Umanità Nova, n.5 dell'11 febbraio 2007, anno 87

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Villa Minozzo: in ricordo di Enrico Zambonini

Domenica 28 gennaio 2007 alle 11,30 nella piazza antistante il comune di Villa Minozzo (RE) ha avuto luogo la commemorazione del sacrificio di Enrico Zambonini, militante anarchico, combattente antifascista in Spagna poi partigiano sulle sue e nostre montagne, assassinato dai nazifascisti al poligono di tiro di Reggio Emilia assieme ad altri partigiani il 30 gennaio 1944.
Nella mattinata, di fronte alla lapide a lui dedicata dagli anarchici reggiani si sono succeduti gli interventi di Giacomo Notari dell'ANPI e di Fabio Dolci della FAI reggiana, che hanno ripercorso gli episodi salienti della formazione umana e politica di Zambonini, avvenuta alla dura scuola dell'emigrazione e delle lotte sul posto di lavoro che infiammarono l'inizio del '900, e che segnò tutta la sua vita di rivoluzionario e antifascista.
Non sono mancate, da parte dei tanti presenti, alcune note polemiche verso le autorità, che sul monumento "ufficiale" hanno dimenticato di inserire il nome di Zambonini nella lista dei partigiani caduti, oltre al fatto di mantenere nella stessa piazza che ospita le lapidi alle vittime di guerra anche una lastra in ricordo di due carabinieri fascisti, di cui uno in particolare nemico giurato di Zambonini tanto che lo aggredì durante una festa paesana al grido di "morte agli anarchici!".
Siamo abituati a certe "sviste" ed ambiguità del ceto politico, spesso desideroso di lasciare in ombra l'anarchismo con tutta la sua carica di lotta all'autorità e di critica al potere di ogni genere e per questo non cesseremo, assieme alle associazioni partigiane, di ricordare i nostri compagni caduti per la difesa dal nazifascismo.
Dopo gli interventi degli oratori e dei presenti, la giornata, ottimamente organizzata dal Gruppo FAI "E. Zambonini" di Villa Minozzo, è proseguita al vicino agriturismo Made in Rov con un pranzo di autofinanziamento e canti antifascisti.
Per la FAI reggiana, J. Scaltriti

Torino: continua il processo agli antifascisti

Il 30 gennaio al processo contro antirazzisti e antifascisti torinesi, dopo la conclusione delle testimonianze dei tutori del disordine statale presenti in piazza durante la protesta contro il CPT del 19 maggio 2005, è stata la volta dei poliziotti che accusano i manifestanti accusati di "devastazione e saccheggio" per il corteo del 18 giugno 2005. In quell'occasione alcune centinaia di persone percorsero la città in corteo per denunciare l'aggressione fascista della settimana precedente. I fatti sono noti: nella notte dell'11 giugno una squadraccia armata di coltelli e bastoni si introdusse nella casa occupata Barocchio, ferendo due persone, una delle quali dovette essere operata d'urgenza perché un fendente ne aveva perforato l'intestino. Il corteo della settimana successiva venne caricato nella centrale via Po: in seguito alla carica vennero gettati in strada alcuni tavolini e sedie dei dehor dei bar. Gli imputati rischiano dagli 8 ai 15 anni di reclusione per una manciata di tavolini e sedie. Si tratta, in modo palese, di un processo politico, voluto per "dare una lezione" all'intera opposizione sociale torinese. L'applicazione di questa fattispecie di reato, un reato di natura intrinsecamente collettiva che prevede sanzioni durissime, la dice lunga su un'operazione repressiva che, se andrà in porto, potrebbe divenire modello per alte analoghe situazioni.
All'udienza del 30 gennaio l'attuale vice questore ha testimoniato sullo svolgimento del corteo e sul ruolo giocato da un compagno, additato quale promotore del "contatto" con la squadra antisommossa. Durante il controinterrogatorio fatto dai difensori sono emerse numerose contraddizioni.
Di fronte al Palagiustizia si è svolto un presidio di solidarietà.
La prossima udienza si svolgerà il 20 febbraio.
Euf.

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