La chiesa cattolica è "un destino" per tutti gli italiani. Che a
questa si rifacciano o che esplicitamente la usino, che ne seguano
pedissequamente i dettami o che amino festeggiare in occasione di
cresime e comunioni, gli italiani non possono fare a meno di
confrontarsi con la volontà di papi, vescovi e preti. Il nostro
senso della laicità sembra non essere mai sufficiente per
dribblare un'istituzione religiosa la cui politica millenaria ha sempre
contato sulla possibilità di guidare i processi istituzionali,
piegandoli alle proprie esigenze e ad una visione del mondo tanto falsa
quanto avvilente.
Il caso della battaglia sui pacs, acuitasi con il recente sì
della camera a che il governo legiferi in materia, non è che
l'ennesimo esempio di quanto tardi la politica accetti di riconoscere
le pratiche di emancipazione, per quanto diffuse esse siano.
In risposta alla dichiarazione di Napolitano, che auspicava una sintesi
sul problema che prendesse in considerazione anche le preoccupazioni
del papa, si è sollevata la solita ridda di polemiche di stampo
reazionario, quasi che le parole del presidente della repubblica non
fossero già più che prudenti.
L'opposizione, per bocca di Mantovano, ha chiesto al presidente di
astenersi dal fare dichiarazioni su questioni che metà del
parlamento e della nazione non condividono, mentre Berlusconi ha
dichiarato che si è trattato di "un attacco all'istituzione
della famiglia" (curiosamente, qualche giorno dopo, proprio lui
è stato oggetto di un attacco violento da parte di una - la
propria - delle tante famiglie che intendeva difendere. Veronica
è proprio un'ingrata).
Mastella, parlando a nome del grande centro, ha sostenuto il proprio
"no verso tutto ciò che può scardinare la famiglia",
mentre Mauro Fabris, portavoce dell'UDEUR, ha parlato di una
convergenza con Pier Ferdinando Casini e Rutelli per verificare se in
Parlamento ci sia spazio per un'intesa sui valori comuni (dio, patria,
famiglia e, soprattutto, stipendio dei parlamentari. Sull'ultimo punto
non stentiamo ad immaginare l'ampia convergenza). Mastella, in pieno
orgoglio vandeano, non si è presentato in Parlamento in
occasione della votazione della mozione dell'Unione che impegna il
governo a presentare una proposta di legge sulle unioni civili.
Il percorso della legge sui pacs non si presenta certo agevole, vista
la compattezza del centro-destra in materia e le titubanze di una parte
del centro-sinistra, né è possibile adesso sapere se i
punti proposti nel modello francese (che fungeva da riferimento in una
precedente proposta di legge di Grillini) saranno accolti nei futuri
pacs all'italiana.
Il "patto civile di solidarietà" francese è stato
legalizzato con la legge 99-944 del 15 novembre 1999. Secondo questa
intesa il pacs è un contratto tra due persone maggiorenni dello
stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in
comune. Il patto sancisce degli obblighi, come l'impegno a condurre una
vita in comune, la necessità dell'aiuto reciproco materiale e la
responsabilità comune per debiti contratti dalla firma del pacs.
Il contratto non garantisce l'adozione. Tra i diritti ci sono i
benefici del welfare e la riduzione delle tasse, vantaggi di cui si
può godere dopo tre anni dalla firma del contratto.
Inoltre si acquista la possibilità di assistere il proprio
partner in ospedale, di partecipare alle decisioni che riguardano la
sua salute e la sua vita, di lasciare in eredità il proprio
patrimonio e di ottenere l'avvicinamento se il partner è
extracomunitario.
Nell'Unione Europea altri tipi di contratto solidaristico tra
conviventi sono stati adottati da Belgio, Spagna, Olanda, Inghilterra,
Germania, Finlandia, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca, Svezia.
Gli italiani, invece, devono pagare il proprio tributo alla
pervasività della religione nella vita pubblica, invadenza che
in questi ultimi anni, per questioni di mero interesse politico e di
gestione di potere, è stata presentata alla pubblica opinione
come conquista di civiltà. Non è trascorso così
tanto tempo da quando la società civile ha dovuto lottare per
ottenere il diritto al divorzio e all'aborto, eppure eccoci ancora di
fronte al tentativo di impedire il naturale progresso della coscienza
sociale degli italiani, cercando di giocare sulle reazioni emotive che
il termine famiglia induce in tanti individui.
Nel caso dei pacs la reazione dei politici papisti sembrerebbe volta a
salvaguardare l'istituto principe della nostra società, la
famiglia, quella che a detta di tanti è la cellula che permette
la vita del nostro organismo sociale. Peccato, però, che "la
famiglia" non esista in quanto istituto rigido, immodificabile e
omogeneo. Nella nostra società esistono "le famiglie" e gli
individui, cioè modelli e ruoli diversificati che rappresentano
le opzioni di cui ogni individuo dispone per poter vivere la propria
vita.
Tra coloro che scelgono di vivere da single, o di coabitare con persone
dello stesso sesso, ci sono proprio i preti, che tanto hanno a cuore il
destino delle famiglie altrui. I preti hanno la possibilità di
non sposarsi (perché la società, prima che la chiesa,
permette loro, laicamente, questa scelta), ma non quella di sposarsi, e
questa costrizione alla solitudine e alla castità sta creando
non pochi problemi alla chiesa cattolica, la quale affronta
un'emergenza pedofilia che coinvolge non solo gli Stati Uniti, ma anche
il Brasile e, in maniera meno diffusa, la stessa Italia. Il prezzo
della disgregazione della propria identità è quello che
tanti bambini stanno pagando per le scelte assurde e innaturali di una
minoranza di repressi sempre a rischio di praticare forme di violenza
sessuale.
Per quanto attiene alla scelta di stare insieme, invece, è
palese che non esista affatto un unico modello di vita di coppia: alla
famiglia tradizionale si affiancano alcuni residui di famiglia
patriarcale, coppie che convivono, coppie omosessuali. Inoltre molte
coppie scelgono di non vivere insieme, preferendo questo tipo di
autonomia.
Negli ultimi anni sta crescendo il numero di coloro che divorziano, per
cui aumentano le persone che sperimentano più di una volta il
matrimonio (e tra queste molti politici papisti), o preferiscono, nel
momento in cui devono cominciare una nuova storia d'amore, la
convivenza. Alcune persone divorziate creano modelli di famiglia in cui
una nuova persona viene inserita gradualmente in casa, per cui tanti
bambini hanno "due papà" o "due mamme". Questo crea delle
modificazioni nel tessuto relazionale della nostra società che
probabilmente, prima del divorzio, non erano neppure immaginabili, ma
che oggi acquistano importanza politica, sociologica e culturale,
soprattutto nel momento in cui il numero delle persone che sperimentano
forme non convenzionali di vita familiare diviene statisticamente
significativo. L'aumento delle forme di convivenza tra adulti implica
anche una modificazione delle modalità di educazione dei figli,
i quali, come dicevo prima, devono relazionarsi con più figure
di riferimento. Se la necessità di una figura che rappresenti
l'oggetto di attaccamento primario per il bambino rimane inalterata,
figure di attaccamento secondario oggi sono non solo i parenti stretti
e l'altro genitore, ma anche i nuovi compagni e le nuove compagne dei
genitori.
Anche i pubblicitari, inclini a cogliere l'importanza dei cambiamenti
nel costume italico, si sono accorti di questo e non mancano le
pubblicità in cui la famiglia seduta a tavola non è
composta dai soggetti che l'iconografia cattolica reputa i soli in
grado di "essere famiglia".
La famiglia di cui si riempiono la bocca i nostri politici è,
intesa come unica possibilità di vita adulta di coppia, il
retaggio di un recente passato, che si colloca tra gli estremi della
famiglia allargata di origine contadina e le molteplici forme di vita
familiare che sono state create, oltre che dalla scelta degli
individui, anche dal tipo di sviluppo sociale che le esigenze di
organizzazione del capitale hanno imposto a tutti gli individui e che
la chiesa ha di fatto sostenuto.
Di fronte alle trasformazioni sociali in atto, il conservatorismo
opportunista di una parte trasversale dei nostri politici non è
altro che il tentativo di accaparrarsi il beneplacito di papa e
vescovi, in una strenua difesa di modelli che i politici stessi hanno,
alla bisogna, trasgredito.
In ogni caso, la forza carismatica che le nuove esperienze familiari
portano con sé sarà presto seguita da una nuova
istituzionalizzazione. Di fatto già adesso le modalità
multiple dell'essere famiglia fanno parte di un costume diffuso e
ampiamente sperimentato, ragion per cui la legge che, prima o poi,
verrà emanata per regolarne la pratica non farà che
prendere atto di un cambiamento che gli individui da tempo hanno
voluto, e in parte dovuto, sperimentare, conquistando sulla propria
pelle il diritto all'autodeterminazione. Gran parte dei politici e la
chiesa tutta, invece, non ritengono di dover riconoscere diritti a
quanti abbiano deciso di vivere in modo "trasgressivo" rispetto alla
morale e all'etica imposte dal dominio. I tanti che convivono, gli
omosessuali, i portatori di modelli di vita alternativi, non meritano
riconoscimento, non devono essere accettati. Il rifiuto delle scelte
coincide con il rifiuto delle persone stesse che quelle scelte
compiono, nell'assurda speranza che gli uomini rimangano schiavi di un
progetto di vita che altri hanno pensato e cucito sulla carne e nella
coscienza di ognuno di noi.
Paolo Iervese