Per la nuova militare base Usa a Vicenza i giochi sarebbero ormai
chiusi: questo è quello che il governo manda a dire, precisando
che sulla questione non ci saranno ulteriori passaggi parlamentari;
d'altra parte, per dirla con le parole del segretario dei Comunisti
Italiani, Oliviero Diliberto: "Non si è mai visto un governo
cadere su una base Nato".
Mentre il resto della sedicente "sinistra radicale" (Rifondazione
Comunista e Verdi) e la Cgil adottano la linea "della riduzione del
danno".
Il fatto che la popolazione interessata da tale devastante progetto sia
a larga maggioranza contraria, tanto da non consultarla neppure
attraverso un referendum, appare un particolare del tutto irrilevante
di fronte alla ragione di Stato.
Una ragione di Stato che non esita neppure a impartire lezioni di
morale pacifista, come ha fatto di recente il ministro della Difesa
Parisi.
Ma oltre alle nuove servitù militari imposte da Vicenza a
Sigonella, e ad una finanziaria che taglia le spese sociali e aumenta
quelle militari, il governo di centrosinistra si appresta a confermare
e rifinanziare le diverse missioni che vedono le forze armate italiane
impegnate principalmente in Afganistan, Libano, Balcani, Sudan.
A riguardo le responsabilità politiche dei partiti "arcobaleno"
appaiono ormai senza veli, in particolare sulla questione della
missione Isaf-Nato in Afganistan.
Grazie ad un sottile gioco delle parti orchestrato dal ministro degli
Esteri, nonché vicepremier, Massimo D'Alema, le premesse ci sono
tutte, specialmente dopo il vertice del 6 febbraio conclusosi con la
seguente dichiarazione congiunta: "I segretari dei partiti e i
presidenti dei gruppi parlamentari della maggioranza, ribadita
l'insostituibilità della coalizione di governo, confermano il
pieno sostegno alla sua politica estera e di difesa, fondata sulla
partecipazione attiva, solidale e paritaria alle organizzazioni
internazionali nelle quali l'Italia esercita la sua
responsabilità in piena attuazione dell'art. 11 della
Costituzione, e ribadiscono la loro comune volontà di proseguire
lungo le linee indicate nel programma dell'Unione".
Ma l'asso vincente di tale gioco è stata, con ogni evidenza, la
lettera aperta indirizzata al governo Prodi, firmata da sei
ambasciatori si cui si chiedeva allo Stato italiano la conferma degli
impegni in Afganistan.
I sei rappresentanti diplomatici (di Stati Uniti, Gran Bretagna,
Canada, Australia, Paesi Bassi e Romania), con una procedura quanto
meno insolita, come postino della loro missiva hanno scelto le pagine
del quotidiano La Repubblica, notoriamente vicino al centrosinistra.
Stranamente, gli ambasciatori di Francia, Germania e Spagna, che pur
hanno contingenti militari in Afganistan, non erano stati neppure
consultati; mentre il portavoce dell'Alleanza Atlantica, James
Appathurai, ha tenuto a precisare che la Nato "non ha né
coordinato, né è stata promotrice" dell'iniziativa.
Pochi giorni dopo, inoltre, il premier rumeno ha rinnegato l'operato
dell'ambasciatore di Bucarest in Italia, sollecitando il proprio
ministro degli esteri ad indagare sui motivi per cui l'ambasciatore ha
intrapreso tale iniziativa personale, che esula dalle consuetudini dei
rapporti diplomatici. Da parte sua, il portavoce dell'ambasciata di
Spagna in Italia ha confermato: "Noi non siamo stati contattati".
La fin troppo grossolana operazione ha però dato modo a D'Alema
e al governo Prodi di stigmatizzare tale ingerenza e rivendicare
l'indipendenza nazionale, compiacendo i rappresentanti della sinistra
meno accondiscendente verso le direttive belliche e coloniali degli
Stati Uniti.
Sulla base di questa presa di posizione, la maggioranza ha ritrovato
un'intesa sulla missione in Afganistan incentrata sul rifiuto di
aumentare il contingente militare già consistente in circa 2
mila unità, di incrementare l'intervento civile e di realizzare
una conferenza internazionale. Tale conferenza però non
sarà quella auspicata "di pace" che resta in calendario per un
imprecisato futuro: "A gennaio abbiamo raggiunto un accordo tra Italia,
governo afgano e Onu per promuovere a Roma, nella prossima primavera
(probabilmente a maggio), una grande Conferenza Internazionale sui temi
della giustizia, della lotta al narcotraffico, della sicurezza e della
costruzione nazionale", come annunciato dal sottosegretario agli Esteri
Gianni Vernetti.
All'interno dei sedicenti partiti della "sinistra radicale", forse le
minoranze interne avranno qualcosa da obiettare, per non perdere ogni
residua credibilità, ma i loro margini di manovra appaiono
stretti per poter sfuggire all'arruolamento.
L'unica variabile che può riservare sorprese, mandando all'aria
l'intera partita, resta lo sviluppo della resistenza popolare,
dell'opposizione di classe e dell'azione antimilitarista.
Per questo saremo a Vicenza, assieme a chi si organizza senza deleghe
per lottare contro la militarizzazione e la devastazione del
territorio, assieme al sindacalismo di base, assieme a chi diserta la
guerra.
Anti