Umanità Nova, n.4 del 4 febbraio 2007, anno 87

Via le basi della guerra!
Vicenza: il "pacifismo" tragicomico della "sinistra radicale"

 
Uno degli argomenti più stucchevoli nel quotidiano dibattito politico di questo paese è quello sull'identità pacifista della cosiddetta sinistra radicale italiana la quale si vorrebbe distinguere non solo dall'attuale opposizione parlamentare, composta da guerrafondai senza scrupoli, ma anche dalla stessa maggioranza di governo, di cui proprio questa sinistra fa parte, considerata troppo vicina alla Casa delle libertà nelle scelte di politica estera.
La discussione è oziosa, tanto nelle premesse quanto nelle conclusioni. Innanzitutto suona parecchio sospetta l'etichetta di "radicale" che serve a definire Prc, PdCI e Verdi come fronte duro e puro del Centrosinistra. La definizione è sospetta perché, più che altro, si tratta di un'autodefinizione strategicamente pompata dal linguaggio dei media (che si fonda di per sé su qualunquistiche e facili generalizzazioni) e perché – a ben vedere – chi siede in parlamento tutto può essere fuorché radicale, nel merito e nel metodo.
Considerando poi l'assoluta organicità che questi partiti hanno nel generale assetto governativo (ministri, sottosegretari, ecc.) non si capisce il perché i loro rappresentanti continuino imperterriti ad annoiarci con interminabili polemiche e altisonanti proclami fini a se stessi. Chiudere o non chiudere i CPT, superarli, superarli un po' alla volta, forse sì, forse no, no. Riformare il mercato del lavoro, o forse no; cancellare la flessibilità, ma con calma; istituire il reddito sociale garantito, anche se poi, chi la sente Confindustria? Spesso gli effetti hanno un che di comico, con ministri sistematicamente sbugiardati o zittiti da altri ministri sui classici cavalli di battaglia di quella sinistra un po' di lotta e un po' di governo pronta a tutto pur di tenere saldo il controllo sui voti del proprio bacino di votanti/militanti in quella che sembra una campagna elettorale permanente.
E poi c'è la guerra, e l'escatologico "ruolo dell'Italia" con tutto il corollario di appelli alla responsabilità di fronte agli impegni assunti sul piano internazionale.
La recente vicenda dell'allargamento della base militare Usa di Vicenza è emblematica, in tutti i suoi sviluppi, della viscerale ipocrisia che contraddistingue la sinistra di governo italiana, nessuno escluso. Ancora una volta, così come accaduto con la questione CPT, la maggioranza parlamentare finge di spaccarsi recitando un gioco delle parti che assegna a Ds, Margherita e cespugli del Centrocentro-sinistra il ruolo dei brutti, sporchi e cattivi mentre al Centro-sinistrasinistra tocca l'onere di piagnucolare invocando un fatidico "segnale di discontinuità" dalle politiche belliciste del Centrodestra. Salvo poi rendersi conto che, tra un piagnisteo e l'altro, la sinistra radicale non parla mai di ritirare le truppe, bandire la guerra dal vocabolario della storia o invitare a radicali prese di posizione contro gli eserciti. I pacifisti con l'elmetto propendono piuttosto per un aumento del personale civile nei fronti di guerra e per un rafforzamento della cooperazione internazionale che qualifichi il ruolo dell'Italia come nazione cui sta a cuore il progresso civile e sociale dei paesi massacrati. Vien da pensare che questa dedizione alla cooperazione nasconda qualche interesse di natura speculativa, laddove è noto il ruolo di certe organizzazioni non governative legate a doppio filo con la sinistra istituzionale che sulle macerie degli altri campano da sempre e per sempre attraverso sovvenzioni, raccolta di risorse e, dunque, di consenso.
Andando a un esempio concreto, la mobilitazione popolare contro la base militare Usa di Vicenza si è caratterizzata anche per un certo livello di drammatica delusione che ha colpito molti militanti ed elettori dei partiti di governo. Tessere strappate in piazza, schede elettorali distrutte davanti a tutti, tanta rabbia e amarezza. A voler fare gli anarchici senza scrupoli dovremmo solo gongolare. Ma siccome siamo prima di tutti donne e uomini che cercano di comprendere sempre le altrui posizioni, ci rendiamo perfettamente conto del momento di grossa difficoltà in cui si trovano migliaia di persone che, in qualche modo, hanno sempre creduto in quello che facevano e nell'azione dei rappresentanti che avevano delegato. A loro spese, il velo è stato squarciato e oggi sono in molti a vedere nel rischio concreto che Vicenza diventi una maxicaserma a cielo aperto il fallimento non solo di una determinata classe politica, ma dell'intero sistema su cui si fonda la gestione gerarchica e autoritaria degli interessi collettivi. Al danno, si è aggiunta anche la beffa di chi mente sapendo di mentire visto che il via libera all'ampliamento della base Ederle era già stato dovutamente programmato e ai politicanti della maggioranza governativa non è rimasto altro che suggerire agli amministratori locali di indire un referendum consultivo tanto inutile (come tutti i referendum) soprattutto se lanciato quando i giochi sono fatti.
E, tanto per non smentirsi, lo stesso sterile dibattito parlamentare sul rifinanziamento della missione militare in Afghanistan ripropone noiosamente la solita solfa, tanto simile a una soap opera il cui finale è volutamente scontato e prevedibile.
Qualcosa si può e si deve fare per non darla vinta ai signori della guerra. Organizzarsi, resistere, autogestire la lotta attraverso una mobilitazione diretta che si discosti nettamente dai triti e ritriti meccanismi della rappresentanza. La questione di Vicenza è molto meno locale di quanto D'Alema e C. non vogliano far credere. Il rifiuto della guerra e delle politiche militariste riguarda tutto il paese non foss'altro che a sostenere le spese folli per l'acquisto di armi, aerei ed equipaggiamenti sono tutti i contribuenti. Ma al di là del dato brutalmente economico, il portato etico delle ragioni per le quali la guerra ci ripugna vale da solo a sostenere ogni sforzo affinché il rifiuto del militarismo coinvolga settori sempre più vasti della società. Essere contro tutte le guerre e contro tutti gli eserciti è un investimento per il futuro che, con i tempi che corrono, non può più essere rimandato. Con buona pace – è il caso di dirlo – di tutti i pacifisti con l'elmetto che blaterano benino e razzolano malissimo. La rabbia, l'amarezza e la delusione nei confronti delle istituzioni e dei loro rappresentanti sono condivisibili. È il momento di trasformarle in impegno quotidiano, in azione diretta, in mobilitazione permanente per costruire un mondo nuovo, libero dalle ipocrisie e dalla criminalità del potere.

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