Umanità Nova, n.5 dell'11 febbraio 2007, anno 87

Vicenza 17 febbraio: contro la guerra e il militarismo
Resistenza popolare

 
La partita che si gioca a Vicenza ha una posta alta. Altissima. Una città ha detto no, ha detto no al ruolo di portaerei per le guerre che oggi insanguinano l'Iraq e l'Afganistan, ieri erano i Balcani, domani, chi sa? L'Iran. Un no forte, forse inaspettato. Certo capace di scompaginare gli equilibri di un governo il cui programma base è l'ipocrisia elevata a sistema di relazione, il governo del forse, del domani, della guerra e della pace, della pace che sa di guerra e della guerra che si veste arcobaleno.
Il governo sa che se non doma Vicenza potrebbe non controllare i molti luoghi dove tanti esigono di riscuotere il credito elettorale dato lo scorso anno. La delega in bianco, il triste rito della democrazia, che ogni cinque anni finge la partecipazione, presenta delle crepe. Crepe pericolose per chi siede in parlamento, sia che stia nei banchi della maggioranza sia in quelli dell'opposizione. Sono crepe che mettono in discussione un intero sistema, non una singola compagine governativa. Berlusconi lo scorso anno in Val Susa lo capì benissimo e, dopo la rivolta, ritirò le sue truppe e le sue trivelle e mollò la patata bollente al suo successore.
Oggi Prodi si trova di fronte un problema più difficile. Perché il raddoppio della base USA di Vicenza non è solo questione di lucrosissimi affari per i soliti amici degli amici, ma investe le scelte di politica estera dell'intero paese. Un paese che, sebbene si comporti come se così non fosse, dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale è stato costretto ad accettare la presenza di truppe statunitensi sul proprio territorio. Che fanno quello che meglio gli aggrada. Senza troppi complimenti, come ogni truppa d'occupazione che si rispetti. Chi può dimenticare che il pilota che uccise una ventina di persone tranciando con il suo aereo i cavi della funivia del Cermis ha goduto della stessa impunità di cui godono i macellai di ogni guerra guerreggiata? Solo chi perde paga pegno: una corda per Saddam, probabilmente un veleno discreto per Milosevic.
Prodi non può permettersi di pestare i piedi troppo vistosamente all'ingombrante ed arrogante alleato di oltreoceano. Ma non può neppure permettersi di fare di Vicenza una Valsusa. Le contorsioni della cosiddetta "sinistra radicale" al momento paiono solo giochi di ruolo, nonostante l'indubbio malessere di alcuni settori del PRC. Il vero problema è il protagonismo popolare, un protagonismo che è esploso e non pare accennare a fermarsi, rompendo gli schemi e gli schieramenti, mettendo in campo un desiderio e una pratica di autonomia che si esprime nei comitati, nelle assemblee, nel presidio permanente, in un farsi della politica che è immediatamente decisionale, alieno alla mediazione istituzionale. Sovversivo. Poche balle.
Il governo tra scoccando le frecce del suo arco: criminalizzazione preventiva a mezzo stampa, utilizzo degli apparati sindacali amici per spezzare alla base il fronte degli oppositori. Frecce spuntate perché il movimento le ha sinora schivate. È probabile che, dopo la manifestazione del 17, la tattica sia quella del logoramento e, prima o poi, l'uso, magari moderato, della forza.
Tuttavia in questi anni i movimenti popolari hanno dimostrato una discreta capacità di resistere. Il presidio permanente non è una fortezza assediata ma luogo della politica, della città che ridisegna il suo spazio pubblico, un luogo di socialità ed incontro. Un posto dove resistere è esistere.
Intanto gli stadi, luogo dell'impolitica, recinto di una violenza che imita la guerra, circo massimo per le marionette di una rivolta da palcoscenico – anche se il sangue è vero - hanno messo la sordina alla questione del raddoppio della base di Vicenza.
Spetta a noi tutti dimostrare che le cortine fumogene non servono: il 17 saremo in tanti a attraversare in corteo Vicenza, a dire no alla guerra, al militarismo, ad ogni esercito qualunque sia la sua bandiera. Sarà un'occasione importante. Ma non per il Palazzo e per i suoi equilibri, per gli inevitabili tentativi di inventare un compromesso, una "compensazione". Il 17 sarà importante perché la gente di lì sappia che ci siamo.
Un giorno, forse tra un mese, forse tra molti, arriveranno le ruspe e le truppe. Quel giorno in ogni dove saremo tutti vicentini: in piazza, di traverso per le strade e sui binari, in sciopero e in lotta.
Una robusta tela solidale si sta tessendo per la penisola.
Sarà dura. Ma non solo per noi.

Maria Matteo

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