Il consiglio Regionale della Lombardia ha varato un provvedimento che
impone la sepoltura di tutti i feti, compresi quelli che derivano da
aborti sotto le 20 settimane, mentre la legge nazionale stabilisce la
sepoltura solo per quelli che ne hanno di più. Qualsiasi donna
si sottoponga ad interruzione di gravidanza sarà avvertita di
questo obbligo. In caso i familiari non intendano farlo se ne
occuperanno gli ospedali.
Nei fatti non è chiaro come questo avverrà, anche
perché la norma dovrebbe riguardare anche gli aborti spontanei.
Formigoni, presidente della regione lombarda, dichiara che "per la
prima volta in Italia si riconosce al feto il rispetto che merita".
Se pensiamo che un feto di 3 mesi è lungo circa 7 centimetri, ci
si chiede a quale ragione risponda questa legge se non quella di
imporre alle donne il lutto e il senso di colpa.
L'ennesima riproposizione della sacralità del feto, a cui
è dunque dovuta sepoltura e funerale non stupisce. Ma ancora una
volta ci indigna l'imposizione. Già ora poteva essere richiesto
il funerale, se questo serviva per superare il dolore.
L'imposizione è invece agghiacciante.
Se colleghiamo ciò alla proposta di inserire volontari del
movimento per la vita negli ospedali, ci accorgiamo che l'immagine
della donna che ne viene disegnata è ancora quella di una
persona che ha bisogno di un occhio estraneo che le dica che cosa fare,
che ne indaghi i comportamenti e li indirizzi, dando "soccorso alle
vittime" da lei prodotte e facendola sempre sentire in colpa per le sue
scelte.
Non a caso il comportamento della Lombardia è già pronto
per essere imitato dal Lazio e dalla Liguria dove parlamentari di FI e
AN hanno chiesto lo stesso provvedimento.
Rosaria Polita