Umanità Nova, n.5 dell'11 febbraio 2007, anno 87

Lettere al direttore


Fra le rubriche che, in ogni testata giornalistica, rivestono una particolare attenzione nel curare sia i contenuti trattati, sia il modo, la forma, in cui questi sono sviluppati, la "rubrica delle lettere al direttore" da sempre ha svolto una specifica ed insostituibile funzione: trasmettere l'impronta di un pensare riflessivo ed al contempo disincantato sui problemi/valori fondanti la società nei suoi molteplici aspetti. Infatti, basta un compito "Egregio...", oppure un intimo "Caro/a..." che immediatamente lo scritto assume un profilo privato d'importanza pubblica grazie al quale l'argomentazione si ammanta di verità. Una verità scandalosamente falsa che tuttavia esprime tutta la sua falsità in uno scandalo vero.
Ora non possiamo sapere se il direttore de "La repubblica" nello stravolgere la prima pagina del quotidiano per pubblicare la lettera di Veronica Lario, si sia sentito emulo del direttore de "l'Aurore" che nel 1899 pubblicò in prima pagina la lettera di Èmile Zola; certo è che se la tragedia finisce per tramutarsi in farsa, si è autorizzati a pensare che – da un'accusa di un complotto antidreyfrusiano ad una difesa della dignità antiberlusconiana – lo stato di indipendenza e libertà critica del circo mediatico italiano ed internazionale è per davvero conciato male.
Che il re sia nudo, non è certo questo lo scandalo. Si finisce per sentirlo uguale a noi, non diverso, pericolosamente altro dal consesso e dai problemi sociali. Lo si sente vicino, come se l'averlo sorpreso nudo come un verme gli abbia ridato dignità. Quella dignità che egli ha sempre negato al suddito. E chi è privo di dignità, disperatamente ha bisogno di ritrovarla nel suo simile: il re! Questo è lo scandalo, quello vero: una dignità assente da tempo nel mondo dell'informazione che specchia la mancanza di dignità nella politica, per cui un direttore di un quotidiano in prima linea nel denunciare la deriva berlusconiana della politica si comporta così berlusconianamente che più berlusconianamente non si può.
Certo, altre e più forbite possono essere le letture interpretative di quanto è accaduto mercoledì 31 gennaio 2007, quando "La repubblica" ha sparato in prima pagina la lettera della moglie di Berlusconi offesa per la sciatteria del marito, richiamandosi dottamente all'utilizzo pubblico del privato in un tempo in cui il privato è sempre più pubblico. Pure è sufficiente dialogare con chi la propria dignità la difende sui posti di lavoro, nei luoghi dove abita, nelle relazioni con chi è emarginato ed è consapevolmente ai margini di questa putrida società per accorgersi che se la vita privata assurge ad una dimensione collettiva è perché è privata proprio della vita.
E quando ciò accadrà, nessuno sprecherà tempo per scriverti una lettera, direttore. Poiché il tempo di vivere non mancherà più.

gianfranco marelli

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