Fra le rubriche che, in ogni testata giornalistica, rivestono una
particolare attenzione nel curare sia i contenuti trattati, sia il
modo, la forma, in cui questi sono sviluppati, la "rubrica delle
lettere al direttore" da sempre ha svolto una specifica ed
insostituibile funzione: trasmettere l'impronta di un pensare
riflessivo ed al contempo disincantato sui problemi/valori fondanti la
società nei suoi molteplici aspetti. Infatti, basta un compito
"Egregio...", oppure un intimo "Caro/a..." che immediatamente lo
scritto assume un profilo privato d'importanza pubblica grazie al quale
l'argomentazione si ammanta di verità. Una verità
scandalosamente falsa che tuttavia esprime tutta la sua falsità
in uno scandalo vero.
Ora non possiamo sapere se il direttore de "La repubblica" nello
stravolgere la prima pagina del quotidiano per pubblicare la lettera di
Veronica Lario, si sia sentito emulo del direttore de "l'Aurore" che
nel 1899 pubblicò in prima pagina la lettera di Èmile
Zola; certo è che se la tragedia finisce per tramutarsi in
farsa, si è autorizzati a pensare che – da un'accusa di un
complotto antidreyfrusiano ad una difesa della dignità
antiberlusconiana – lo stato di indipendenza e libertà
critica del circo mediatico italiano ed internazionale è per
davvero conciato male.
Che il re sia nudo, non è certo questo lo scandalo. Si finisce
per sentirlo uguale a noi, non diverso, pericolosamente altro dal
consesso e dai problemi sociali. Lo si sente vicino, come se l'averlo
sorpreso nudo come un verme gli abbia ridato dignità. Quella
dignità che egli ha sempre negato al suddito. E chi è
privo di dignità, disperatamente ha bisogno di ritrovarla nel
suo simile: il re! Questo è lo scandalo, quello vero: una
dignità assente da tempo nel mondo dell'informazione che
specchia la mancanza di dignità nella politica, per cui un
direttore di un quotidiano in prima linea nel denunciare la deriva
berlusconiana della politica si comporta così berlusconianamente
che più berlusconianamente non si può.
Certo, altre e più forbite possono essere le letture
interpretative di quanto è accaduto mercoledì 31 gennaio
2007, quando "La repubblica" ha sparato in prima pagina la lettera
della moglie di Berlusconi offesa per la sciatteria del marito,
richiamandosi dottamente all'utilizzo pubblico del privato in un tempo
in cui il privato è sempre più pubblico. Pure è
sufficiente dialogare con chi la propria dignità la difende sui
posti di lavoro, nei luoghi dove abita, nelle relazioni con chi
è emarginato ed è consapevolmente ai margini di questa
putrida società per accorgersi che se la vita privata assurge ad
una dimensione collettiva è perché è privata
proprio della vita.
E quando ciò accadrà, nessuno sprecherà tempo per
scriverti una lettera, direttore. Poiché il tempo di vivere non
mancherà più.
gianfranco marelli