L'Unione Anarchica Italiana. Tra rivoluzione europea e reazione fascista (1919 - 1926), Milano, Zero in Condotta, 2006
Con la pubblicazione di questo libro, si aggiunge un nuovo, prezioso
tassello a quel processo di indagine e ricostruzione delle radici e
della storia dell'anarchismo organizzato di lingua italiana, che in
questi ultimi anni ha visto uno sviluppo tanto intenso quanto
indispensabile per la comprensione dei processi evolutivi che hanno
portato alle odierne forme organizzative del nostro movimento.
In questi ultimi tempi non sono mancati, soprattutto ad opera di Zero
in Condotta e della Biblioteca Franco Serantini, importanti lavori di
carattere storico, in grado di "coprire" un arco temporale che,
partendo dalle origini e passando per il primo dopoguerra, arriva fino
agli ancora sostanzialmente inesplorati anni Ottanta. Ed ora con questo
libro, che raccoglie i saggi e le relazioni presentate al convegno di
studi promosso a Imola nell'ormai lontano 1999 dall'Archivio Storico
della Fai con la collaborazione di alcuni gruppi e federazioni
dell'Emilia Romagna, si viene, in un certo senso, a definire
compiutamente un quadro di insieme capace di spiegare e illustrare, con
la dovuta serietà scientifica, la lunga storia del nostro
movimento e dei suoi processi organizzativi. Del resto il convegno
imolese, tenutosi nell'ottantesimo anniversario del congresso nel quale
si costituì a Firenze l'Unione Comunista Anarchica Italiana, poi
più semplicemente Unione Anarchica Italiana, era stato pensato
proprio per apportare un contributo alla piena conoscenza delle
dinamiche politiche e sociali che resero possibile il definitivo venire
alla luce e, di conseguenza, il compiersi di un percorso organizzativo
che aveva attraversato, come un fiume carsico, il movimento anarchico
nei suoi primi cinquant'anni di storia.
La costituzione della Uai, infatti, non fu solo il felice momento di
avvio di un movimento organizzato finalmente non più su
presupposti localistici ma su un'ipotesi saldamente federalista e di
respiro nazionale, ma fu anche, e soprattutto, il punto di arrivo di
una lunga maturazione teorica che faceva giustizia delle sterili
ipotesi individualistiche e antiorganizzative che purtroppo avevano
tarpato a lungo le ali alla vitalità dell'anarchismo. È
soprattutto il saggio di Gigi Di Lembo che permette di comprendere
appieno le tappe, spesso irte di difficoltà, che permisero
l'affermarsi definitivo della ipotesi federalista, mentre Maurizio
Antonioli, con il suo acuto intervento sugli anarchici individualisti e
antiorganizzatori, descrive gli ambienti, soprattutto milanesi, che
tentarono di contrastare, principalmente sul piano ideologico,
l'ineluttabile processo che doveva sfociare nella costituzione della
Uai. Del resto la presenza di Malatesta, finalmente rientrato dal lungo
esilio londinese, non poteva non dare la spinta definitiva alla nascita
di una unione nazionale degli anarchici e la stesura del Programma
adottato nel congresso bolognese del 1920, di cui parlano Giampietro
Berti e Tiziano Antonelli, viene ad essere lo straordinario coronamento
del pensiero e dell'azione del grandissimo rivoluzionario campano.
Naturalmente l'attività degli anarchici organizzati, negli anni
dell'occupazione delle fabbriche, della rivoluzione russa, delle
rivoluzioni europee, dell'avvento del fascismo, non era rivolta solo al
proprio interno, ma si esprimeva con un'azione a tutto campo,
apportando una feconda spinta propulsiva e rivoluzionaria alle intense
e drammatiche lotte sociali di quegli anni. Questo naturalmente rendeva
ancora più attenta e occhiuta la sorveglianza questurinesca sul
movimento, come racconta brillantemente Placido La Torre, senza
peraltro impedire agli anarchici dell'Uai di contrastare
coraggiosamente lo squadrismo fascista. Dei tentativi di opposizione
alla violenza fascista e della ricerca di un fronte unico proletario
parla diffusamente Marco Rossi, mentre i generosi, lungimiranti e
reiterati tentativi di coordinare la risposta delle sinistre al montare
della reazione sono l'oggetto dell'intervento di Giorgio Sacchetti.
Né poteva mancare un saggio, quello, come sempre stimolante, di
Santi Fedele, sull'atteggiamento, dapprima fiducioso, ma presto
assolutamente critico che l'organizzazione e il movimento anarchico
ebbero nei confronti della rivoluzione russa e della sua degenerazione
burocratica.
Naturalmente il processo che portò alla formazione di una
organizzazione a livello nazionale, non fu il frutto di una istanza
centralista calata autoritariamente dall'alto sulle propaggini
decentralizzate del movimento, ma fu il portato di varie spinte locali
le quali, unendosi, dettero un senso all'esigenza di creare finalmente
una struttura in grado di coordinare, e quindi rendere più
efficaci e incisive, le innumerevoli attività diffuse sul
territorio. E non poteva essere diversamente trattandosi di una
struttura profondamente anarchica e libertaria. Merito del convegno, e
quindi di questo libro che ne raccoglie gli atti, è l'avere
saputo descrivere la vitalità e la ricchezza di queste
esperienze e l'avere raccontato come queste riuscissero a trovare un
comune denominatore nella formazione prima, nello sviluppo organizzato
e uniforme poi, dell'Unione Anarchica Italiana.
Numerose sono state le relazioni di carattere "locale", ed è
interessante osservare come tutte, pur trattando di località e
situazioni profondamente "distanti", non solo geograficamente, vengano
comunque a descrivere istanze organizzative ed esigenze operative
sostanzialmente uniformi, sia che si parli dell'Italia del nord, come
fanno Roberto Bernardi e Tobia Imperato, sia che si affronti, come
Natale Musarra e Fabio Palombo, esperienze decentrate e "anomale" quali
quelle siciliana e abruzzese. Franco Bertolucci, poi, e Tomaso
Marabini, alla sua prima felice esperienza di storico, hanno invece
affrontato gli elementi costitutivi di due esperienze sostanzialmente
diverse, quale quella pisana, condizionata da una forte presenza
antiorganizzatrice e quella imolese, fortemente determinata, al
contrario, a sostenere e sviluppare il processo organizzativo in atto.
A dimostrazione di come, anche in zone segnate da una presenza
libertaria indubbiamente radicata, le risposte al problema
organizzativo potessero presentare momenti di discontinuità.
Come si può capire da queste succinte note, il volume di Zero in
Condotta, curato redazionalmente come meglio non si poteva, è
uno strumento indispensabile non solo per conoscere quali siano stati i
binari sui quali si è concluso, storicamente, il tragitto
organizzativo degli anarchici italiani, ma anche per comprendere meglio
la sostanziale continuità teorica fra l'anarchismo "storico" e
quello attuale. E per rendersi conto del "debito" ideale che la
Federazione Anarchica Italiana, dopo i suoi primi sessant'anni di vita,
ancora ha nei confronti della vecchia Unione.
Massimo Ortalli