Domenica 28 gennaio 2007 alle 11,30 nella piazza antistante il
comune di Villa Minozzo (RE) ha avuto luogo la commemorazione del
sacrificio di Enrico Zambonini, militante anarchico, combattente
antifascista in Spagna poi partigiano sulle sue e nostre montagne,
assassinato dai nazifascisti al poligono di tiro di Reggio Emilia
assieme ad altri partigiani il 30 gennaio 1944.
Nella mattinata, di fronte alla lapide a lui dedicata dagli anarchici
reggiani si sono succeduti gli interventi di Giacomo Notari dell'ANPI e
di Fabio Dolci della FAI reggiana, che hanno ripercorso gli episodi
salienti della formazione umana e politica di Zambonini, avvenuta alla
dura scuola dell'emigrazione e delle lotte sul posto di lavoro che
infiammarono l'inizio del '900, e che segnò tutta la sua vita di
rivoluzionario e antifascista.
Non sono mancate, da parte dei tanti presenti, alcune note polemiche
verso le autorità, che sul monumento "ufficiale" hanno
dimenticato di inserire il nome di Zambonini nella lista dei partigiani
caduti, oltre al fatto di mantenere nella stessa piazza che ospita le
lapidi alle vittime di guerra anche una lastra in ricordo di due
carabinieri fascisti, di cui uno in particolare nemico giurato di
Zambonini tanto che lo aggredì durante una festa paesana al
grido di "morte agli anarchici!".
Siamo abituati a certe "sviste" ed ambiguità del ceto politico,
spesso desideroso di lasciare in ombra l'anarchismo con tutta la sua
carica di lotta all'autorità e di critica al potere di ogni
genere e per questo non cesseremo, assieme alle associazioni
partigiane, di ricordare i nostri compagni caduti per la difesa dal
nazifascismo.
Dopo gli interventi degli oratori e dei presenti, la giornata,
ottimamente organizzata dal Gruppo FAI "E. Zambonini" di Villa Minozzo,
è proseguita al vicino agriturismo Made in Rov con un pranzo di
autofinanziamento e canti antifascisti.
Per la FAI reggiana, J. Scaltriti
Il 30 gennaio al processo contro antirazzisti e antifascisti
torinesi, dopo la conclusione delle testimonianze dei tutori del
disordine statale presenti in piazza durante la protesta contro il CPT
del 19 maggio 2005, è stata la volta dei poliziotti che accusano
i manifestanti accusati di "devastazione e saccheggio" per il corteo
del 18 giugno 2005. In quell'occasione alcune centinaia di persone
percorsero la città in corteo per denunciare l'aggressione
fascista della settimana precedente. I fatti sono noti: nella notte
dell'11 giugno una squadraccia armata di coltelli e bastoni si
introdusse nella casa occupata Barocchio, ferendo due persone, una
delle quali dovette essere operata d'urgenza perché un fendente
ne aveva perforato l'intestino. Il corteo della settimana successiva
venne caricato nella centrale via Po: in seguito alla carica vennero
gettati in strada alcuni tavolini e sedie dei dehor dei bar. Gli
imputati rischiano dagli 8 ai 15 anni di reclusione per una manciata di
tavolini e sedie. Si tratta, in modo palese, di un processo politico,
voluto per "dare una lezione" all'intera opposizione sociale torinese.
L'applicazione di questa fattispecie di reato, un reato di natura
intrinsecamente collettiva che prevede sanzioni durissime, la dice
lunga su un'operazione repressiva che, se andrà in porto,
potrebbe divenire modello per alte analoghe situazioni.
All'udienza del 30 gennaio l'attuale vice questore ha testimoniato
sullo svolgimento del corteo e sul ruolo giocato da un compagno,
additato quale promotore del "contatto" con la squadra antisommossa.
Durante il controinterrogatorio fatto dai difensori sono emerse
numerose contraddizioni.
Di fronte al Palagiustizia si è svolto un presidio di solidarietà.
La prossima udienza si svolgerà il 20 febbraio.
Euf.