Se ragioniamo sullo stato dei movimenti di opposizione sociale nel
corso degli ultimi mesi, i primi del governo sinistro, è
possibile cogliere una sorta di doppia dinamica.
Per un verso, lo sciopero dei precari indetto dalla CUB il 20 novembre
e, poi, la manifestazione indetta dalla sinistra CGIL, i Cobas ed altre
forze il 4 gennaio sempre sulla situazione dei precari, per arrivare
allo sciopero del sindacalismo di base del 17 dicembre vedono una
partecipazione robusta.
Sul terreno sindacale, insomma, un settore di opposizione sociale
funziona proprio perché pone al centro questioni sentite dalla
grande maggioranza dei lavoratori come il precariato e la difesa delle
pensioni pubbliche. Certamente lo sciopero del 17 novembre è
stato di minoranza ma di una minoranza che è in dialettica con
la grande maggioranza della classe.
È, d'altro canto, vero che settori della sinistra non
conformista vivono con disagio la necessità di mobilitarsi
contro il governo. Per quanto noi affermiamo, ed abbiamo non una ma
mille ragioni, che non vi sono governi amici, è sentito da molti
come un rischio reale quello della caduta dell'esecutivo e del
conseguente ritorno al governo della destra, di una destra che ha
mostrato capacità di mobilitazione di massa soprattutto sul
terreno della polemica antifiscale e della difesa delle classi medie
tradizionali messe a repentaglio dalle liberalizzazioni reali e,
soprattutto, promesse dal governo.
Credo che la scarsa riuscita di una serie di mobilitazioni più
squisitamente politiche si possa spiegare con questa attitudine senza,
naturalmente, sottovalutare la pressione dell'apparato della sinistra
parlamentare e dei sindacati istituzionali.
È, infatti, evidente, che, nella costruzione delle mobilitazioni
di piazza i partiti ed i sindacati istituzionali giocano, quando ne
hanno interesse, e ne hanno interesse, di norma, quando sono
all'opposizione, un ruolo di non poco conto sia per quanto riguarda la
logistica che per la capacità di convogliare il loro apparato e
la loro base su questa o quella scadenza.
Non è casuale che una serie di mobilitazioni che pure toccavano
temi cari all'assieme della sinistra hanno visto una presenza limitata
e, perché negarlo? qualche volta ai limiti dell'irrilevanza.
Penso, per fare un solo esempio, alle manifestazioni di
solidarietà alle popolazioni del sud del Messico che subivano, e
subiscono, una repressione pesantissima ma la stessa scarsa
vivacità sulla situazione libanese qualcosa vuole ben dire.
D'altro canto, mobilitazioni assolutamente modeste come il presidio
svoltosi al rettorato dell'università di Torino il 17 gennaio
scorso hanno determinato una reazione decisamente sproporzionata da
parte della grande stampa (cfr. la cronaca a pag. 7).
Un banale tafferuglio è stato utilizzato il 18 gennaio dai
giornali che gli hanno dedicato intere pagine in cronaca nazionale per
presentare l'opposizione sociale che cresce nel paese contro le grandi
opere nocive e contro la militarizzazione del territorio per quello che
non è né intende essere.
L'altro obiettivo di una simile enfatizzazione era il PRC al quale
veniva ricordato che non è accettabile il suo tentativo di stare
al governo e di garantire una, limitatissima, copertura ad iniziative
antigovernative alle quali partecipa, peraltro, un limitato gruppo di
aderenti alla sua federazione giovanile.
In estrema sintesi, un non evento da una parte e una massa di articoli che costituiscono il vero evento.
D'altro canto, che vi siano problemi reali per il governo e, più
in generale, per le classi dominanti lo dimostra proprio una
mobilitazione di Vicenza che riprende, su di un terreno diverso,
contenuti e pratiche del movimento della Valle di Susa ed, esattamente
come il movimento No Tav, determina forti contraddizioni nella
maggioranza di governo.
Ancora una volta siamo di fronte al carattere costitutivo di un
movimento reale: l'eccesso degli effetti a fronte delle cause, lo
svilupparsi di un tessuto di relazioni sociali, il porre al centro le
questioni di merito e non gli schieramenti di partito, la
capacità di spiazzare istituzioni ed organizzazioni.
Dove vi è, insomma, un soggetto sociale reale, le preoccupazioni
di chi teme, mobilitandosi, di "fare il gioco della destra" vengono
superate proprio perché chi si mobilita ha la, corretta,
percezione di fare il proprio gioco.
Debolezza della sinistra politica, per un verso, e forza della sinistra
sociale per l'altro. Un passaggio che apre lo spazio a pratiche di
autorganizzazione e di autonomia e di riconsiderazione della stressa
politica sulla base di una dialettica non scontata.
È, credo, importante in questa fase prestare la massima
attenzione oltre che alle esperienze positive che si vanno sviluppando,
al rischio crescente di una criminalizzazione del movimento che proprio
nell'incredibile sproporzione fra eventi realmente verificatisi e loro
esibizione mediatica abbiamo potuto verificare in forma chimicamente
pura.
Cosimo Scarinzi