Umanità Nova, n.4 del 4 febbraio 2007, anno 87

Negazionismo. Sterminio della storia

 
Quando parliamo di dominatori, di massacratori, di potenti parliamo comunque di persone che sono in grado di gestire, di condizionare, di controllare e di manipolare a beneficio loro, dei loro amici e delle loro cricche le azioni umane di gran parte dei loro sottoposti, compresi quelli che, attraverso l'uso dei micidiali mezzi di comunicazione di massa, diffondono e fabbricano notizie. Che il potere sia strettamente correlato alla sua capacità di penetrare nel corpo mentale di larghi strati della popolazione non c'è, se mai ve ne è stato, alcun dubbio. Perché iniziare così a trattare il tema della conferenza iraniana, tenutasi a Teheran l'11 ed 12 dicembre scorso, a proposito della negazione dell'Olocausto? Perché in quanto anarchici, credo che il nostro primo compito sia quello, innanzitutto, di sottrarci, di disertare meglio, gli attuali schieramenti in campo. Neutralità, equidistanza, equivicinanza? Nulla di tutto questo! Ritengo, ma le ragioni argomentative dovrebbero essere molto più approfondite dello spazio concesso ad un articolo di giornale, che le riflessioni e la documentazione storica negazionista sia, nella sua più profonda essenza, pattume.
Ma è per questo che il governo Iraniano ha organizzato la conferenza di Teheran? Ed è per nobiltà d'animo che diversi governi mondiali gli hanno risposto? Le domande sono retoriche e le risposte implicite. Ahmadinejad, presidente iraniano, si sta, conformemente al nuovo ruolo di potenza regionale del suo paese, ritagliando uno spazio culturale conforme alle pretese volute. Ma il gioco di principe anti-Israele non gli è per nulla semplice e per varie ragioni: per prima cosa egli rappresenta la parte minoritaria del mondo musulmano, arabo e non, e quindi la sua credibilità politico-culturale si infrange contro la sua stessa appartenenza "etnico-religiosa" (sciita). In secondo luogo il ruolo che in questi anni ha avuto l'Iran nel contesto internazionale è a dir poco ambiguo: da stretto collaboratore USA, soprattutto per quanto riguarda l'Intelligence, e questo anche di recente a meno che non si creda che l'ascesa al potere degli sciiti in Iraq sia stata cosa sgradita agli Stati Uniti stessi, a grande protetto della Cina, cosa che gli ha consentito, tra l'altro, l'escalation nucleare.
In questo nuovo ruolo di difensore dei palestinesi, a cui nessuno stato islamico radicale o meno è assolutamente interessato se non strumentalmente (neppure agli amici Hezbollah, se non per un indiretto bisogno di controllo del proprio paese) l'attacco ad Israele dovrebbe funzionare come grimaldello politico-culturale nei confronti di due diversi interlocutori occidentali: gli Stati Uniti da una parte, l'Europa dall'altra. Soltanto che, cosa di cui se ne è accorto un po' tardi, l'improvvida azione di propaganda è andata un po' troppo oltre le sue miserevoli aspettative, nel senso che se da una parte è riuscita a staccare gli uni, almeno simbolicamente, dall'altra non ha attratto le simpatie di nessun altro. Il presidente iraniano, infatti, si è accorto all'ultimo dell'improvvida iniziativa negazionista, ma non potendo fare retromarcia imminente, se non a perdita della faccia, ha tentato di giocarsela come paladino della libertà di espressione e come reale democratico anti-sionista, ma non anti-semita. Ed il buon gioco lo ha fatto in sostanza la piccola componente ebraica ortodossa, antiisraeliana ed anti-sionista presente al convegno.
Se si rileggono i giornali di quei giorni, nessuno, ma proprio nessuno dei giornalisti è infatti intervenuto nel merito del convegno se non per un aspetto di ritorno: ovvero la posizione della maggior parte dei negazionisti sull'esistenza di Israele come risarcimento, a loro detta ingiustificato, dello sterminio ebraico. Quello era ed è l'argomento politico internazionale di reale interesse del convegno, mentre il resto della ricerca storica negazionista era strumento utile soltanto a quel fine.

La strategia negazionista
In realtà la ricerca storica che nega l'esistenza di un piano di sterminio nazista, e non solamente rivolto verso gli ebrei, ma anche gli zingari, gli asociali e i politici, gli omosessuali, gran parte degli slavi e prima di loro i disabili ha una portata ben più devastante e più grave sul piano dell'accertamento della verità.
La strategia negazionista parte dalla delegittimazione e dall'invalidamento di qualsivoglia testimonianza ove sia contenuto un errore: la testimonianza viene de-contestualizzata, viene smontata pezzo per pezzo non tanto per salvare o negare ciò che di buono e meno vi è in essa ma per usare ciò che di falso c'è contro ciò che c'è di vero: una delle più famose testimonianza è quella della SS Kurt Gerstein, tecnico della disinfestazione, il quale dopo essere stato ad nel campo di sterminio di Treblinka e dopo aver assistito ad una gasazione, disse che vide una montagna di vestiti appartenenti alle vittime che formavano una montagna alta 35-40 metri. È del tutto improbabile che sia mai esistita una montagna di vestiti così alta, ma ciò che invece scientemente fanno i negazionisti è ironizzare sul dato dell'altezza della montagna per negare totalmente la testimonianza o per dire che questa testimonianza gli venne qualche modo estorta (il complotto fa parte integrante della logica negazionista).
La testimonianza de-cotestualizzata viene anche automaticamente isolata e privata di altri possibili riscontri con altre testimonianze che affermano lo stesso accadimento. Se ogni testimonianza ha dei contenuti non veri che invalidano la testimonianza stessa ed ogni testimonianza come forma di memoria e di ricordo ha dei buchi neri allora tutte le testimonianze divengono automaticamente false. I negazionisti attaccano in maniera diffamatoria e virulenta tutte le ipotesi testimoniali a parte quelle estremamente esigue dalla loro parte, ma la cosa buffa è che costruiscono interamente la loro ipotesi storiografica a partire da un unico testimone ed un'unica testimonianza ovvero quella di Paul Rassinier.
Paul Rassinier, un emblematica figura di revisionista già deportato in campo di concentramento a Buchenwald e Dora, socialista anticolonialista e militante pacifista, è convinto fino alla morte, avvenuta nel 1967, dell'esistenza di un complotto ebraico internazionale che ha piegato ai propri innominabili fini i terribili eventi occorsi durante il secondo conflitto mondiale. La specificità di Buchennwald è che fu il più grande campo di sterminio da lavoro e non da gasazione come ad esempio Auschwitz .poiché era il campo dove prevalevano prigionieri politici e detenuti comuni: "Nel settembre dello stesso anno Buchenwald ospitava 5.382 prigionieri, ma alla fine dello stesso mese questi erano già 8.634. Alla fine del dicembre 1943 le immatricolazioni indi cavano 37.319 presenze che salirono a 63.084 alla fine del dicembre 1944 ed a ben 80.436 verso la fine del marzo 1945, cioè pochi mesi prima della fine della guerra. In tutto pare che per Buchenwald siano transitate 230.000 persone. I morti accertati e registrati ammontano a 56.554. Come sempre queste cifre sono inesatte dato che anche in questo Lager avvennero esecuzioni sommarie delle quali non è rimasta alcuna traccia. Buchenwald è stato uno dei campi affidati alla cosiddetta autogestione da parte dei "triangoli verdi" cioè di delinquenti comuni. I prigionieri politici, contrassegnati dal "triangolo rosso" dopo aspre contese ebbero il sopravvento e poterono arginare il potere dei "verdi" che si esprimeva soprattutto in delazioni e in violenze nei confronti dei propri simili.
Buchenwald si distingueva dagli altri campi perché lì, più che mai, fu sperimentato ed applicato lo sterminio a mezzo del lavoro. La costruzione stessa del campo, delle strade e delle installazioni accessorie fu portato a termine a costo di un'ecatombe di deportati. Le cifre che si sono potute accertare dicono solo in parte la verità su questa vicenda.
Oltre alla costruzione del campo, i deportati furono utilizzati come manodopera nei 130 comandi esterni e sottocampi situati nelle vicinanze degli stabilimenti industriali d'ogni genere, ma prevalentemente orientati verso produzioni di interesse militare che, per ragioni varie, ma prima di tutto di convenienza economica, avevano accettato i vantaggiosi contratti d'appalto offerti loro dalle SS.
La presenza fra i deportati di numerosi dirigenti politici, in special modo del partito comunista, favorì i contatti fra i vari gruppi nazionali esprimendosi in una solidarietà grazie alla quale fu possibile aiutare i più deboli e perfino salvare da sicura morte, nascondendoli con ingegnosi accorgimenti, alcuni che gli aguzzini avevano condannato per motivi spesso futili.
A poco a poco si costituì e si sviluppò nel campo un movimento di resistenza che permise la costituzione di un comitato clandestino internazionale che riuscì addirittura a creare una propria organizzazione militare. Grazie al coraggioso contributo di deportati che lavoravano nelle officine e nelle fabbriche d'armi dei dintorni, fu possibile trafugare componenti di armi, che furono poi riassemblate di nascosto e che servirono come dotazione a vere e proprie formazioni destinate ad intervenire al momento opportuno.
L'occasione venne quando nei primi giorni dell'aprile 1945 le SS decisero di sgombrare il campo e fecero partire un primo convoglio di circa 28.000 deportati verso altri campi. Il comitato clandestino internazionale, a mezzo di una emittente che era stata costruita in gran segreto, si mise in contatto con le truppe americane che avanzavano nella zona, chiedendo immediato aiuto e nello stesso tempo ordinando l'insurrezione generale.
Quando gli alleati giunsero a Buchenwald, il campo era già stato liberato dagli stessi deportati ed il comitato internazionale ne gestiva la vita democraticamente. Era il 13 aprile 1945."
Cosa significa dal punto di vista storiografico operare in modo tale che una testimonianza, per quanto importante, ma circoscritta e determinata, diventi paradigma di un costrutto storico? Significa costruire un paradigma aprioristico e portare tutte le prove a dimostrazione dell'assunto iniziale. Significa ovvero, fare esattamente il contrario di qualsiasi processo di conoscenza storica. E qui entrano nel merito le posizioni prettamente politiche. Da una parte il negazionismo neonazista, intento a svalutare la portata storica dello sterminio per costruire una sorta di equiparazione morale tra regimi oppressivi nati in quegli anni e conseguentemente a ciò per rivalutare, espungendone le nefandezze, il sistema nazionalsocialista. Dall'altra parte il negazionismo dell'estrema sinistra che: "da gli anni Ottanta - pur toccando varie posizioni ella sinistra comunista e libertaria - è particolarmente radicato in area bordighiana. Le posizioni di questo revisionismo di sinistra trovano un loro antecedente in un articolo di Amadeo Bordiga, Vae victis, Germaniae, pubblicato su 'Il programma comunista' nel 1960, per il quale smentire la ricostruzione storica dello sterminio significava colpire al cuore l'antifascismo interclassista, giudicato controrivoluzionario in quanto prodotto dell'alleanza tra stalinismo e imperialismo per frenare lo slancio rivoluzionario del proletariato europeo. L'amplificazione dello sterminio degli ebrei a opera del sionismo finiva inoltre, secondo Bordiga, per ridurre il nazismo a un regime razzista, cancellando gli aspetti classisti e antioperai di esso, ciò che impediva di leggere l'universo concentrazionario come articolazione del dominio capitalistico, ossia qualcosa che non era del tutto estraneo alla logica dello sfruttamento capitalistico anche in tempo di pace ad operare in maniera assoluta"  
E poi gli espedienti stilistici e retorici come l'uso dell'interpunzione, dove tutte le informazioni non condivise vengono virgolettate, come le "camere a gas", oppure attorniate e chiuse da punti esclamativi, interrogativi etc. giusto per insinuare il sospetto e la veridicità.
E l'attacco agli altri storici, a dir poco asserviti, se non al vile denaro almeno ad una o più correnti politiche ben precise.
E come anarchici? Come anarchici credo che da una parte dobbiamo rispettare ogni forma di ricerca storica che a partire da strumenti e metodi rigorosi (la prova è una di questi) arrivi a definire un quadro di riferimento credibile, verificabile e comparabile. Ciò significa che è necessario che ogni materia di ricerca mantenga una sua autonomia rispetto a qualsiasi posizione agiografica o svalutativa anche quando questo riguarda gli anarchici o episodi in cui parteciparono gli anarchici. Una tradizione storiografica retorica non fa bene né a noi né a chi ci vorrebbe conoscere. Necessario per la propria verificabilità è che la storia sia anche revisionabile, non certo annullabile: già il processo di conoscenza è un movimento di presa di coscienza etica. Il giudizio di valore è esterno al metodo storico ed è interno al processo conoscitivo: dove poi ci schieriamo questo è affar nostro.
Su Israele? Su Israele mantengo la stessa opinione che ho sugli stati in genere (Italia, USA, Bulgaria, Libia…): spero che il genere umano sappia superare tutte le forme di governo. Ma questo alla condizione che ogni essere umano, in un mondo di libere ed eguali, possa stabilirsi dove meglio crede.
E sulla libertà di espressione? I governi occidentali, complici a loro tempo e in questo tempo di inenarrabili massacri e volutamente ignari, se non accondiscendenti, di quello che stava accadendo ad ebrei e non ebrei, si ergono ad artefici di libertà controllate. Fanno ridere, se non piangere, quando parlano di giustizia come è avvenuto per l'impiccagione di Saddam. Loro che hanno massacrato più di 700.000 iracheni parlano di giustizia. E parlano di libertà imprigionando e negando la parola a personaggi tanto piccoli come questi negazionisti. Essere anarchici vuol dire anche essere contro ogni forma di censura anche quando la parola predicata ci ripugna. Combatterla è però oltre che doveroso anche necessario: ed il miglior modo per farlo è costruire qualcosa di molto diverso dal mondo in cui adesso ci fanno vivere.

Pietro Stara

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