Il 12 dicembre 1999, in piena tempesta, la petroliera "Erika" si spezza
in due al largo del Finistere, in Bretagna. Circa 10mila tonnellate di
petrolio si spandono nell'Atlantico prima di arrivare, due settimane
dopo, sulle coste della Bretagna e della Vandea. L'Erika, partita da
Dunquerke, era diretta a Livorno dove avrebbe dovuto consegnare il
carico all'ENEL che lo avrebbe usato per alimentare le centrali di
Livorno e Piombino.
Il prossimo 12 febbraio dovrebbe iniziare il processo per questo
disastro: 15 imputati, compresi 3 dirigenti della Total, proprietaria
del petrolio destinato all'ENEL. La Total rischia di dover pagare una
forte ammenda e, soprattutto, un'enorme risarcimento dei danni
provocati che sono stati calcolati in 1 miliardo di euro. Riprendiamo
questa notizia perché ci pare interessante riferire quanto
riportato da una inchiesta del canale France 3, andata in onda il 3
dicembre 2006. Secondo quanto riferito dai curatori del programma la
petroliera conteneva due prodotti: uno ufficiale, l'altro, diciamo
così, clandestino. Infatti dopo il naufragio l'ENEL avrebbe
ricevuto dalla Total un altro carico di 27mila tonnellate di olio
combustibile denso mentre la nave ne avrebbe dovuto contenere
più di 30mila. Perché questa differenza? Il programma
ricorda che ricerche di laboratorio avevano rinvenuto nella marea nera
residui industriali. Erano queste le porcherie che dovevano bruciare
nelle centrali di Livorno e Piombino? Il programma francese rilancia la
polemica sul fatto che residui altamente inquinanti vengono smaltiti
mischiandoli all'olio combustibile denso, l'ultimo scarto di
raffinazione, che viene utilizzato nelle centrali per la produzione di
energia elettrica. Naturalmente in questo modo si produce un po' di
elettricità ma soprattutto si produce tanto inquinamento per le
popolazioni che hanno la dubbia fortuna di vivere nelle vicinanze delle
centrali. Questi rifiuti industriali solcano clandestinamente i nostri
mari: ce ne accorgiamo solo quando non tutto va liscio.
Il disastro della Erika ci ricorda un altro naufragio, avvenuto il 12
novembre 2002 al largo delle coste galiziane, quello della "Prestige",
carica sempre di olio combustibile denso. Partito dalla costa spagnola
l'inquinamento si propagò a Francia, Inghilterra, Olanda fino
alla Norvegia per il tramite del Mare del Nord. Migliaia di persone nei
vari paesi si sono costituite parti lese ma il processo, in Spagna, si
svolgerà verosimilmente entro il 2010. Ma la notizia non
è questa ma quella che i giornali non hanno pubblicato il 22
gennaio: gran parte dei 300mila volontari che accorsero a ripulire le
coste della Galizia sono ora affetti da problemi ormonali e genetici
dovuti al prolungato contatto con le porcherie sversate dalla carretta
del mare.
Intanto sulla diga di Sidmouth, piccola stazione balneare
dell'Inghilterra dell'ovest, gli sguardi degli abitanti scrutano al
largo, precisamente nel punto dove è stata volontariamente
arenata la portacontenitori "Napoli" dalla quale si nota uscire un filo
nero, lungo 8 km e largo 30 metri, in parte già arrivato sulla
spiaggia. La "Napoli" conteneva 3500 tonnellate di combustibile e 147
di gasolio che stanno sversandosi in mare. Ma la "Napoli" aveva, fra i
2394 contenitori che trasportava, anche un carico avvelenato: 177
tonnellate di gas, 462 di liquido infiammabile, 107 di materiale solido
infiammabile, 61 di ossidanti, 143 di materiali tossici e più di
200 di corrosivi. Niente di particolare, solo un normale carico di
schifezze di cui il nostro modo di vivere abbisogna! Sembra che almeno
5 contenitori pieni di sostanze pericolose siano caduti in mare al
momento dell'incagliamento. La stampa, che già non parla
più del disastro, non ha riferito se siano finiti sulla spiaggia
assieme a quel contenitore di BMW, andate letteralmente… a ruba.
Domenica 28 intanto sono state rilevate tracce di petrolio sulla costa
francese. Verranno confrontate con quelle della marea nera arrivata
nella costa inglese per capire se si tratta del combustibile della
"Napoli". "Ma c'è qualcosa di molto più grave
dell'inquinamento visivo" ha detto Yvon Julian, vice-présidente
dell'Unione delle associazioni per la difesa del litorale (UADL),
"è l'inquinamento chimico che non si vede ma avrà
conseguenze disastrose sulla fauna marina". Le autorità
britanniche si sono dette ottimiste ma le stive della nave sono ancora
immerse e nessuna informazione dettagliata è stata data sulla
esatta natura dei prodotti chimici trasportati dalla 'Napoli'."I
prodotti chimici rischiano di disperdersi nella Manica, una volta
diluiti nell'acqua di mare – conclude Julian – stiamo
andando verso una catastrofe ecologica irreversibile, di cui oggi non
possiamo calcolare l'estensione e la gravità per la fauna
marina".(Liberation, 29/1)
"Erika", "Prestige", "Napoli". Solo tre dei tanti casi di disastri
marittimi. Cercando notizie per questo articolo ci siamo imbattuti in
altri "incidenti": 19 giugno 2006; naufragio della chimichiera "Ece" ad
ovest di Le Hague, si forma una scia di petrolio lunga 42 km; 12
dicembre, 12 fusti tossici cadono in mare dalla porta contenitori
"Safmarine Leman", al largo della Bretagna. Ma chissà quanti
altri disastri segnano la suicida normalità dei nostri mari.
Possiamo ancora far finta di nulla? Possiamo ancora chiudere gli occhi
di fronte all'immane disastro ambientale che le nostre società
provocano, per il solo fatto di esistere? Il capitalismo, con la sua
corsa sfrenata al profitto, si sta distruggendo. Niente di grave se non
ci fosse la consapevolezza che se non interveniamo prima
distruggerà anche l'unico mondo che le generazioni future hanno
per vivere.
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