Quando parliamo di dominatori, di massacratori, di potenti parliamo
comunque di persone che sono in grado di gestire, di condizionare, di
controllare e di manipolare a beneficio loro, dei loro amici e delle
loro cricche le azioni umane di gran parte dei loro sottoposti,
compresi quelli che, attraverso l'uso dei micidiali mezzi di
comunicazione di massa, diffondono e fabbricano notizie. Che il potere
sia strettamente correlato alla sua capacità di penetrare nel
corpo mentale di larghi strati della popolazione non c'è, se mai
ve ne è stato, alcun dubbio. Perché iniziare così
a trattare il tema della conferenza iraniana, tenutasi a Teheran l'11
ed 12 dicembre scorso, a proposito della negazione dell'Olocausto?
Perché in quanto anarchici, credo che il nostro primo compito
sia quello, innanzitutto, di sottrarci, di disertare meglio, gli
attuali schieramenti in campo. Neutralità, equidistanza,
equivicinanza? Nulla di tutto questo! Ritengo, ma le ragioni
argomentative dovrebbero essere molto più approfondite dello
spazio concesso ad un articolo di giornale, che le riflessioni e la
documentazione storica negazionista sia, nella sua più profonda
essenza, pattume.
Ma è per questo che il governo Iraniano ha organizzato la
conferenza di Teheran? Ed è per nobiltà d'animo che
diversi governi mondiali gli hanno risposto? Le domande sono retoriche
e le risposte implicite. Ahmadinejad, presidente iraniano, si sta,
conformemente al nuovo ruolo di potenza regionale del suo paese,
ritagliando uno spazio culturale conforme alle pretese volute. Ma il
gioco di principe anti-Israele non gli è per nulla semplice e
per varie ragioni: per prima cosa egli rappresenta la parte minoritaria
del mondo musulmano, arabo e non, e quindi la sua credibilità
politico-culturale si infrange contro la sua stessa appartenenza
"etnico-religiosa" (sciita). In secondo luogo il ruolo che in questi
anni ha avuto l'Iran nel contesto internazionale è a dir poco
ambiguo: da stretto collaboratore USA, soprattutto per quanto riguarda
l'Intelligence, e questo anche di recente a meno che non si creda che
l'ascesa al potere degli sciiti in Iraq sia stata cosa sgradita agli
Stati Uniti stessi, a grande protetto della Cina, cosa che gli ha
consentito, tra l'altro, l'escalation nucleare.
In questo nuovo ruolo di difensore dei palestinesi, a cui nessuno stato
islamico radicale o meno è assolutamente interessato se non
strumentalmente (neppure agli amici Hezbollah, se non per un indiretto
bisogno di controllo del proprio paese) l'attacco ad Israele dovrebbe
funzionare come grimaldello politico-culturale nei confronti di due
diversi interlocutori occidentali: gli Stati Uniti da una parte,
l'Europa dall'altra. Soltanto che, cosa di cui se ne è accorto
un po' tardi, l'improvvida azione di propaganda è andata un po'
troppo oltre le sue miserevoli aspettative, nel senso che se da una
parte è riuscita a staccare gli uni, almeno simbolicamente,
dall'altra non ha attratto le simpatie di nessun altro. Il presidente
iraniano, infatti, si è accorto all'ultimo dell'improvvida
iniziativa negazionista, ma non potendo fare retromarcia imminente, se
non a perdita della faccia, ha tentato di giocarsela come paladino
della libertà di espressione e come reale democratico
anti-sionista, ma non anti-semita. Ed il buon gioco lo ha fatto in
sostanza la piccola componente ebraica ortodossa, antiisraeliana ed
anti-sionista presente al convegno.
Se si rileggono i giornali di quei giorni, nessuno, ma proprio nessuno
dei giornalisti è infatti intervenuto nel merito del convegno se
non per un aspetto di ritorno: ovvero la posizione della maggior parte
dei negazionisti sull'esistenza di Israele come risarcimento, a loro
detta ingiustificato, dello sterminio ebraico. Quello era ed è
l'argomento politico internazionale di reale interesse del convegno,
mentre il resto della ricerca storica negazionista era strumento utile
soltanto a quel fine.
La strategia negazionista
In realtà la ricerca storica che nega l'esistenza di un piano di
sterminio nazista, e non solamente rivolto verso gli ebrei, ma anche
gli zingari, gli asociali e i politici, gli omosessuali, gran parte
degli slavi e prima di loro i disabili ha una portata ben più
devastante e più grave sul piano dell'accertamento della
verità.
La strategia negazionista parte dalla delegittimazione e
dall'invalidamento di qualsivoglia testimonianza ove sia contenuto un
errore: la testimonianza viene de-contestualizzata, viene smontata
pezzo per pezzo non tanto per salvare o negare ciò che di buono
e meno vi è in essa ma per usare ciò che di falso
c'è contro ciò che c'è di vero: una delle
più famose testimonianza è quella della SS Kurt Gerstein,
tecnico della disinfestazione, il quale dopo essere stato ad nel campo
di sterminio di Treblinka e dopo aver assistito ad una gasazione, disse
che vide una montagna di vestiti appartenenti alle vittime che
formavano una montagna alta 35-40 metri. È del tutto improbabile
che sia mai esistita una montagna di vestiti così alta, ma
ciò che invece scientemente fanno i negazionisti è
ironizzare sul dato dell'altezza della montagna per negare totalmente
la testimonianza o per dire che questa testimonianza gli venne qualche
modo estorta (il complotto fa parte integrante della logica
negazionista).
La testimonianza de-cotestualizzata viene anche automaticamente isolata
e privata di altri possibili riscontri con altre testimonianze che
affermano lo stesso accadimento. Se ogni testimonianza ha dei contenuti
non veri che invalidano la testimonianza stessa ed ogni testimonianza
come forma di memoria e di ricordo ha dei buchi neri allora tutte le
testimonianze divengono automaticamente false. I negazionisti attaccano
in maniera diffamatoria e virulenta tutte le ipotesi testimoniali a
parte quelle estremamente esigue dalla loro parte, ma la cosa buffa
è che costruiscono interamente la loro ipotesi storiografica a
partire da un unico testimone ed un'unica testimonianza ovvero quella
di Paul Rassinier.
Paul Rassinier, un emblematica figura di revisionista già
deportato in campo di concentramento a Buchenwald e Dora, socialista
anticolonialista e militante pacifista, è convinto fino alla
morte, avvenuta nel 1967, dell'esistenza di un complotto ebraico
internazionale che ha piegato ai propri innominabili fini i terribili
eventi occorsi durante il secondo conflitto mondiale. La
specificità di Buchennwald è che fu il più grande
campo di sterminio da lavoro e non da gasazione come ad esempio
Auschwitz .poiché era il campo dove prevalevano prigionieri
politici e detenuti comuni: "Nel settembre dello stesso anno Buchenwald
ospitava 5.382 prigionieri, ma alla fine dello stesso mese questi erano
già 8.634. Alla fine del dicembre 1943 le immatricolazioni indi
cavano 37.319 presenze che salirono a 63.084 alla fine del dicembre
1944 ed a ben 80.436 verso la fine del marzo 1945, cioè pochi
mesi prima della fine della guerra. In tutto pare che per Buchenwald
siano transitate 230.000 persone. I morti accertati e registrati
ammontano a 56.554. Come sempre queste cifre sono inesatte dato che
anche in questo Lager avvennero esecuzioni sommarie delle quali non
è rimasta alcuna traccia. Buchenwald è stato uno dei
campi affidati alla cosiddetta autogestione da parte dei "triangoli
verdi" cioè di delinquenti comuni. I prigionieri politici,
contrassegnati dal "triangolo rosso" dopo aspre contese ebbero il
sopravvento e poterono arginare il potere dei "verdi" che si esprimeva
soprattutto in delazioni e in violenze nei confronti dei propri simili.
Buchenwald si distingueva dagli altri campi perché lì,
più che mai, fu sperimentato ed applicato lo sterminio a mezzo
del lavoro. La costruzione stessa del campo, delle strade e delle
installazioni accessorie fu portato a termine a costo di un'ecatombe di
deportati. Le cifre che si sono potute accertare dicono solo in parte
la verità su questa vicenda.
Oltre alla costruzione del campo, i deportati furono utilizzati come
manodopera nei 130 comandi esterni e sottocampi situati nelle vicinanze
degli stabilimenti industriali d'ogni genere, ma prevalentemente
orientati verso produzioni di interesse militare che, per ragioni
varie, ma prima di tutto di convenienza economica, avevano accettato i
vantaggiosi contratti d'appalto offerti loro dalle SS.
La presenza fra i deportati di numerosi dirigenti politici, in special
modo del partito comunista, favorì i contatti fra i vari gruppi
nazionali esprimendosi in una solidarietà grazie alla quale fu
possibile aiutare i più deboli e perfino salvare da sicura
morte, nascondendoli con ingegnosi accorgimenti, alcuni che gli
aguzzini avevano condannato per motivi spesso futili.
A poco a poco si costituì e si sviluppò nel campo un
movimento di resistenza che permise la costituzione di un comitato
clandestino internazionale che riuscì addirittura a creare una
propria organizzazione militare. Grazie al coraggioso contributo di
deportati che lavoravano nelle officine e nelle fabbriche d'armi dei
dintorni, fu possibile trafugare componenti di armi, che furono poi
riassemblate di nascosto e che servirono come dotazione a vere e
proprie formazioni destinate ad intervenire al momento opportuno.
L'occasione venne quando nei primi giorni dell'aprile 1945 le SS
decisero di sgombrare il campo e fecero partire un primo convoglio di
circa 28.000 deportati verso altri campi. Il comitato clandestino
internazionale, a mezzo di una emittente che era stata costruita in
gran segreto, si mise in contatto con le truppe americane che
avanzavano nella zona, chiedendo immediato aiuto e nello stesso tempo
ordinando l'insurrezione generale.
Quando gli alleati giunsero a Buchenwald, il campo era già stato
liberato dagli stessi deportati ed il comitato internazionale ne
gestiva la vita democraticamente. Era il 13 aprile 1945."
Cosa significa dal punto di vista storiografico operare in modo tale
che una testimonianza, per quanto importante, ma circoscritta e
determinata, diventi paradigma di un costrutto storico? Significa
costruire un paradigma aprioristico e portare tutte le prove a
dimostrazione dell'assunto iniziale. Significa ovvero, fare esattamente
il contrario di qualsiasi processo di conoscenza storica. E qui entrano
nel merito le posizioni prettamente politiche. Da una parte il
negazionismo neonazista, intento a svalutare la portata storica dello
sterminio per costruire una sorta di equiparazione morale tra regimi
oppressivi nati in quegli anni e conseguentemente a ciò per
rivalutare, espungendone le nefandezze, il sistema nazionalsocialista.
Dall'altra parte il negazionismo dell'estrema sinistra che: "da gli
anni Ottanta - pur toccando varie posizioni ella sinistra comunista e
libertaria - è particolarmente radicato in area bordighiana. Le
posizioni di questo revisionismo di sinistra trovano un loro
antecedente in un articolo di Amadeo Bordiga, Vae victis, Germaniae,
pubblicato su 'Il programma comunista' nel 1960, per il quale smentire
la ricostruzione storica dello sterminio significava colpire al cuore
l'antifascismo interclassista, giudicato controrivoluzionario in quanto
prodotto dell'alleanza tra stalinismo e imperialismo per frenare lo
slancio rivoluzionario del proletariato europeo. L'amplificazione dello
sterminio degli ebrei a opera del sionismo finiva inoltre, secondo
Bordiga, per ridurre il nazismo a un regime razzista, cancellando gli
aspetti classisti e antioperai di esso, ciò che impediva di
leggere l'universo concentrazionario come articolazione del dominio
capitalistico, ossia qualcosa che non era del tutto estraneo alla
logica dello sfruttamento capitalistico anche in tempo di pace ad
operare in maniera assoluta"
E poi gli espedienti stilistici e retorici come l'uso
dell'interpunzione, dove tutte le informazioni non condivise vengono
virgolettate, come le "camere a gas", oppure attorniate e chiuse da
punti esclamativi, interrogativi etc. giusto per insinuare il sospetto
e la veridicità.
E l'attacco agli altri storici, a dir poco asserviti, se non al vile
denaro almeno ad una o più correnti politiche ben precise.
E come anarchici? Come anarchici credo che da una parte dobbiamo
rispettare ogni forma di ricerca storica che a partire da strumenti e
metodi rigorosi (la prova è una di questi) arrivi a definire un
quadro di riferimento credibile, verificabile e comparabile. Ciò
significa che è necessario che ogni materia di ricerca mantenga
una sua autonomia rispetto a qualsiasi posizione agiografica o
svalutativa anche quando questo riguarda gli anarchici o episodi in cui
parteciparono gli anarchici. Una tradizione storiografica retorica non
fa bene né a noi né a chi ci vorrebbe conoscere.
Necessario per la propria verificabilità è che la storia
sia anche revisionabile, non certo annullabile: già il processo
di conoscenza è un movimento di presa di coscienza etica. Il
giudizio di valore è esterno al metodo storico ed è
interno al processo conoscitivo: dove poi ci schieriamo questo è
affar nostro.
Su Israele? Su Israele mantengo la stessa opinione che ho sugli stati
in genere (Italia, USA, Bulgaria, Libia…): spero che il genere
umano sappia superare tutte le forme di governo. Ma questo alla
condizione che ogni essere umano, in un mondo di libere ed eguali,
possa stabilirsi dove meglio crede.
E sulla libertà di espressione? I governi occidentali, complici
a loro tempo e in questo tempo di inenarrabili massacri e volutamente
ignari, se non accondiscendenti, di quello che stava accadendo ad ebrei
e non ebrei, si ergono ad artefici di libertà controllate. Fanno
ridere, se non piangere, quando parlano di giustizia come è
avvenuto per l'impiccagione di Saddam. Loro che hanno massacrato
più di 700.000 iracheni parlano di giustizia. E parlano di
libertà imprigionando e negando la parola a personaggi tanto
piccoli come questi negazionisti. Essere anarchici vuol dire anche
essere contro ogni forma di censura anche quando la parola predicata ci
ripugna. Combatterla è però oltre che doveroso anche
necessario: ed il miglior modo per farlo è costruire qualcosa di
molto diverso dal mondo in cui adesso ci fanno vivere.
Pietro Stara