Uno degli argomenti più stucchevoli nel quotidiano dibattito
politico di questo paese è quello sull'identità pacifista
della cosiddetta sinistra radicale italiana la quale si vorrebbe
distinguere non solo dall'attuale opposizione parlamentare, composta da
guerrafondai senza scrupoli, ma anche dalla stessa maggioranza di
governo, di cui proprio questa sinistra fa parte, considerata troppo
vicina alla Casa delle libertà nelle scelte di politica estera.
La discussione è oziosa, tanto nelle premesse quanto nelle
conclusioni. Innanzitutto suona parecchio sospetta l'etichetta di
"radicale" che serve a definire Prc, PdCI e Verdi come fronte duro e
puro del Centrosinistra. La definizione è sospetta
perché, più che altro, si tratta di un'autodefinizione
strategicamente pompata dal linguaggio dei media (che si fonda di per
sé su qualunquistiche e facili generalizzazioni) e perché
– a ben vedere – chi siede in parlamento tutto può
essere fuorché radicale, nel merito e nel metodo.
Considerando poi l'assoluta organicità che questi partiti hanno
nel generale assetto governativo (ministri, sottosegretari, ecc.) non
si capisce il perché i loro rappresentanti continuino
imperterriti ad annoiarci con interminabili polemiche e altisonanti
proclami fini a se stessi. Chiudere o non chiudere i CPT, superarli,
superarli un po' alla volta, forse sì, forse no, no. Riformare
il mercato del lavoro, o forse no; cancellare la flessibilità,
ma con calma; istituire il reddito sociale garantito, anche se poi, chi
la sente Confindustria? Spesso gli effetti hanno un che di comico, con
ministri sistematicamente sbugiardati o zittiti da altri ministri sui
classici cavalli di battaglia di quella sinistra un po' di lotta e un
po' di governo pronta a tutto pur di tenere saldo il controllo sui voti
del proprio bacino di votanti/militanti in quella che sembra una
campagna elettorale permanente.
E poi c'è la guerra, e l'escatologico "ruolo dell'Italia" con
tutto il corollario di appelli alla responsabilità di fronte
agli impegni assunti sul piano internazionale.
La recente vicenda dell'allargamento della base militare Usa di Vicenza
è emblematica, in tutti i suoi sviluppi, della viscerale
ipocrisia che contraddistingue la sinistra di governo italiana, nessuno
escluso. Ancora una volta, così come accaduto con la questione
CPT, la maggioranza parlamentare finge di spaccarsi recitando un gioco
delle parti che assegna a Ds, Margherita e cespugli del
Centrocentro-sinistra il ruolo dei brutti, sporchi e cattivi mentre al
Centro-sinistrasinistra tocca l'onere di piagnucolare invocando un
fatidico "segnale di discontinuità" dalle politiche belliciste
del Centrodestra. Salvo poi rendersi conto che, tra un piagnisteo e
l'altro, la sinistra radicale non parla mai di ritirare le truppe,
bandire la guerra dal vocabolario della storia o invitare a radicali
prese di posizione contro gli eserciti. I pacifisti con l'elmetto
propendono piuttosto per un aumento del personale civile nei fronti di
guerra e per un rafforzamento della cooperazione internazionale che
qualifichi il ruolo dell'Italia come nazione cui sta a cuore il
progresso civile e sociale dei paesi massacrati. Vien da pensare che
questa dedizione alla cooperazione nasconda qualche interesse di natura
speculativa, laddove è noto il ruolo di certe organizzazioni non
governative legate a doppio filo con la sinistra istituzionale che
sulle macerie degli altri campano da sempre e per sempre attraverso
sovvenzioni, raccolta di risorse e, dunque, di consenso.
Andando a un esempio concreto, la mobilitazione popolare contro la base
militare Usa di Vicenza si è caratterizzata anche per un certo
livello di drammatica delusione che ha colpito molti militanti ed
elettori dei partiti di governo. Tessere strappate in piazza, schede
elettorali distrutte davanti a tutti, tanta rabbia e amarezza. A voler
fare gli anarchici senza scrupoli dovremmo solo gongolare. Ma siccome
siamo prima di tutti donne e uomini che cercano di comprendere sempre
le altrui posizioni, ci rendiamo perfettamente conto del momento di
grossa difficoltà in cui si trovano migliaia di persone che, in
qualche modo, hanno sempre creduto in quello che facevano e nell'azione
dei rappresentanti che avevano delegato. A loro spese, il velo è
stato squarciato e oggi sono in molti a vedere nel rischio concreto che
Vicenza diventi una maxicaserma a cielo aperto il fallimento non solo
di una determinata classe politica, ma dell'intero sistema su cui si
fonda la gestione gerarchica e autoritaria degli interessi collettivi.
Al danno, si è aggiunta anche la beffa di chi mente sapendo di
mentire visto che il via libera all'ampliamento della base Ederle era
già stato dovutamente programmato e ai politicanti della
maggioranza governativa non è rimasto altro che suggerire agli
amministratori locali di indire un referendum consultivo tanto inutile
(come tutti i referendum) soprattutto se lanciato quando i giochi sono
fatti.
E, tanto per non smentirsi, lo stesso sterile dibattito parlamentare
sul rifinanziamento della missione militare in Afghanistan ripropone
noiosamente la solita solfa, tanto simile a una soap opera il cui
finale è volutamente scontato e prevedibile.
Qualcosa si può e si deve fare per non darla vinta ai signori
della guerra. Organizzarsi, resistere, autogestire la lotta attraverso
una mobilitazione diretta che si discosti nettamente dai triti e
ritriti meccanismi della rappresentanza. La questione di Vicenza
è molto meno locale di quanto D'Alema e C. non vogliano far
credere. Il rifiuto della guerra e delle politiche militariste riguarda
tutto il paese non foss'altro che a sostenere le spese folli per
l'acquisto di armi, aerei ed equipaggiamenti sono tutti i contribuenti.
Ma al di là del dato brutalmente economico, il portato etico
delle ragioni per le quali la guerra ci ripugna vale da solo a
sostenere ogni sforzo affinché il rifiuto del militarismo
coinvolga settori sempre più vasti della società. Essere
contro tutte le guerre e contro tutti gli eserciti è un
investimento per il futuro che, con i tempi che corrono, non può
più essere rimandato. Con buona pace – è il caso di
dirlo – di tutti i pacifisti con l'elmetto che blaterano benino e
razzolano malissimo. La rabbia, l'amarezza e la delusione nei confronti
delle istituzioni e dei loro rappresentanti sono condivisibili.
È il momento di trasformarle in impegno quotidiano, in azione
diretta, in mobilitazione permanente per costruire un mondo nuovo,
libero dalle ipocrisie e dalla criminalità del potere.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria