradi e ad incarichi superiori.
Davanti a simili episodi c'è ancora chi continua ad invocare una
"commissione di inchiesta parlamentare" sui fatti di Genova. Una
richiesta che, visti i precedenti e la ancora scottante archiviazione
della strage di Ustica, assume i toni di una - ennesima - presa in giro.
Pepsy