Umanità Nova, n.3 del 28 gennaio 2007, anno 87

I movimenti e il governo "amico"
Luci ed ombre

 
Se ragioniamo sullo stato dei movimenti di opposizione sociale nel corso degli ultimi mesi, i primi del governo sinistro, è possibile cogliere una sorta di doppia dinamica.
Per un verso, lo sciopero dei precari indetto dalla CUB il 20 novembre e, poi, la manifestazione indetta dalla sinistra CGIL, i Cobas ed altre forze il 4 gennaio sempre sulla situazione dei precari, per arrivare allo sciopero del sindacalismo di base del 17 dicembre vedono una partecipazione robusta.
Sul terreno sindacale, insomma, un settore di opposizione sociale funziona proprio perché pone al centro questioni sentite dalla grande maggioranza dei lavoratori come il precariato e la difesa delle pensioni pubbliche. Certamente lo sciopero del 17 novembre è stato di minoranza ma di una minoranza che è in dialettica con la grande maggioranza della classe.
È, d'altro canto, vero che settori della sinistra non conformista vivono con disagio la necessità di mobilitarsi contro il governo. Per quanto noi affermiamo, ed abbiamo non una ma mille ragioni, che non vi sono governi amici, è sentito da molti come un rischio reale quello della caduta dell'esecutivo e del conseguente ritorno al governo della destra, di una destra che ha mostrato capacità di mobilitazione di massa soprattutto sul terreno della polemica antifiscale e della difesa delle classi medie tradizionali messe a repentaglio dalle liberalizzazioni reali e, soprattutto, promesse dal governo.
Credo che la scarsa riuscita di una serie di mobilitazioni più squisitamente politiche si possa spiegare con questa attitudine senza, naturalmente, sottovalutare la pressione dell'apparato della sinistra parlamentare e dei sindacati istituzionali.
È, infatti, evidente, che, nella costruzione delle mobilitazioni di piazza i partiti ed i sindacati istituzionali giocano, quando ne hanno interesse, e ne hanno interesse, di norma, quando sono all'opposizione, un ruolo di non poco conto sia per quanto riguarda la logistica che per la capacità di convogliare il loro apparato e la loro base su questa o quella scadenza.
Non è casuale che una serie di mobilitazioni che pure toccavano temi cari all'assieme della sinistra hanno visto una presenza limitata e, perché negarlo? qualche volta ai limiti dell'irrilevanza. Penso, per fare un solo esempio, alle manifestazioni di solidarietà alle popolazioni del sud del Messico che subivano, e subiscono, una repressione pesantissima ma la stessa scarsa vivacità sulla situazione libanese qualcosa vuole ben dire.
D'altro canto, mobilitazioni assolutamente modeste come il presidio svoltosi al rettorato dell'università di Torino il 17 gennaio scorso hanno determinato una reazione decisamente sproporzionata da parte della grande stampa (cfr. la cronaca a pag. 7).
Un banale tafferuglio è stato utilizzato il 18 gennaio dai giornali che gli hanno dedicato intere pagine in cronaca nazionale per presentare l'opposizione sociale che cresce nel paese contro le grandi opere nocive e contro la militarizzazione del territorio per quello che non è né intende essere.
L'altro obiettivo di una simile enfatizzazione era il PRC al quale veniva ricordato che non è accettabile il suo tentativo di stare al governo e di garantire una, limitatissima, copertura ad iniziative antigovernative alle quali partecipa, peraltro, un limitato gruppo di aderenti alla sua federazione giovanile.
In estrema sintesi, un non evento da una parte e una massa di articoli che costituiscono il vero evento.
D'altro canto, che vi siano problemi reali per il governo e, più in generale, per le classi dominanti lo dimostra proprio una mobilitazione di Vicenza che riprende, su di un terreno diverso, contenuti e pratiche del movimento della Valle di Susa ed, esattamente come il movimento No Tav, determina forti contraddizioni nella maggioranza di governo.
Ancora una volta siamo di fronte al carattere costitutivo di un movimento reale: l'eccesso degli effetti a fronte delle cause, lo svilupparsi di un tessuto di relazioni sociali, il porre al centro le questioni di merito e non gli schieramenti di partito, la capacità di spiazzare istituzioni ed organizzazioni.
Dove vi è, insomma, un soggetto sociale reale, le preoccupazioni di chi teme, mobilitandosi, di "fare il gioco della destra" vengono superate proprio perché chi si mobilita ha la, corretta, percezione di fare il proprio gioco.
Debolezza della sinistra politica, per un verso, e forza della sinistra sociale per l'altro. Un passaggio che apre lo spazio a pratiche di autorganizzazione e di autonomia e di riconsiderazione della stressa politica sulla base di una dialettica non scontata.
È, credo, importante in questa fase prestare la massima attenzione oltre che alle esperienze positive che si vanno sviluppando, al rischio crescente di una criminalizzazione del movimento che proprio nell'incredibile sproporzione fra eventi realmente verificatisi e loro esibizione mediatica abbiamo potuto verificare in forma chimicamente pura.

Cosimo Scarinzi

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